Il fondo di Garanzia dell'Inps è tenuto a pagare il TFR al lavoratore in caso di insolvenza del datore di lavoro anche se quest'ultimo non può essere dichiarato fallito perchè ha cessato l'attività da oltre un anno. In tal caso - spiega la Corte (Sentenza n.17740 /2010) - opera la disposizione dell'art. 2, quinto comma della legge n. 297 del 1982 secondo cui "il soggetto obbligato al pagamento è l'INPS alle condizioni previste dal comma stesso, essendo sufficiente, in particolare, che il lavoratore abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione, salvo che risultino in atti altre circostanze le quali dimostrano che esistono altri beni aggredibili con l'azione esecutiva".
http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_8914.asp
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Come cambiano le pensioni: procedure unificate per la previdenza complementare
La previdenza complementare viaggia a rilento rispetto alle attese. La Covip è intervenuta per uniformare le procedure relative non solo alla modulistica e alle comunicazioni ma anche all'iscrizione e al versamento della relativa contribuzione. Con la delibera del 22 luglio scorso ha uniformato la comunicazione che i fondi inviano ogni anno, entro il 31 marzo, ai propri iscritti. Scopo della comunicazione unificata è quello di mettere in evidenza la situazione contributiva personale maturata al 31 dicembre dell'anno prima.
La commissione ha definito tre schemi di comunicazione (che i lettore trova correlati a questo articolo) a seconda che si tratti di fondi pensione negoziali, aperti e Pip in regime di contribuzione definita. I fondi possono adottare i nuovi schemi o studiare soluzioni alternative ma analoghe. Ogni organismo personalizzerà la comunicazione con il proprio marchio.
In particolare, va indicata la posizione maturata dall'iscritto nel fondo, le operazioni effettuate nel corso dell'anno e i costi effettivamente sostenuti. Inoltre occorre specificare la linea di investimento adottata e i rendimenti realizzati negli ultimi tre, cinque e dieci anni mettendo in chiaro la valutazione del rischio e l'andamento dei mercati finanziari in cui il fondo investe. Se la posizione individuale dell'iscritto non è incrementata da oltre un anno e il montante accumulato risulta inferiore a 100 euro, il fondo può interrompere l'invio della comunicazione periodica.
La previdenza complementare è un capitolo delicato non solo per i lavoratori ma anche per le aziende, che devono fare l'informazione iniziale e poi gestire la scelta del dipendente. Il datore di lavoro si deve districare, in particolare, tra le differenti regole dei fondi pensione che riguardano la determinazione dell'imponibile su cui calcolare il contributo, le aliquote e il relativo versamento.
Ricevuto il modello di scelta, è necessario leggere le informazioni che ogni fondo pubblica sul proprio sito, anche se questo può non essere sufficiente poiché, in alcuni casi, si rimanda alle disposizioni del Ccnl. Occorre poi verificare le modalità di redazione della denuncia periodica e della sua trasmissione al fondo, la tempistica dei versamenti e le regole per determinare l'imponibile su cui calcolare i contributi.
http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2010-08-09/previdenza-complementare-lettera-standard-211637.shtml?uuid=AYLngVFC
La commissione ha definito tre schemi di comunicazione (che i lettore trova correlati a questo articolo) a seconda che si tratti di fondi pensione negoziali, aperti e Pip in regime di contribuzione definita. I fondi possono adottare i nuovi schemi o studiare soluzioni alternative ma analoghe. Ogni organismo personalizzerà la comunicazione con il proprio marchio.
In particolare, va indicata la posizione maturata dall'iscritto nel fondo, le operazioni effettuate nel corso dell'anno e i costi effettivamente sostenuti. Inoltre occorre specificare la linea di investimento adottata e i rendimenti realizzati negli ultimi tre, cinque e dieci anni mettendo in chiaro la valutazione del rischio e l'andamento dei mercati finanziari in cui il fondo investe. Se la posizione individuale dell'iscritto non è incrementata da oltre un anno e il montante accumulato risulta inferiore a 100 euro, il fondo può interrompere l'invio della comunicazione periodica.
La previdenza complementare è un capitolo delicato non solo per i lavoratori ma anche per le aziende, che devono fare l'informazione iniziale e poi gestire la scelta del dipendente. Il datore di lavoro si deve districare, in particolare, tra le differenti regole dei fondi pensione che riguardano la determinazione dell'imponibile su cui calcolare il contributo, le aliquote e il relativo versamento.
Ricevuto il modello di scelta, è necessario leggere le informazioni che ogni fondo pubblica sul proprio sito, anche se questo può non essere sufficiente poiché, in alcuni casi, si rimanda alle disposizioni del Ccnl. Occorre poi verificare le modalità di redazione della denuncia periodica e della sua trasmissione al fondo, la tempistica dei versamenti e le regole per determinare l'imponibile su cui calcolare i contributi.
http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2010-08-09/previdenza-complementare-lettera-standard-211637.shtml?uuid=AYLngVFC
Pensione di vecchiaia: nuovi limiti di età per le donne del pubblico impiego.
Pensione di vecchiaia: nuovi limiti di età per le donne del pubblico impiego. di Emanuele dr. Soraci Nella seduta del 10 giugno 2010 il Consiglio dei Ministri ha formulato l’emendamento n. 2228 da presentare al Senato della Repubblica in sede di conversione del decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010, recante misure correttive alla manovra finanziaria per il periodo 2010/2012, che prevede il brusco innalzamento dell'età pensionabile delle donne del pubblico impiego a 65 anni a partire dal 1° gennaio 2012. L’emendamento è stato concepito al fine di ottemperare alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee emessa in data 13 novembre 2008 (causa C 46/07) che ha condannato la Repubblica italiana per aver mantenuto in vigore nel nostro sistema previdenziale una normativa che consente ai pubblici dipendenti il diritto a percepire la pensione di vecchiaia ad età diverse a seconda che si tratti di uomini o di donne. Invero, già nel 2005 la Repubblica italiana è stata oggetto di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea sulla base del combinato disposto dell’art. 5 del decreto legislativo n. 503/1992 e dell’art. 2, comma 21, della legge n. 335 dell’8 agosto 1995 che ha sancito l’età pensionabile a 60 anni per i dipendenti pubblici di sesso femminile e a 65 anni per i dipendenti di sesso maschile, costituendo pertanto una trattamento meno favorevole per gli uomini, in violazione del trattato delle Comunità europee. Le basi giuridiche su cui si fonda la sentenza vanno individuate sia nell’art. 3 del Trattato istitutivo delle Ce, che riconosce l’uguaglianza tra uomini e donne come un principio fondamentale sia nell’art. 141, paragrafo 3, che autorizza la Comunità ad adottare provvedimenti intesi a garantire l’applicazione del principio della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. Questi articoli del Trattato istitutivo della Ce sono stati più volte richiamati dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee in svariate sentenze e sono stati i presupposti per l’adozione di direttive attinenti ai vari aspetti delle pari opportunità nello specifico discrimine basato sul sesso. Tra le direttive di maggiore portata possiamo rinvenire la n. 2006/54/CE del 05 luglio 2006, adottata dal Consiglio e dal Parlamento europeo riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e di impiego, che ribadisce che le pensioni dei dipendenti pubblici sono, a tutti gli effetti, una parte della retribuzione e in quanto tale sono soggette alle regole di parità di trattamento e inoltre l’età pensionabile assume particolare rilievo per le specifiche prestazioni di vecchiaia concesse a persone che si occupano dei figli. In sede di contenzioso con la Commissione europea, i delegati italiani hanno sostenuto la tesi che la diversa età prevista dalla normativa italiana per il raggiungimento del diritto alla pensione per gli uomini e per le donne non comporta l’obbligo per queste ultime di interrompere il rapporto lavorativo, bensì la mera facoltà discrezionale di optare per la c.d. “uscita anticipata” al raggiungimento dei 60 anni di età. (art. 16 del d.lgs n. 503/92). Di ciò sarebbe prova il fatto che le donne aventi diritto a tale opzione per aver raggiunto il sessantesimo anno di età nel 66 per cento dei casi hanno liberamente deciso di proseguire il proprio rapporto di lavoro. Nonostante la tesi sostenuta dai delegati italiani la Commissione ha, tuttavia, ritenuto che solo l’aver previsto normativamente la facoltà del pensionamento a 60 anni a favore delle donne costituisce in ogni caso una discriminazione ai sensi dell’art. 141 Ce, procedendo quindi al differimento alla Corte di giustizia. A seguito di questi avvenimenti il nostro legislatore, pur se con una certa riluttanza, si è adoperato per attendere alla diffida della Commissione europea con una norma che prevede il graduale innalzamento dell’età pensionabile delle donne sino al raggiungimento dei 65 anni nel 2018. Ma la recente sentenza della Corte di giustizia europea è servita da pretesto alla commissione per dare una svolta decisiva alla querelle polverizzando la gradualità delle tappe e ha indotto il legislatore italiano ad introdurre l’emendamento per il collocamento a riposo per anzianità di servizio a 65 anni anche per le donne sin dal 2011. Lo stesso commissario europeo alla Giustizia Viviane Reding, ha ribadito che la nuova legge sull'età pensionabile delle donne nel pubblico impiego deve entrare in vigore ed essere applicata entro il 2012, e malgrado ha riconosciuto l’oggettiva difficoltà dell’Italia ad adeguarsi, questa deve ottemperare alla decisione presa dalla Corte di Giustizia in proposito. Il cambiamento della legislazione può essere combinato con le misure di consolidamento del bilancio. La commissaria ha, inoltre, evidenziato che tutti gli stati membri devono essere trattati in modo uguale, quindi l'Italia deve adeguarsi alle pari opportunità per quanto riguarda l'età pensionabile. Il ministro del lavoro Sacconi, dopo l'incontro con il commissario europeo alla Giustizia, ha annunciato che non c'è stato spazio per alcuna trattativa perché la commissaria Reding ha confermato la negazione della gradualità dell'applicazione del provvedimento che il legislatore italiano ha stabilito per il 2018. Il concetto è stato rafforzato ulteriormente allorquando l’esecutivo europeo ha minacciato la necessità di rimborsare i lavoratori di sesso maschile perché costretti a un più lungo periodo di lavoro rispetto alle donne e maggiore attesa di pensione rispetto alle donne. Il quadro normativo L’orinario quadro normativo in materia di limiti di età pensionabile lo possiamo individuare nell’art. 3, comma 1 lettera a), della legge n. 421 del 23/10/1992 (g.u. n. 257 Suppl. Ord. del 31/10/1992) che stabilisce la graduale elevazione dei limiti di età a 60 anni per le donne e a 65 anni per gli uomini in ragione di un anno ogni due anni dal 1994. Successivamente la pensione di vecchiaia dei dipendenti di sesso femminile della pubblica amministrazione è stata ripresa dal combinato disposto dell’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 e dalla tabella A e dall’art. 2, comma 21, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (suppl. ord. alla g.u. n. 190 del 16/08/1995) che dispone, a decorrere dal 1 gennaio 1996, per questa categoria di lavoratori la possibilità di percepire la pensione di vecchiaia all’età di 60 anni, senza tuttavia prevedere una facoltà analoga per i dipendenti pubblici di sesso maschile che fissa l’età massima di pensione a 65 anni. Infine, in ossequio alla pronuncia della Corte di giustizia europea il legislatore ha previsto, con l’art. 22 ter della legge n. 102 del 03 agosto 2009, per le dipendenti del pubblico impiego iscritte alle forme esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria, di aumentare l’età minima a partire dalla quale queste maturano il diritto al pensionamento di vecchiaia. In particolare, le disposizioni contenute nella legge individuano, per l’anno 2010, il requisito anagrafico di 61 anni per accedere al pensionamento di vecchiaia. Tale limite viene incrementato di un anno a decorrere dal primo gennaio 2012 e di un ulteriore anno per ogni biennio successivo, sino al raggiungimento dell’età di 65 anni, come riportato nella tabella seguente: - 1 gennaio 2010 – 31 dicembre 2011 61 anni - 1 gennaio 2012 – 31 dicembre 2013 62 anni - 1 gennaio 2014 – 31 dicembre 2015 63 anni - 1 gennaio 2016 – 31 dicembre 2017 64 anni - dal 1 gennaio 2018 65 anni Restano immutate le vigenti disposizioni per le donne magistrato, ambasciatori, professoresse universitarie che prevedono requisiti anagrafici più elevati, per il personale femminile appartenente alle forze armate, l’arma dei carabinieri, il corpo della guardia di finanza, le forze di polizia ad ordinamento civile e del corpo nazionale dei vigili del fuoco, il limite di età rimane fissato al compimento di 60 anni. Una esenzione è stata prevista dall’art. 22 ter per le lavoratrici che entro il 31 dicembre 2009 abbiano maturato i requisiti di età e di anzianità contributiva, previsti dalla normativa vigente, prima della entrata in vigore della legge n. 102/2009, infatti queste conseguono il diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia secondo la normativa previgente e possono chiedere all’ente di appartenenza la certificazione di tale diritto. Il comma 2 dell’articolo 22 ter introduce anche una importante novità a decorrere dall’01 gennaio 2015 e cioè le modifiche ai requisiti di età anagrafica per l’accesso al sistema pensionistico verranno formulati in funzione dell’incremento della speranza di vita determinata dall’Istat e dall’Eurostat in riferimento ai 5 anni precedenti e sanciti con un apposito regolamento, da adottare entro il 31 dicembre 2014, su proposta del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia. Per il periodo transitorio, viene solo stabilito che, in sede di prima attuazione (cioè nel 2015 e in riferimento al quinquennio 2010-2014) l’incremento dei requisiti anagrafici non potrà in ogni caso essere superiore a 3 mesi. Il legislatore ha previsto nell’emendamento una clausola di salvaguardia per le impiegate che maturano i requisiti di pensione entro il 31 dicembre 2011 le quali potranno accedere al pensionamento anche negli anni successivi al contrario di coloro che matureranno i requisiti nel 2012 per cui dovranno maturare i 65 anni, ovviamente la norma vuole evitare una cospicua fuoriuscita anticipata dal lavoro. Tale normativa di fatto è un compromesso tra la nostra normativa previdenziale e quella europea emessa per salvaguardando i diritti maturati dalle dipendenti pubblici. Gli effetti Dal punto di vista economico l’eliminazione del graduale innalzamento dell’età pensionabile per vecchiaia delle donne del pubblico impiego se ci consente di ottemperare alla disposizioni della comunità europea di fatto non comporterà dei cospicui risparmi nell’erogazione dei trattamenti pensionistici in quanto l’età media delle donne nella pubblica amministrazione è di poco superiore ai 62 anni per raggiungere l'anzianità contributiva e dunque ciò significa che in sicuramente, in linea generale, sceglieranno il collocamento a riposo per limiti contributivi. Si stima che l'innalzamento dell'età pensionabile per le donne della pubblica amministrazione a 65 anni coinvolgerà una platea di 25.000 donne stimata fino al 2019. Lo stesso ministro Renato Brunetta nel corso della conferenza stampa ha sottolineato che l'intervento non serve a fare cassa perché l'impatto economico sarà zero nel 2010 e nel 2011, 50 milioni nel 2012 e 150 nel 2013. Una nota positiva, invece, è la dichiarazione del ministro per le pari opportunità Mara Carfagna con la quale ha annunciato che i risparmi che si prevede conseguire da questo emendamento confluiranno nel Fondo strategico per il Paese a sostegno dell’economia reale, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con cui verranno finanziati interventi dedicati a politiche sociali e familiari che consentano alle lavoratrici di conciliare con meno difficoltà la vita professionale con quella familiare. Quindi, il sacrificio che l'Europa chiede alle dipendenti statali italiane sarà compensato da un investimento nei servizi alla famiglia, nelle strutture per l'infanzia e nella non-autosufficienza. Bisogna, inoltre, tenere in debita considerazione che sino a quando il legislatore non interverrà per modificare la vigente normativa in materia di riscatto, ricongiunzione ecc.. le impiegate pubbliche continueranno a corrispondere delle somme di denaro superiori rispetto ai colleghi uomini. Nello specifico, allo stato quo le donne potendo accedere al pensionamento per vecchiaia all’età di 60, cioè prima degli uomini, nel caso in cui intendano riscattare o ricongiungere dei periodi assicurativi questi verranno computati con l’applicazione di indici superiori di quelli applicati per gli uomini, in quanto le prime godranno dei benefici pensionistici cinque anni prima dei colleghi.
http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_8743.asp
http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_8743.asp
Pensioni più magre e più anni al lavoro, ecco come cambia la previdenza di qui al 2015
Il pianeta-pensioni si appresta a vivere un altro lustro di grandi cambiamenti. Da qui al 2015, il calendario sarà affollato da una serie di appuntamenti che muteranno in profondità il volto della previdenza. Sarà una sorta di riforma permanente: dall'entrata in vigore delle nuove finestre, nel 2011, fino alla prima applicazione del meccanismo per l'aumento dell'età di pensionamento in relazione alla crescita della speranza di vita, nel 2015.
Allungare il periodo di permanenza al lavoro e contenere la spesa sono gli obiettivi di lungo periodo. Per centrare i quali, passo dopo passo, prenderanno corpo le misure introdotte negli ultimi anni e quelle arrivate in questi giorni con la manovra economica, ora all'esame del Parlamento.
Al lavoro più a lungo
L'innalzamento dell'età per la pensione delle donne della pubblica amministrazione rappresenta la misura più recente di questa strategia. Dal 2012, con l'emendamento che verrà recepito nel decreto legge 78, il requisito per la pensione di vecchiaia nella Pa sarà unificato, per maschi e femmine, a 65 anni. Fino al 31 dicembre 2011, alle donne "statali" ne basteranno invece 61. Poi, dall'anno successivo, ci sarà di fatto un blocco di quattro anni delle pensioni di vecchiaia. Nel 2011 potranno lasciare il lavoro le nate nel 1950; poi, ma solo nel 2016, toccherà alle nate nel 1951. Nel frattempo, ma naturalmente anche in futuro, per ottenere la pensione, le donne della Pa dovranno fare i conti con i requisiti per l'anzianità. Va detto, però, che attraverso il canale dell'anzianità le dipendenti pubbliche, se in possesso del requisito dei 35 anni di contributi, nel 2012, con la quota 96 e l'età di 60 anni e dal 2013 in poi con la quota 97 e l'età di 61 anni potranno andare in pensione. In altri termini, restando inalterati i requisiti per le quote, le dipendenti pubbliche possono aggirare l'ostacolo dei 65 anni di età. Per non parlare poi di chi matura i 40 anni di contribuzione che potrà andare tranquillamente in pensione indipendentemente dall'età anagrafica.
Un prolungamento della vita lavorativa giunge anche con le finestre a scorrimento. Il sistema, dal 2011, prevede un unico termine di decorrenza della pensione sia per l'anzianità sia per la vecchiaia: il 13° mese dalla maturazione dei requisiti, per i dipendenti (pubblici e privati, donne incluse); il 19° mese per gli autonomi.
La norma, in effetti, ha lo scopo di uniformare un metodo, le vecchie finestre, che creava disparità di trattamento. Ora tutti i lavoratori sono uguali, ma - nel cambio di regime - qualcuno dovrà attendere più a lungo rispetto al passato per poter effettivamente incassare l'assegno. In ogni caso, la distorsione maggiore riguarda l'attesa per la vecchiaia, che rispetto alle vecchie finestre vede di fatto crescere l'età di pensionamento di 7-9 mesi per i dipendenti e di 10-12 per gli autonomi. Non si potrà più dire che "la pensione arriva a 65 anni", perché in realtà si lavorerà fino a 66 o 66 e mezzo.
Stessa logica per l'anzianità. Il meccanismo delle "quote" - una determinata somma di età e anni di contributi - non è certo una novità. Ma, inesorabile, il calendario avanza. Dal 1° gennaio prossimo si passa a "quota 96" per i dipendenti (e l'età minima richiesta sale a 60 anni, con 36 anni di contributi) e a "quota 97" per gli autonomi, con età minima di 61 anni. Poi, dal 2013, il gradino finale con l'aumento di un anno sia nelle quote sia nell'età minima.
L'ultima tappa di questo percorso è, in parte, ancora da scrivere. La legge 102 dello scorso anno prevede, a partire dal 2015, l'introduzione di un meccanismo di adeguamento quinquennale dei requisiti anagrafici per accedere al pensionamento in funzione degli incrementi della speranza di vita.
Che cosa succederà non è facile prevedere. La legge stabilisce che in sede di prima applicazione l'aumento dell'età non potrà superare i 3 mesi, sia per la vecchiaia sia per l'anzianità. Successivamente, lo scatto potrebbe essere più ampio, se è vero che, a esempio, tra il 2010 e il 2020 la speranza di vita aumenterà di oltre un anno e mezzo per gli uomini (da 79,1 a 80,7 anni) e di altrettanto per le donne (da 84,6 a 86,2).
Pensioni più magre
A determinare l'assegno è un mix di elementi. Da un lato, il sistema di calcolo della pensione basato sui contributi effettivamente versati, che - via via - interesserà un numero sempre maggiore di lavoratori (gli assunti dal 1° gennaio 1996 senza possesso di contribuzione precedente avranno assegni interamente contributivi). Dall'altro, i coefficienti di trasformazione, cioè quel valore per il quale vanno moltiplicati tutti i contributi rivalutati (montante) del lavoratore per determinare l'importo della pensione. Dal gennaio scorso si applicano i nuovi coefficienti meno favorevoli rispetto a quelli precedenti. E ora è previsto inoltre che la loro revisione avvenga ogni tre anni, per tenere conto delle dinamiche macroeconomiche, demografiche e migratorie. Quindi, nel 2013 ci sarà un nuovo aggiornamento e poi un altro nel 2016.
Questa miscela fa sì che - stima la Ragioneria dello Stato - il tasso di sostituzione della previdenza (ossia il rapporto tra l'ultima retribuzione e la prima rata della sua pensione) sia destinato a ridursi sensibilmente. Oggi l'assegno calcolato con il sistema di calcolo retributivo arriva a coprire l'80-85% netto dell'ultimo stipendio. Nel 2050 - una data non così lontana quando si ragiona di previdenza - non si supererà il 70.
Insomma, al lavoro più a lungo e pensioni un po' più basse. Meglio farsi trovare preparati.
http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2010-06-14/pensioni-magre-anni-lavoro-092100.shtml?uuid=AYxCyQyB#continue
Allungare il periodo di permanenza al lavoro e contenere la spesa sono gli obiettivi di lungo periodo. Per centrare i quali, passo dopo passo, prenderanno corpo le misure introdotte negli ultimi anni e quelle arrivate in questi giorni con la manovra economica, ora all'esame del Parlamento.
Al lavoro più a lungo
L'innalzamento dell'età per la pensione delle donne della pubblica amministrazione rappresenta la misura più recente di questa strategia. Dal 2012, con l'emendamento che verrà recepito nel decreto legge 78, il requisito per la pensione di vecchiaia nella Pa sarà unificato, per maschi e femmine, a 65 anni. Fino al 31 dicembre 2011, alle donne "statali" ne basteranno invece 61. Poi, dall'anno successivo, ci sarà di fatto un blocco di quattro anni delle pensioni di vecchiaia. Nel 2011 potranno lasciare il lavoro le nate nel 1950; poi, ma solo nel 2016, toccherà alle nate nel 1951. Nel frattempo, ma naturalmente anche in futuro, per ottenere la pensione, le donne della Pa dovranno fare i conti con i requisiti per l'anzianità. Va detto, però, che attraverso il canale dell'anzianità le dipendenti pubbliche, se in possesso del requisito dei 35 anni di contributi, nel 2012, con la quota 96 e l'età di 60 anni e dal 2013 in poi con la quota 97 e l'età di 61 anni potranno andare in pensione. In altri termini, restando inalterati i requisiti per le quote, le dipendenti pubbliche possono aggirare l'ostacolo dei 65 anni di età. Per non parlare poi di chi matura i 40 anni di contribuzione che potrà andare tranquillamente in pensione indipendentemente dall'età anagrafica.
Un prolungamento della vita lavorativa giunge anche con le finestre a scorrimento. Il sistema, dal 2011, prevede un unico termine di decorrenza della pensione sia per l'anzianità sia per la vecchiaia: il 13° mese dalla maturazione dei requisiti, per i dipendenti (pubblici e privati, donne incluse); il 19° mese per gli autonomi.
La norma, in effetti, ha lo scopo di uniformare un metodo, le vecchie finestre, che creava disparità di trattamento. Ora tutti i lavoratori sono uguali, ma - nel cambio di regime - qualcuno dovrà attendere più a lungo rispetto al passato per poter effettivamente incassare l'assegno. In ogni caso, la distorsione maggiore riguarda l'attesa per la vecchiaia, che rispetto alle vecchie finestre vede di fatto crescere l'età di pensionamento di 7-9 mesi per i dipendenti e di 10-12 per gli autonomi. Non si potrà più dire che "la pensione arriva a 65 anni", perché in realtà si lavorerà fino a 66 o 66 e mezzo.
Stessa logica per l'anzianità. Il meccanismo delle "quote" - una determinata somma di età e anni di contributi - non è certo una novità. Ma, inesorabile, il calendario avanza. Dal 1° gennaio prossimo si passa a "quota 96" per i dipendenti (e l'età minima richiesta sale a 60 anni, con 36 anni di contributi) e a "quota 97" per gli autonomi, con età minima di 61 anni. Poi, dal 2013, il gradino finale con l'aumento di un anno sia nelle quote sia nell'età minima.
L'ultima tappa di questo percorso è, in parte, ancora da scrivere. La legge 102 dello scorso anno prevede, a partire dal 2015, l'introduzione di un meccanismo di adeguamento quinquennale dei requisiti anagrafici per accedere al pensionamento in funzione degli incrementi della speranza di vita.
Che cosa succederà non è facile prevedere. La legge stabilisce che in sede di prima applicazione l'aumento dell'età non potrà superare i 3 mesi, sia per la vecchiaia sia per l'anzianità. Successivamente, lo scatto potrebbe essere più ampio, se è vero che, a esempio, tra il 2010 e il 2020 la speranza di vita aumenterà di oltre un anno e mezzo per gli uomini (da 79,1 a 80,7 anni) e di altrettanto per le donne (da 84,6 a 86,2).
Pensioni più magre
A determinare l'assegno è un mix di elementi. Da un lato, il sistema di calcolo della pensione basato sui contributi effettivamente versati, che - via via - interesserà un numero sempre maggiore di lavoratori (gli assunti dal 1° gennaio 1996 senza possesso di contribuzione precedente avranno assegni interamente contributivi). Dall'altro, i coefficienti di trasformazione, cioè quel valore per il quale vanno moltiplicati tutti i contributi rivalutati (montante) del lavoratore per determinare l'importo della pensione. Dal gennaio scorso si applicano i nuovi coefficienti meno favorevoli rispetto a quelli precedenti. E ora è previsto inoltre che la loro revisione avvenga ogni tre anni, per tenere conto delle dinamiche macroeconomiche, demografiche e migratorie. Quindi, nel 2013 ci sarà un nuovo aggiornamento e poi un altro nel 2016.
Questa miscela fa sì che - stima la Ragioneria dello Stato - il tasso di sostituzione della previdenza (ossia il rapporto tra l'ultima retribuzione e la prima rata della sua pensione) sia destinato a ridursi sensibilmente. Oggi l'assegno calcolato con il sistema di calcolo retributivo arriva a coprire l'80-85% netto dell'ultimo stipendio. Nel 2050 - una data non così lontana quando si ragiona di previdenza - non si supererà il 70.
Insomma, al lavoro più a lungo e pensioni un po' più basse. Meglio farsi trovare preparati.
http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2010-06-14/pensioni-magre-anni-lavoro-092100.shtml?uuid=AYxCyQyB#continue
L'efficacia temporale dell’art. 8 L. 476/1998 in merito all’indennità di maternità a favore della mamma adottiva per figli oltre i sei anno di età
In tema di indennità di maternità, Cass. 6341/2010 afferma che ben può ipotizzarsi che il legislatore nel rendere esecutiva in Italia, con la legge 31 dicembre 1998, n. 476, la Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, adottata a l’Aja il 29 maggio 1993, abbia previsto, nel disciplinare ex novo la materia, anche una normativa sostanzialmente innovativa della precedente legislazione, non strettamente inerente alla esecuzione della predetta Convenzione, al fine, appunto, di delineare una compiuta regolamentazione della materia. Tanto deve ritenersi configurabile con riguardo all’ipotesi in esame in quanto, accanto ai precetti direttamente inerenti, in esecuzione della richiamata Convenzione, il procedimento, il legislatore del 1998 ha introdotto, nella precedente disciplina di cui alla legge 4 maggio 1983 n. 184, l’art. 39 quater, secondo il quale, per quello che interessa in questa sede, “1. Fermo restando quanto previsto in altre disposizioni di legge, i genitori adottivi e coloro che hanno un minore in affidamento preadottivo hanno diritto a fruire dei seguenti benefici: a) l’astensione dal lavoro, quale regolata dall’articolo 6, primo comma, della legge 9 dicembre 1977, n. 903, anche se il minore adottato ha superato i sei anni di età”.
Questa norma, infatti, non riguardando direttamente il procedimento dell’adozione internazionale di cui alla citata Convenzione, non può essere considerata come resa in esecuzione di tale Convenzione, bensì adottata al fine precipuo di fornire una più completa disciplina dell’intera materia. Consegue, pertanto, che proprio perché non si tratta di disposizione di attuazione della Convenzione in parola, la stessa non ha efficacia, ai sensi dell’art. 8, comma 3, della legge 31 dicembre 1998 n. 476 comma 3, a partire dalla data di entrata in vigore della Convenzione stessa, bensì dalla scadenza del periodo di vacatio legis susseguente alla pubblicazione della legge che la prevede nella Gazzetta Ufficiale
Cass. 16 marzo 2010, n. 6341
http://www.laprevidenza.it/news/assistenza/l-efficacia-temporale-dell&rsquoart-8-l-476-1998-in-merito-all&rsquoindennit/4706
Questa norma, infatti, non riguardando direttamente il procedimento dell’adozione internazionale di cui alla citata Convenzione, non può essere considerata come resa in esecuzione di tale Convenzione, bensì adottata al fine precipuo di fornire una più completa disciplina dell’intera materia. Consegue, pertanto, che proprio perché non si tratta di disposizione di attuazione della Convenzione in parola, la stessa non ha efficacia, ai sensi dell’art. 8, comma 3, della legge 31 dicembre 1998 n. 476 comma 3, a partire dalla data di entrata in vigore della Convenzione stessa, bensì dalla scadenza del periodo di vacatio legis susseguente alla pubblicazione della legge che la prevede nella Gazzetta Ufficiale
Cass. 16 marzo 2010, n. 6341
http://www.laprevidenza.it/news/assistenza/l-efficacia-temporale-dell&rsquoart-8-l-476-1998-in-merito-all&rsquoindennit/4706
Inail: sportivi professionisti e sportivi dilettanti
La previsione di una tutela antinfortunistica per gli sportivi professionisti è stata introdotta nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 23 febbraio 2000,n.38 che,in attuazione del disposto di cui all'art. 55,comma 1,lettera i) della legge delega 17 maggio 1999,n.144,ha sancito all'art.6 l'obbligo assicurativo presso l'Inail,a decorrere dal 16 marzo 2000,data di entrata in vigore del decreto,per gli sportivi professionisti dipendenti e ciò anche nella vigenza di previsioni,sia contrattuali,che di legge,di tutela con polizze privatistiche. Prima dell’introduzione della norma di cui sopra,la tutela antinfortunistica degli sportivi professionisti trovava attuazione ai sensi dell’art.8 della legge 23 marzo 1981,n.91 che obbliga le società sportive a stipulare in loro favore una polizza assicurativa individuale contro il rischio di morte e contro gli infortuni che possono pregiudicare il proseguimento dell’attività sportiva professionistica nei limiti assicurativi stabiliti,in relazione all’età ed al contenuto patrimoniale del contratto,dalle federazioni sportive nazionali,di intesa con i rappresentanti delle categorie interessate....
Inail: sportivi professionisti e sportivi dilettanti
http://www.laprevidenza.it/news/lavoro/inail-sportivi-professionisti-e-sportivi-dilettanti/4665
Inail: sportivi professionisti e sportivi dilettanti
http://www.laprevidenza.it/news/lavoro/inail-sportivi-professionisti-e-sportivi-dilettanti/4665
L'Inps non è responsabile se il lavoratore si licenzia sull'errata convinzione di aver maturato il diritto alla pensione valuntando un estratto non certificativo
(Cassazione, Sentenza 30.3.2010 n. 7683)
La sentenza di cui si domanda la cassazione accoglie l’appello dell’Istituto nazionale della previdenza sociale – Inps – e, in riforma della decisione n. 99 del 21.1.2005 del Tribunale di Firenze, rigetta la domanda proposta da P.M. Per ottenere la condanna dell’Istituto al risarcimento del danno cagionatole dall’erroneità delle indicazioni contenute negli estratti contributivi che inviati dall’Istituto.
All’esito di accoglimento dell’appello dell’Inps la Corte di appello di Firenze perviene sul rilievo che le due comunicazioni alla P. (11.8.1998 e 12.9.2002) avevano la natura di estratti- conto comunicati a titolo puramente informativo e contenenti l’esplicito avvertimento della possibilità di inesattezze, non riconducili, pertanto, alla fattispecie di certificazione rilasciata a domanda dell’assicurato e sottoscritta dal funzionario responsabile di cui alla L. n. 88 del 1989, art. 54 cosicchè non potevano fondare una responsabilità dell’Inps per il danno cagionato dalla loro inesattezza (dimissioni dal posto di lavoro nel presupposto di aver diritto alla pensione di anzianità con una certa decorrenza), danno che l’interessata poteva evitare chiedendo la prevista certificazione ai sensi di legge.
fonte http://www.laprevidenza.it/news/documenti/cass_7683_2010/4572
La sentenza di cui si domanda la cassazione accoglie l’appello dell’Istituto nazionale della previdenza sociale – Inps – e, in riforma della decisione n. 99 del 21.1.2005 del Tribunale di Firenze, rigetta la domanda proposta da P.M. Per ottenere la condanna dell’Istituto al risarcimento del danno cagionatole dall’erroneità delle indicazioni contenute negli estratti contributivi che inviati dall’Istituto.
All’esito di accoglimento dell’appello dell’Inps la Corte di appello di Firenze perviene sul rilievo che le due comunicazioni alla P. (11.8.1998 e 12.9.2002) avevano la natura di estratti- conto comunicati a titolo puramente informativo e contenenti l’esplicito avvertimento della possibilità di inesattezze, non riconducili, pertanto, alla fattispecie di certificazione rilasciata a domanda dell’assicurato e sottoscritta dal funzionario responsabile di cui alla L. n. 88 del 1989, art. 54 cosicchè non potevano fondare una responsabilità dell’Inps per il danno cagionato dalla loro inesattezza (dimissioni dal posto di lavoro nel presupposto di aver diritto alla pensione di anzianità con una certa decorrenza), danno che l’interessata poteva evitare chiedendo la prevista certificazione ai sensi di legge.
fonte http://www.laprevidenza.it/news/documenti/cass_7683_2010/4572
Assegno di accompagnamento: è una prestazione pensionistica a carattere complementare
La Suprema Corte con sentenza del 12 marzo 2010, n. 6093, pronunciandosi sulla natura dell’assegno di accompagnamento (ex art. 5 della legge n. 222 del 1984), ha statuito che esso, in virtù della stretta correlazione con la pensione di inabilità, costituisce una prestazione pensionistica a carattere previdenziale, con conseguente applicabilità del regime di irripetibilità alle condizioni previste per l’indebito previdenziale.
fonte http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_8315.asp
fonte http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_8315.asp
Avvocati, pensioni a rischio, Sticco: meglio pensarci a inizio carriera
Giustizia civile, ordine avvocati a Stresa: incontro col ministro Alfano, dibattito su riforma e conciliazione
SANTA MARIA CAPUA VETERE – “L’avvocatura – nei giorni in cui il Senato sta esaminando in prima lettura la proposta di riforma dell’Ordinamento Forense - sta subendo attacchi ideologici da responsabili di istituzioni e dai vertici di rappresentanze imprenditoriali, in ragione del rilevante e molto elevato ruolo che essa svolge nel paese” questa l’opinione del Presidente del Consiglio Nazionale Forense, Guido Alpa, pienamente condiviso dal presidente dell’ordine forense di Santa Maria Capua Vetere, Elio Sticco, che ha partecipato, con una delegazione sammaritana, alla nona conferenza nazionale della Cassa Nazionale di Previdenza Forense tenutasi a Stresa dal 15 al 18 aprile scorsi. Nel corso dei lavori - ai quali hanno preso parte oltre a Sticco, anche la vicepresidente Rosanna Raucci, delegata alla Cassa di Previdenza, e gli avvocati Umberto Elia, consigliere dell’Ordine e Carlo Maria Palmiero - è stata analizzata a fondo la condizione dell’avvocatura nell’attuale momento storico; condivisibile secondo Sticco anche la relazione del presidente della Cassa di Previdenza Forense, Marco Ubertini, il quale ha esposto le premesse e le prospettive della recente riforma previdenziale forense, basata sui principi della trasparenza, efficienza e solidarietà. "Dai lavori - ha dichiarato Sticco – è emerso che la Cassa forense si è trovata nella necessità di operare scelte che assicurassero la sostenibilità del sistema, tenendo conto dell’attuale numero degli avvocati (208.000), degli iscritti alla cassa (150.000), dell’aumento delle prospettive di vita media e della capacità degli avvocati in attività, a pagare la pensione a quelli a riposo, tenuto anche conto della caduta media dei redditi e delle nuove prospettive di mercato. Per questa ragione – ha proseguito il presidente - è stata aumentata l’età minima per andare in pensione (a regime 70 anni) ove non si raggiungano i 40 anni di anzianità contributiva (minimo d’età: 65 anni). E’ necessario, perciò, che i colleghi si preoccupino della pensione sin dai primi anni di iscrizione all’albo, attivandosi per il riscatto degli anni di laurea e di praticantato a costi inferiori di quelli che altrimenti pagherebbero rispetto a riscatti esercitati a professione avanzata". Ad hoc è stato istituito uno sportello previdenziale presso il Consiglio dell’Ordine, dove gli avvocati troveranno, oltre che la delegata alla Cassa, Rosanna Raucci, il commercialista Carlo Galloppi, esperto in materia. La delegazione sammaritana è stata poi ricevuta dal Ministro della Giustizia Angelino Alfano, a cui Sticco ha raccomandato l’impegno a far inserire, nell’ambito delle norme sulla “conciliazione”, l’assistenza tecnica obbligatoria degli avvocati, quale ineludibile garanzia per i cittadini. Il ministro a sua volta, ha rassicurato gli avvocati italiani che, nonostante le sollecitazioni dell’opposizione, manterrà l’impegno ribadito nel corso della conferenza nazionale degli Ordini Forensi tenutasi a Santa Maria Capua Vetere lo scorso anno, a far approvare la legge di riforma della professione forense nonché quella delle altre categorie professionali.
fonte http://www.casertace.it/home.asp?ultime_news_id=8843
SANTA MARIA CAPUA VETERE – “L’avvocatura – nei giorni in cui il Senato sta esaminando in prima lettura la proposta di riforma dell’Ordinamento Forense - sta subendo attacchi ideologici da responsabili di istituzioni e dai vertici di rappresentanze imprenditoriali, in ragione del rilevante e molto elevato ruolo che essa svolge nel paese” questa l’opinione del Presidente del Consiglio Nazionale Forense, Guido Alpa, pienamente condiviso dal presidente dell’ordine forense di Santa Maria Capua Vetere, Elio Sticco, che ha partecipato, con una delegazione sammaritana, alla nona conferenza nazionale della Cassa Nazionale di Previdenza Forense tenutasi a Stresa dal 15 al 18 aprile scorsi. Nel corso dei lavori - ai quali hanno preso parte oltre a Sticco, anche la vicepresidente Rosanna Raucci, delegata alla Cassa di Previdenza, e gli avvocati Umberto Elia, consigliere dell’Ordine e Carlo Maria Palmiero - è stata analizzata a fondo la condizione dell’avvocatura nell’attuale momento storico; condivisibile secondo Sticco anche la relazione del presidente della Cassa di Previdenza Forense, Marco Ubertini, il quale ha esposto le premesse e le prospettive della recente riforma previdenziale forense, basata sui principi della trasparenza, efficienza e solidarietà. "Dai lavori - ha dichiarato Sticco – è emerso che la Cassa forense si è trovata nella necessità di operare scelte che assicurassero la sostenibilità del sistema, tenendo conto dell’attuale numero degli avvocati (208.000), degli iscritti alla cassa (150.000), dell’aumento delle prospettive di vita media e della capacità degli avvocati in attività, a pagare la pensione a quelli a riposo, tenuto anche conto della caduta media dei redditi e delle nuove prospettive di mercato. Per questa ragione – ha proseguito il presidente - è stata aumentata l’età minima per andare in pensione (a regime 70 anni) ove non si raggiungano i 40 anni di anzianità contributiva (minimo d’età: 65 anni). E’ necessario, perciò, che i colleghi si preoccupino della pensione sin dai primi anni di iscrizione all’albo, attivandosi per il riscatto degli anni di laurea e di praticantato a costi inferiori di quelli che altrimenti pagherebbero rispetto a riscatti esercitati a professione avanzata". Ad hoc è stato istituito uno sportello previdenziale presso il Consiglio dell’Ordine, dove gli avvocati troveranno, oltre che la delegata alla Cassa, Rosanna Raucci, il commercialista Carlo Galloppi, esperto in materia. La delegazione sammaritana è stata poi ricevuta dal Ministro della Giustizia Angelino Alfano, a cui Sticco ha raccomandato l’impegno a far inserire, nell’ambito delle norme sulla “conciliazione”, l’assistenza tecnica obbligatoria degli avvocati, quale ineludibile garanzia per i cittadini. Il ministro a sua volta, ha rassicurato gli avvocati italiani che, nonostante le sollecitazioni dell’opposizione, manterrà l’impegno ribadito nel corso della conferenza nazionale degli Ordini Forensi tenutasi a Santa Maria Capua Vetere lo scorso anno, a far approvare la legge di riforma della professione forense nonché quella delle altre categorie professionali.
fonte http://www.casertace.it/home.asp?ultime_news_id=8843
Trasmissione telematica delle certificazioni di malattia all’Inps. Aspetti organizzativi e prime istruzioni operative
(Inps, Circolare 16.4.2010 n. 60)
Con il decreto del Ministero della Salute, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero dell’economia e delle finanze del 26.02.2010 (Gazzetta Ufficiale n. 65/2010) si è concluso un lungo percorso normativo mediante il quale il legislatore, ispirandosi ai principi di sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nell’azione amministrativa (Codice dell’amministrazione digitale) ha disposto il collegamento in rete dei medici curanti nonché la trasmissione telematica delle certificazioni di malattia all’Inps, per i lavoratori del settore privato. Anche per il settore pubblico, il Dipartimento della funzione pubblica e il Dipartimento della digitalizzazione della Pubblica amministrazione e dell’innovazione tecnologica, con la circolare n. 1 del 19.03.2010, hanno fornito istruzioni operative per la trasmissione telematica dei certificati secondo le modalità stabilite per il settore privato...
fonte http://www.laprevidenza.it/news/pubblico-impiego/trasmissione-telematica-delle-certificazioni-di-malattia-all&rsquoinps-aspetti/4545
Con il decreto del Ministero della Salute, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero dell’economia e delle finanze del 26.02.2010 (Gazzetta Ufficiale n. 65/2010) si è concluso un lungo percorso normativo mediante il quale il legislatore, ispirandosi ai principi di sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nell’azione amministrativa (Codice dell’amministrazione digitale) ha disposto il collegamento in rete dei medici curanti nonché la trasmissione telematica delle certificazioni di malattia all’Inps, per i lavoratori del settore privato. Anche per il settore pubblico, il Dipartimento della funzione pubblica e il Dipartimento della digitalizzazione della Pubblica amministrazione e dell’innovazione tecnologica, con la circolare n. 1 del 19.03.2010, hanno fornito istruzioni operative per la trasmissione telematica dei certificati secondo le modalità stabilite per il settore privato...
fonte http://www.laprevidenza.it/news/pubblico-impiego/trasmissione-telematica-delle-certificazioni-di-malattia-all&rsquoinps-aspetti/4545
Regolamento per l’accesso ai documenti amministrativi presso l’INPDAP
ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA
PER I DIPENDENTI DELL’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA
(G.U. n. 79 del 6-4-2010)
Con deliberazione commissariale del 23 marzo 2010, n. 173, è stato approvato il seguente regolamento per l’accesso ai documenti amministrativi presso l’Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica.
Capo I
Art. 1. Finalità.
1. Il presente regolamento disciplina, in conformità a quanto stabilito dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, successive modifiche ed integrazioni, e dal d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184, le modalità di esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi presso l’Inpdap – di seguito denominato Istituto – e definisce le ipotesi di differimento e di esclusione dell’accesso allorché i documenti riguardino i beni e gli interessi indicati dall’art. 24 della legge n. 241 del 1990.
Art. 2. Oggetto dell’accesso.
1. Il diritto di accesso ha per oggetto i documenti amministrativi come definiti dall’art. 22, comma 1, lett. d), della legge n. 241 del 1990, ivi compresi i documenti elettronici conservati in banche dati, concernenti attività di pubblico interesse poste in essere dall’Istituto.
Art. 3. Richiesta di accesso.
1. Ai fini dell’ammissibilità dell’istanza di accesso, il richiedente dovrà indicare i seguenti elementi:
a) la propria identità tramite esibizione di un documento di riconoscimento in corso di validità, ovvero mediante allegazione di copia di un documento di riconoscimento firmato. Il soggetto che agisca in rappresentanza dell’interessato, inoltre, dovrà esibire o allegare copia della procura sottoscritta in presenza di un funzionario dell’Istituto ovvero copia della procura unitamente ad una copia fotostatica, sottoscritta dall’interessato, di un documento di riconoscimento dello stesso. Se l’accesso è richiesto da una persona giuridica, un ente o un’associazione, l’istanza dovrà essere avanzata dalla persona fisica legittimata in base ai rispettivi statuti o regolamenti;
b) gli estremi del documento ovvero i dati che consentano di individuare il documento amministrativo al quale chiede di accedere;
c) la motivazione della richiesta specificando e, ove occorra, comprovando l’interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, che giustifica la richiesta e il collegamento tra tale situazione e il documento al quale si chiede di accedere.
2. La richiesta può essere presentata in uno dei seguenti modi: a) per via postale. Ai fini della determinazione della data di ricezione della richiesta, fa fede la data risultante dall’avviso di ricevimento o, in mancanza, quella del protocollo dell’unità organizzativa dell’Istituto competente; b) mediante telefax;
c) per via telematica, qualora tale modalità consenta la concreta identificazione del richiedente;
d) personalmente presso l’unità organizzativa competente a formare il documento o a detenerlo stabilmente. In caso di accesso formale, l’unità organizzativa rilascia al richiedente apposita ricevuta.
3. La richiesta di accesso può essere avanzata in via informale verbalmente.
4. Qualora non sia possibile l’accoglimento immediato della richiesta presentata in via informale, ovvero sorgano dubbi sulla sussistenza degli elementi di cui al comma 1 del presente articolo, l’unità organizzativa competente a formare il documento o a detenerlo stabilmente invita il richiedente a presentare istanza di accesso formale. Analogo invito viene rivolto qualora dall’esame del contenuto del documento emerga l’esistenza di controinteressati.
5. Ove la richiesta di accesso sia irregolare o incompleta, il responsabile del procedimento, come individuato dall’art. 4 del presente regolamento, provvede ad informarne immediatamente il richiedente nel caso la modalità di presentazione sia quella prevista dal comma 2, lett. d) del presente articolo, ovvero ne dà comunicazione al richiedente tramite raccomandata con avviso di ricevimento, o con altro mezzo idoneo a comprovarne la ricezione, entro dieci giorni dalla presentazione. In tal caso il termine del procedimento ricomincia a decorrere dalla presentazione della richiesta corretta.
6. Le richieste di accesso, presentate in forma scritta, sono formulate utilizzando il modulo di cui all’allegato A del presente regolamento, reperibile presso le Sedi dell’Istituto e pubblicato nel sito web www.inpdap.gov.it. Tale richieste potranno essere presentate anche senza l’ausilio del predetto modulo, purché contengano tutti gli elementi indicati dal comma 1 del presente articolo.
7. La richiesta di accesso può essere presentata anche per il tramite dell’Ufficio relazioni con il pubblico dell’unità organizzativa competente a formare il documento o a detenerlo stabilmente.
8. Ove la richiesta di accesso si riferisca ad un documento formato o detenuto da un ufficio della Direzione Generale Inpdap ubicata in Roma, la richiesta potrà essere presentata anche per il tramite della Direzione Centrale Comunicazione, Studi e Relazioni Internazionali, all’indirizzo di posta elettronica dccomundirgen@inpdap.gov.it, ovvero al seguente indirizzo: Inpdap – Direzione Centrale Comunicazione, Studi e Relazioni Internazionali, largo J. Escrivà de Balaguer, 11 – 00142 Roma.
9. I recapiti degli Uffici Inpdap competenti a ricevere le richieste di accesso sono pubblicati nel sito web dell’Istituto: www.inpdap.gov.it.
Art. 4 Responsabile del procedimento.
1. Responsabile del procedimento di accesso è il dirigente, il funzionario preposto all’unità organizzativa o altro dipendente addetto all’unità competente a formare il documento o a detenerlo stabilmente.
2. Con proprio atto organizzativo il dirigente di ciascuna struttura dell’Istituto assegna a sé, o ad altro funzionario della stessa unità organizzativa, la responsabilità del procedimento di accesso. Tale funzionario è di norma individuato nel responsabile del procedimento cui il documento si riferisce.
3. Gli uffici relazioni con il pubblico, ove presenti presso l’unità organizzativa interessata e fatte salve le competenze di cui all’art. 9 del presente regolamento, ricevono la richiesta e trasmettono senza indugio la stessa al responsabile del procedimento fornendo collaborazione per la celere conclusione della procedura di accesso.
Art. 5 Controinteressati.
1. Qualora dall’esame del contenuto del documento o di quelli ad esso connessi emerga l’esistenza di soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il proprio diritto alla riservatezza, il responsabile del procedimento deve darne comunicazione agli stessi mediante l’invio di copia della richiesta tramite raccomandata con avviso di ricevimento ovvero, qualora tale modalità consenta l’effettiva identificazione del destinatario, per via telematica.
2. I controinteressati, entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione possono presentare motivata opposizione alla richiesta di accesso. Decorso tale termine e accertata la ricezione della comunicazione, l’unità organizzativa provvede sulla richiesta.
3. La valutazione effettuata in merito alle argomentazioni addotte nell’opposizione dovrà essere sinteticamente illustrata nell’atto determinativo adottato a conclusione del procedimento di accesso.
Art. 6 Accoglimento della richiesta e modalità di accesso.
1. L’atto di accoglimento della richiesta di accesso indica l’unità organizzativa, completa di indirizzo, presso la quale è possibile visionare il documento o estrarne copia. L’atto menzionato indica, altresì, il periodo di tempo, non inferiore a quindici giorni, per esercitare il diritto di accesso, l’orario di apertura della struttura, i costi di riproduzione in caso di estrazione di copia, e le relative modalità di pagamento.
2. L’accoglimento della richiesta di accesso a un documento comporta anche la facoltà di accesso agli altri documenti nello stesso richiamati e appartenenti al medesimo procedimento, fatto salvo il caso che per essi sussistano cause di differimento o esclusione disciplinate dal capo II del presente regolamento.
3. L’accesso ai documenti può essere autorizzato anche in forma parziale qualora alcune parti di essi contengano informazioni la cui apprensione sia in grado di ledere i beni e interessi di cui all’art. 24 della legge n. 241 del 1990.
4. L’accesso ai dati conservati su supporti elettronici o in banche dati può avvenire mediante consultazione al terminale assistita da personale dell’istituto. Dei documenti così conservati può ottenersi copia su supporto cartaceo.
5. L’estrazione di copia può essere effettuata, ove la natura del documento lo consenta e l’operazione non presenti rischi per la sicurezza del sistema informativo dell’Istituto, tramite riversamento su supporto elettronico fornito dal richiedente ovvero tramite collegamento in rete ove tale modalità consenta di individuare il destinatario tramite apposita certificazione elettronica. In tal caso l’Istituto non risponde dell’eventuale deterioramento delle copie dei documenti dovuti alla qualità del supporto utilizzato.
6. Ove consentito dalla natura del documento cui si chiede l’accesso e qualora ciò non comporti un eccessivo aggravio della normale attività amministrativa, può essere autorizzato l’invio a mezzo posta di copia degli atti. In tal caso la trasmissione può avvenire solo previo pagamento dei costi indicati nell’art. 7 del presente regolamento nonché dei costi di spedizione. L’Istituto non risponde di ritardi o smarrimenti dovuti al servizio postale.
7. Quando il diritto di accesso si esplica mediante presa visione di documenti, viene redatto apposito processo verbale sottoscritto dal richiedente e dal funzionario che ha esibito la documentazione. Qualora venga richiesta l’estrazione di copia del documento, la consegna della stessa dovrà essere attestata da dichiarazione per ricevuta sottoscritta dal richiedente.
Art. 7 Costi di riproduzione.
1. Il richiedente, nei modi e con i limiti previsti dalle norme legislative e regolamentari, può ottenere copia, anche autentica, dei documenti formati o detenuti dall’Istituto. Il rilascio di copia è subordinato al rimborso del costo di riproduzione, fissato in € 0,20 per facciata, salve le disposizioni vigenti in materia di bollo. Il costo di spedizione a mezzo telefax è determinato nella misura di € 0,30 per facciata. I predetti costi di riproduzione potranno essere aggiornati con determinazione del direttore generale dell’Istituto.
2. Il pagamento, in contanti o tramite assegno bancario non trasferibile intestato all’Istituto, può essere effettuato direttamente presso il servizio economato e cassa attivo in ogni struttura territoriale e presso la direzione generale dell’Istituto. Dell’avvenuta corresponsione il servizio rilascia apposita ricevuta che dovrà essere esibita al responsabile del procedimento ai fini della consegna di copia della documentazione richiesta.
3. Qualora l’interessato voglia usufruire di tale modalità di pagamento, e nel caso di richiesta di trasmissione di copia del documento attraverso telefax o servizio postale, il costo, e le eventuali spese di spedizione, saranno corrisposti tramite bollettino di conto corrente postale ovvero bonifico bancario a favore dell’Istituto. Sarà cura del responsabile del procedimento indicare nella comunicazione di accoglimento della richiesta di accesso il numero di conto corrente postale o le coordinate bancarie per l’effettuazione del pagamento.
8. Termine per la conclusione del procedimento di accesso formale.
1. Il procedimento di accesso deve concludersi nel termine di trenta giorni decorrenti dalla presentazione della richiesta all’unità organizzativa competente o dalla ricezione della medesima nell’ipotesi in cui l’istanza sia stata presentata ad altra struttura.
2. Decorso inutilmente il predetto termine la richiesta si intende respinta.
Art. 9 Relazioni con il pubblico.
1. Gli uffici relazioni con il pubblico forniscono informazioni circa le strutture dell’Istituto competenti a ricevere le richieste di accesso.
2. Gli uffici assicurano, altresì, assistenza agli utenti per agevolare l’esercizio del diritto di accesso.
3. Presso gli uffici relazioni con il pubblico sono reperibili i moduli per la presentazione delle istanze di accesso.
Capo II
Art. 10 Ipotesi di differimento.
1. Il differimento dell’accesso è disposto ove sia sufficiente ad assicurare una temporanea tutela degli interessi di cui all’art. 24, comma 6, della legge n. 241 del 1990 e di quelli indicati dall’art. 12 del presente regolamento o per salvaguardare specifiche esigenze dell’Istituto, specie nella fase preparatoria dei provvedimenti, in relazione a documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell’azione amministrativa.
2. L’accesso è altresì differito nei casi in cui l’amministrazione che ha formato il documento ne abbia a sua volta differito la visione o l’estrazione di copia.
3. Il differimento deve essere motivato. L’atto che dispone il differimento dell’accesso ne indica la durata.
4. Si intendono ricompresi fra i documenti di cui al comma 1 del presente articolo i seguenti documenti:
a) per la tutela della riservatezza delle persone fisiche interessate, i verbali di visite ispettive, le informative e i rapporti redatti nell’ambito di attività di vigilanza e controllo, qualora tali documenti contengano elementi utili all’attivazione di azioni di responsabilità amministrativa, civile, contabile o penale. L’accesso a tali documenti è differito fino all’adozione dell’atto di avvio del procedimento di responsabilità;
b) per la tutela della riservatezza degli offerenti e nei termini previsti dalla vigente normativa in materia di contratti pubblici, i documenti relativi alle procedure di gara;
c) per il buon andamento dell’azione amministrativa, i documenti inerenti all’attività istruttoria sui ricorsi ai Comitati di vigilanza. L’accesso a tali documenti è differito fino all’adozione della relativa deliberazione.
Art. 11 Casi di esclusione
1. Sono esclusi dall’accesso i documenti inerenti all’attività preparatoria dell’adozione da parte degli organi collegiali dell’Istituto di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, qualora il relativo procedimento non preveda la preventiva informazione o consultazione di organizzazioni portatrici di interessi collettivi.
2. Sono esclusi dall’accesso i documenti contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relative a dipendenti dell’Istituto nell’ambito di procedimenti selettivi.
3. Fatti salvi i casi di pubblicità normativamente previsti, in relazione all’esigenza di salvaguardare la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento all’interesse epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, sono sottratti all’accesso i seguenti documenti: a) documenti matricolari, rapporti informativi o valutativi, documenti attinenti al trattamento economico individuale del personale dell’Istituto; b) documenti contenenti dati sensibili o giudiziari relativi ai dipendenti e agli utenti dell’Istituto ove l’accesso non sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’art. 60 del d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196 in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale;
c) documenti inerenti all’informazione, alla consultazione e alla contrattazione sindacale fermi restando i diritti e le prerogative previste dai protocolli d’intesa sottoscritti con le organizzazioni sindacali;
d) documenti relativi a procedure conciliative o arbitrali; è fatto salvo il diritto dell’interessato di accedere ai predetti documenti amministrativi per curare o difendere i propri interessi giuridici;
e) documenti attinenti a procedimenti monitori o cautelari.
4. In relazione all’esigenza di salvaguardare il segreto professionale, sono sottratti all’accesso i seguenti documenti:
a) i pareri legali, relativi a controversie potenziali o in atto, e la relativa corrispondenza, salvo che gli stessi costituiscano presupposto logicogiuridico richiamato in atti emanati dall’Istituto non esclusi dall’accesso; b) perizie, stime e valutazioni effettuate da professionisti appartenenti alle strutture consulenziali dell’Istituto o esterni ad esso che agiscono in base a rapporti di collaborazione professionale, fatte salve le ipotesi nelle quali vengano espressamente richiamate in provvedimenti adottati dall’Inpdap.
Art. 12 Entrata in vigore
1. Il presente regolamento entra in vigore il quindicesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
fonte http://www.laprevidenza.it/news/documenti/regolamento_inpdap/4542
PER I DIPENDENTI DELL’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA
(G.U. n. 79 del 6-4-2010)
Con deliberazione commissariale del 23 marzo 2010, n. 173, è stato approvato il seguente regolamento per l’accesso ai documenti amministrativi presso l’Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica.
Capo I
Art. 1. Finalità.
1. Il presente regolamento disciplina, in conformità a quanto stabilito dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, successive modifiche ed integrazioni, e dal d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184, le modalità di esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi presso l’Inpdap – di seguito denominato Istituto – e definisce le ipotesi di differimento e di esclusione dell’accesso allorché i documenti riguardino i beni e gli interessi indicati dall’art. 24 della legge n. 241 del 1990.
Art. 2. Oggetto dell’accesso.
1. Il diritto di accesso ha per oggetto i documenti amministrativi come definiti dall’art. 22, comma 1, lett. d), della legge n. 241 del 1990, ivi compresi i documenti elettronici conservati in banche dati, concernenti attività di pubblico interesse poste in essere dall’Istituto.
Art. 3. Richiesta di accesso.
1. Ai fini dell’ammissibilità dell’istanza di accesso, il richiedente dovrà indicare i seguenti elementi:
a) la propria identità tramite esibizione di un documento di riconoscimento in corso di validità, ovvero mediante allegazione di copia di un documento di riconoscimento firmato. Il soggetto che agisca in rappresentanza dell’interessato, inoltre, dovrà esibire o allegare copia della procura sottoscritta in presenza di un funzionario dell’Istituto ovvero copia della procura unitamente ad una copia fotostatica, sottoscritta dall’interessato, di un documento di riconoscimento dello stesso. Se l’accesso è richiesto da una persona giuridica, un ente o un’associazione, l’istanza dovrà essere avanzata dalla persona fisica legittimata in base ai rispettivi statuti o regolamenti;
b) gli estremi del documento ovvero i dati che consentano di individuare il documento amministrativo al quale chiede di accedere;
c) la motivazione della richiesta specificando e, ove occorra, comprovando l’interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, che giustifica la richiesta e il collegamento tra tale situazione e il documento al quale si chiede di accedere.
2. La richiesta può essere presentata in uno dei seguenti modi: a) per via postale. Ai fini della determinazione della data di ricezione della richiesta, fa fede la data risultante dall’avviso di ricevimento o, in mancanza, quella del protocollo dell’unità organizzativa dell’Istituto competente; b) mediante telefax;
c) per via telematica, qualora tale modalità consenta la concreta identificazione del richiedente;
d) personalmente presso l’unità organizzativa competente a formare il documento o a detenerlo stabilmente. In caso di accesso formale, l’unità organizzativa rilascia al richiedente apposita ricevuta.
3. La richiesta di accesso può essere avanzata in via informale verbalmente.
4. Qualora non sia possibile l’accoglimento immediato della richiesta presentata in via informale, ovvero sorgano dubbi sulla sussistenza degli elementi di cui al comma 1 del presente articolo, l’unità organizzativa competente a formare il documento o a detenerlo stabilmente invita il richiedente a presentare istanza di accesso formale. Analogo invito viene rivolto qualora dall’esame del contenuto del documento emerga l’esistenza di controinteressati.
5. Ove la richiesta di accesso sia irregolare o incompleta, il responsabile del procedimento, come individuato dall’art. 4 del presente regolamento, provvede ad informarne immediatamente il richiedente nel caso la modalità di presentazione sia quella prevista dal comma 2, lett. d) del presente articolo, ovvero ne dà comunicazione al richiedente tramite raccomandata con avviso di ricevimento, o con altro mezzo idoneo a comprovarne la ricezione, entro dieci giorni dalla presentazione. In tal caso il termine del procedimento ricomincia a decorrere dalla presentazione della richiesta corretta.
6. Le richieste di accesso, presentate in forma scritta, sono formulate utilizzando il modulo di cui all’allegato A del presente regolamento, reperibile presso le Sedi dell’Istituto e pubblicato nel sito web www.inpdap.gov.it. Tale richieste potranno essere presentate anche senza l’ausilio del predetto modulo, purché contengano tutti gli elementi indicati dal comma 1 del presente articolo.
7. La richiesta di accesso può essere presentata anche per il tramite dell’Ufficio relazioni con il pubblico dell’unità organizzativa competente a formare il documento o a detenerlo stabilmente.
8. Ove la richiesta di accesso si riferisca ad un documento formato o detenuto da un ufficio della Direzione Generale Inpdap ubicata in Roma, la richiesta potrà essere presentata anche per il tramite della Direzione Centrale Comunicazione, Studi e Relazioni Internazionali, all’indirizzo di posta elettronica dccomundirgen@inpdap.gov.it, ovvero al seguente indirizzo: Inpdap – Direzione Centrale Comunicazione, Studi e Relazioni Internazionali, largo J. Escrivà de Balaguer, 11 – 00142 Roma.
9. I recapiti degli Uffici Inpdap competenti a ricevere le richieste di accesso sono pubblicati nel sito web dell’Istituto: www.inpdap.gov.it.
Art. 4 Responsabile del procedimento.
1. Responsabile del procedimento di accesso è il dirigente, il funzionario preposto all’unità organizzativa o altro dipendente addetto all’unità competente a formare il documento o a detenerlo stabilmente.
2. Con proprio atto organizzativo il dirigente di ciascuna struttura dell’Istituto assegna a sé, o ad altro funzionario della stessa unità organizzativa, la responsabilità del procedimento di accesso. Tale funzionario è di norma individuato nel responsabile del procedimento cui il documento si riferisce.
3. Gli uffici relazioni con il pubblico, ove presenti presso l’unità organizzativa interessata e fatte salve le competenze di cui all’art. 9 del presente regolamento, ricevono la richiesta e trasmettono senza indugio la stessa al responsabile del procedimento fornendo collaborazione per la celere conclusione della procedura di accesso.
Art. 5 Controinteressati.
1. Qualora dall’esame del contenuto del documento o di quelli ad esso connessi emerga l’esistenza di soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il proprio diritto alla riservatezza, il responsabile del procedimento deve darne comunicazione agli stessi mediante l’invio di copia della richiesta tramite raccomandata con avviso di ricevimento ovvero, qualora tale modalità consenta l’effettiva identificazione del destinatario, per via telematica.
2. I controinteressati, entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione possono presentare motivata opposizione alla richiesta di accesso. Decorso tale termine e accertata la ricezione della comunicazione, l’unità organizzativa provvede sulla richiesta.
3. La valutazione effettuata in merito alle argomentazioni addotte nell’opposizione dovrà essere sinteticamente illustrata nell’atto determinativo adottato a conclusione del procedimento di accesso.
Art. 6 Accoglimento della richiesta e modalità di accesso.
1. L’atto di accoglimento della richiesta di accesso indica l’unità organizzativa, completa di indirizzo, presso la quale è possibile visionare il documento o estrarne copia. L’atto menzionato indica, altresì, il periodo di tempo, non inferiore a quindici giorni, per esercitare il diritto di accesso, l’orario di apertura della struttura, i costi di riproduzione in caso di estrazione di copia, e le relative modalità di pagamento.
2. L’accoglimento della richiesta di accesso a un documento comporta anche la facoltà di accesso agli altri documenti nello stesso richiamati e appartenenti al medesimo procedimento, fatto salvo il caso che per essi sussistano cause di differimento o esclusione disciplinate dal capo II del presente regolamento.
3. L’accesso ai documenti può essere autorizzato anche in forma parziale qualora alcune parti di essi contengano informazioni la cui apprensione sia in grado di ledere i beni e interessi di cui all’art. 24 della legge n. 241 del 1990.
4. L’accesso ai dati conservati su supporti elettronici o in banche dati può avvenire mediante consultazione al terminale assistita da personale dell’istituto. Dei documenti così conservati può ottenersi copia su supporto cartaceo.
5. L’estrazione di copia può essere effettuata, ove la natura del documento lo consenta e l’operazione non presenti rischi per la sicurezza del sistema informativo dell’Istituto, tramite riversamento su supporto elettronico fornito dal richiedente ovvero tramite collegamento in rete ove tale modalità consenta di individuare il destinatario tramite apposita certificazione elettronica. In tal caso l’Istituto non risponde dell’eventuale deterioramento delle copie dei documenti dovuti alla qualità del supporto utilizzato.
6. Ove consentito dalla natura del documento cui si chiede l’accesso e qualora ciò non comporti un eccessivo aggravio della normale attività amministrativa, può essere autorizzato l’invio a mezzo posta di copia degli atti. In tal caso la trasmissione può avvenire solo previo pagamento dei costi indicati nell’art. 7 del presente regolamento nonché dei costi di spedizione. L’Istituto non risponde di ritardi o smarrimenti dovuti al servizio postale.
7. Quando il diritto di accesso si esplica mediante presa visione di documenti, viene redatto apposito processo verbale sottoscritto dal richiedente e dal funzionario che ha esibito la documentazione. Qualora venga richiesta l’estrazione di copia del documento, la consegna della stessa dovrà essere attestata da dichiarazione per ricevuta sottoscritta dal richiedente.
Art. 7 Costi di riproduzione.
1. Il richiedente, nei modi e con i limiti previsti dalle norme legislative e regolamentari, può ottenere copia, anche autentica, dei documenti formati o detenuti dall’Istituto. Il rilascio di copia è subordinato al rimborso del costo di riproduzione, fissato in € 0,20 per facciata, salve le disposizioni vigenti in materia di bollo. Il costo di spedizione a mezzo telefax è determinato nella misura di € 0,30 per facciata. I predetti costi di riproduzione potranno essere aggiornati con determinazione del direttore generale dell’Istituto.
2. Il pagamento, in contanti o tramite assegno bancario non trasferibile intestato all’Istituto, può essere effettuato direttamente presso il servizio economato e cassa attivo in ogni struttura territoriale e presso la direzione generale dell’Istituto. Dell’avvenuta corresponsione il servizio rilascia apposita ricevuta che dovrà essere esibita al responsabile del procedimento ai fini della consegna di copia della documentazione richiesta.
3. Qualora l’interessato voglia usufruire di tale modalità di pagamento, e nel caso di richiesta di trasmissione di copia del documento attraverso telefax o servizio postale, il costo, e le eventuali spese di spedizione, saranno corrisposti tramite bollettino di conto corrente postale ovvero bonifico bancario a favore dell’Istituto. Sarà cura del responsabile del procedimento indicare nella comunicazione di accoglimento della richiesta di accesso il numero di conto corrente postale o le coordinate bancarie per l’effettuazione del pagamento.
8. Termine per la conclusione del procedimento di accesso formale.
1. Il procedimento di accesso deve concludersi nel termine di trenta giorni decorrenti dalla presentazione della richiesta all’unità organizzativa competente o dalla ricezione della medesima nell’ipotesi in cui l’istanza sia stata presentata ad altra struttura.
2. Decorso inutilmente il predetto termine la richiesta si intende respinta.
Art. 9 Relazioni con il pubblico.
1. Gli uffici relazioni con il pubblico forniscono informazioni circa le strutture dell’Istituto competenti a ricevere le richieste di accesso.
2. Gli uffici assicurano, altresì, assistenza agli utenti per agevolare l’esercizio del diritto di accesso.
3. Presso gli uffici relazioni con il pubblico sono reperibili i moduli per la presentazione delle istanze di accesso.
Capo II
Art. 10 Ipotesi di differimento.
1. Il differimento dell’accesso è disposto ove sia sufficiente ad assicurare una temporanea tutela degli interessi di cui all’art. 24, comma 6, della legge n. 241 del 1990 e di quelli indicati dall’art. 12 del presente regolamento o per salvaguardare specifiche esigenze dell’Istituto, specie nella fase preparatoria dei provvedimenti, in relazione a documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell’azione amministrativa.
2. L’accesso è altresì differito nei casi in cui l’amministrazione che ha formato il documento ne abbia a sua volta differito la visione o l’estrazione di copia.
3. Il differimento deve essere motivato. L’atto che dispone il differimento dell’accesso ne indica la durata.
4. Si intendono ricompresi fra i documenti di cui al comma 1 del presente articolo i seguenti documenti:
a) per la tutela della riservatezza delle persone fisiche interessate, i verbali di visite ispettive, le informative e i rapporti redatti nell’ambito di attività di vigilanza e controllo, qualora tali documenti contengano elementi utili all’attivazione di azioni di responsabilità amministrativa, civile, contabile o penale. L’accesso a tali documenti è differito fino all’adozione dell’atto di avvio del procedimento di responsabilità;
b) per la tutela della riservatezza degli offerenti e nei termini previsti dalla vigente normativa in materia di contratti pubblici, i documenti relativi alle procedure di gara;
c) per il buon andamento dell’azione amministrativa, i documenti inerenti all’attività istruttoria sui ricorsi ai Comitati di vigilanza. L’accesso a tali documenti è differito fino all’adozione della relativa deliberazione.
Art. 11 Casi di esclusione
1. Sono esclusi dall’accesso i documenti inerenti all’attività preparatoria dell’adozione da parte degli organi collegiali dell’Istituto di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, qualora il relativo procedimento non preveda la preventiva informazione o consultazione di organizzazioni portatrici di interessi collettivi.
2. Sono esclusi dall’accesso i documenti contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relative a dipendenti dell’Istituto nell’ambito di procedimenti selettivi.
3. Fatti salvi i casi di pubblicità normativamente previsti, in relazione all’esigenza di salvaguardare la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento all’interesse epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, sono sottratti all’accesso i seguenti documenti: a) documenti matricolari, rapporti informativi o valutativi, documenti attinenti al trattamento economico individuale del personale dell’Istituto; b) documenti contenenti dati sensibili o giudiziari relativi ai dipendenti e agli utenti dell’Istituto ove l’accesso non sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’art. 60 del d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196 in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale;
c) documenti inerenti all’informazione, alla consultazione e alla contrattazione sindacale fermi restando i diritti e le prerogative previste dai protocolli d’intesa sottoscritti con le organizzazioni sindacali;
d) documenti relativi a procedure conciliative o arbitrali; è fatto salvo il diritto dell’interessato di accedere ai predetti documenti amministrativi per curare o difendere i propri interessi giuridici;
e) documenti attinenti a procedimenti monitori o cautelari.
4. In relazione all’esigenza di salvaguardare il segreto professionale, sono sottratti all’accesso i seguenti documenti:
a) i pareri legali, relativi a controversie potenziali o in atto, e la relativa corrispondenza, salvo che gli stessi costituiscano presupposto logicogiuridico richiamato in atti emanati dall’Istituto non esclusi dall’accesso; b) perizie, stime e valutazioni effettuate da professionisti appartenenti alle strutture consulenziali dell’Istituto o esterni ad esso che agiscono in base a rapporti di collaborazione professionale, fatte salve le ipotesi nelle quali vengano espressamente richiamate in provvedimenti adottati dall’Inpdap.
Art. 12 Entrata in vigore
1. Il presente regolamento entra in vigore il quindicesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
fonte http://www.laprevidenza.it/news/documenti/regolamento_inpdap/4542
La cassa deve risarcire il danno morale al professionista se gli preclude illegittimamente di esercitare
Ha diritto al danno non patrimoniale il professionista al quale la Cassa di previdenza nega illegittimamente la ricongiunzione dei contributi versati privandolo della possibilità di lavorare e quindi di esercitare “una legittima scelta di vita”.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con una sentenza di ieri (si veda link sotto) ha respinto il ricorso della Cassa di previdenza e assistenza dei geometri, confermando definitivamente il risarcimento del danno non patrimoniale in favore di un iscritto (che per un lungo periodo, pur essendo iscritto era stato un dipendente comunale e quindi aveva versato anche al CPDEL) al quale era stata negata illegittimamente la ricongiunzione ai fini pensionistici dell’intero periodo assicurativo.
Dopo aver richiamato le due note decisioni della Suprema corte del 2003 (la n. 8827 e 8828, consultabili all'interno della banca dati) (con le quali è stata prevista la possibilità di risarcire i danni morali dei diritti costituzionalmente garantiti anche in assenza di reato) la sezione lavoro ha precisato che “la nuova dislocazione dei danni alla persona nell'ambito dell'art. 2059 c.c. appare senz'altro idonea non solo a far superare le difficoltà relative alla selezione dei danno non patrimoniale risarcibile, ma anche a rendere possibile la soluzione di molti dei problemi che sorgono con riferimento alle tecniche di valutazione e di liquidazione del danno non patrimoniale”. Dunque, “coerentemente al contenuto di tali pronunce la giurisprudenza ha individuato, nell'ambito del danno non patrimoniale risarcibile ex art. 2059 c.c., la categoria del danno morale, o danno soggettivo puro, riconducibile alla sofferenza morale soggettiva, quella del danno biologico, riconducibile a lla lesione dell'integrità psico-fisica e cioè alla compromissione della salute, e quella del danno esistenziale, riconducibile alla sfera realizzatrice dell'individuo ed attinente al "fare" del soggetto offeso”.
Sulla base di queste premesse la Suprema corte ha confermato il risarcimento del danno chiesto dal professionista “per non aver potuto adottare una legittima scelta di vita”.
fonte cassazione.net
Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con una sentenza di ieri (si veda link sotto) ha respinto il ricorso della Cassa di previdenza e assistenza dei geometri, confermando definitivamente il risarcimento del danno non patrimoniale in favore di un iscritto (che per un lungo periodo, pur essendo iscritto era stato un dipendente comunale e quindi aveva versato anche al CPDEL) al quale era stata negata illegittimamente la ricongiunzione ai fini pensionistici dell’intero periodo assicurativo.
Dopo aver richiamato le due note decisioni della Suprema corte del 2003 (la n. 8827 e 8828, consultabili all'interno della banca dati) (con le quali è stata prevista la possibilità di risarcire i danni morali dei diritti costituzionalmente garantiti anche in assenza di reato) la sezione lavoro ha precisato che “la nuova dislocazione dei danni alla persona nell'ambito dell'art. 2059 c.c. appare senz'altro idonea non solo a far superare le difficoltà relative alla selezione dei danno non patrimoniale risarcibile, ma anche a rendere possibile la soluzione di molti dei problemi che sorgono con riferimento alle tecniche di valutazione e di liquidazione del danno non patrimoniale”. Dunque, “coerentemente al contenuto di tali pronunce la giurisprudenza ha individuato, nell'ambito del danno non patrimoniale risarcibile ex art. 2059 c.c., la categoria del danno morale, o danno soggettivo puro, riconducibile alla sofferenza morale soggettiva, quella del danno biologico, riconducibile a lla lesione dell'integrità psico-fisica e cioè alla compromissione della salute, e quella del danno esistenziale, riconducibile alla sfera realizzatrice dell'individuo ed attinente al "fare" del soggetto offeso”.
Sulla base di queste premesse la Suprema corte ha confermato il risarcimento del danno chiesto dal professionista “per non aver potuto adottare una legittima scelta di vita”.
fonte cassazione.net
L'indennità sostitutiva di reintegra ed il danno ulteriore da ritardo al lavoratore
In tema di indennità sostitutiva di reintegra, ed in particolare danno ulteriore al lavoratore, Lavoro, 24199.09, tratta la questione se se il danno sopportato dal prestatore di lavoro a causa del ritardo del datore nel pagamento dell'indennità sostitutiva debba essere pari alle retribuzioni mensili non percepite nel periodo intercorso fra l'esercizio della facoltà d'opzione ed il pagamento dell'indennità, oppure debba essere considerato come un danno da ritardato adempimento di un comune credito di lavoro e perciò debba essere liquidato ai sensi dell'art. 429, terzo comma, cod. proc. Civ. La pronuncia afferma che la giurisprudenza di questa Corte è costante nell'affermare che, nel caso di scelta, da parte del lavoratore illegittimamente licenziato, dell'indennità sostitutiva della reintegrazione ai sensi dell'art. 18, quinto comma, cit., fino all'effettivo pagamento dell'indennità il datore è obbligato a pagare le retribuzioni globali di fatto (Cass. 6 marzo 2003 n. 3380, 28 luglio 2003 n. 11609, 16 marzo 2009 n. 6342). Il sistema dell'art. 18 cit. si fonda sul principio di effettiva realizzazione dell'interesse del lavoratore a non subire, o a subire al minimo, i pregiudizi conseguenti al licenziamento illegittimo; principio che Cass. n. 6342 del 2009 chiama “di effettività dei rimedi” e che impedisce al datore di lavoro di tardare nel pagamento dell'indennità in questione assoggettandosi al solo pagamento di rivalutazione e interessi ex art. 429 cod. proc. Civ. Il principio di effettività dei rimedi giurisdizionali, espressione dell'art. 24 Cost., significa per quanto qui interessa che il rimedio risarcitorio, ossia del risarcimento del danno sopportato dal lavoratore per ritardato percepimento dell'indennità sostitutiva ex art. 18 cit., deve ridurre il più possibile il pregiudizio subito dal lavoratore e, in corrispondenza, distogliere il datore di lavoro dall'inadempimento o dal ritardo nell'adempiere l'obbligo indenitario. Ciò posto, sembra da precisare o modificare le rationes delle sentenze sopra citate, che comunque sono da condividere nel decisum: non è dubbio che la scelta dell'indennità sostitutiva da parte del lavoratore sia irrevocabile e che il rapporto di lavoro non possa perciò essere ricostituito.
fonte http://www.laprevidenza.it/news/documenti/iarussi_indennita/4223
fonte http://www.laprevidenza.it/news/documenti/iarussi_indennita/4223
Inps: fissati i nuovi minimali e i massimali per l'anno 2010
Inps circ. 2 febbraio 2010, n. 16
I nuovi valori per il 2010 sono di seguito riepilogati:
- minimo di pensione mensile = euro 460,97;
- minimali giornalieri di retribuzione = anno 2009 più 0,7%, in ogni caso non inferiore a euro 43,79 (9,5% del trattamento minimo di pensione). Detto valore risulta applicabile anche ai lavoratori a domicilio;
- retribuzione giornaliera convenzionale in genere = euro 24,33
- cooperative D.P.R. 602/70 (IVS e contribuzioni minori sono, dal 2007, da calcolare con le norme previste per la generalità dei lavoratori) = euro 43,79;
- soci di cooperativa sociale: a retribuzione imponibile è determinata dalla paga base, indennità di contingenza, elemento distinto della retribuzione (EDR) e tutti gli altri elementi retributivi stabiliti dalla contrattazione collettiva e individuale; in ogni caso detta retribuzione imponibile non può essere inferiore al minimale giornaliero di euro 43,79; cessa di operare il criterio dei periodi di retribuzione media mensile;
- retribuzione convenzionale mensile pescatori della piccola pesca marittima e delle acque interne associati in cooperativa = euro 608,00;
- minimale orario di retribuzione part time (ipotesi di orario normale pari a 40 ore settimanali) = euro 6,57 (calcolato nel seguente modo: minimale giornaliero euro 43,79 x 6 giorni : normale orario ettimanale 40 ore). Applicabile anche ai soci di cooperative;
- prima fascia di retribuzione pensionabile annua (oltre la quale è dovuta la contribuzione aggiuntiva IVS dell'1% a carico lavoratore; è interessato il lavoratore con aliquota IVS a proprio carico inferiore al 10%) = euro 42.364,00 (mese euro 3.530,00);
- massimale contributivo e pensionabile annuo (lavoratori privi di anzianità contributiva al 31.12.1995 con riferimento a tutte le gestioni pensionistiche obbligatorie, e per coloro, art. 1, c. 23, L. 335/199, che esercitano l'opzione, ove possibile, per il calcolo della pensione con il sistema contributivo; il massimale è applicabile anche alle collaborazioni coordinate e continuative a progetto e non e agli altri iscritti alla gestione separata) = euro 92.147,00. Limite annuale per l'accredito dei contributi obbligatori e figurativi = euro 9.588,28 (euro 184,49 settimanale);
- massimale giornaliero per i contributi di malattia e maternità dei lavoratori dello spettacolo a tempo determinato: confermato in euro 67,14;
- prestazioni di maternità obbligatoria (congedo di maternità) a carico del bilancio dello Stato: euro 1.916,22.
fonte http://www.professionisti24.ilsole24ore.com/art/Professionisti24/Lavoro/2010/02/inps_circolare_16_2010_minimali_retribuzioni_convenzionali.shtml?uuid=c27e18d4-1199-11df-b2d8-92dd20be9017&type=Libero
I nuovi valori per il 2010 sono di seguito riepilogati:
- minimo di pensione mensile = euro 460,97;
- minimali giornalieri di retribuzione = anno 2009 più 0,7%, in ogni caso non inferiore a euro 43,79 (9,5% del trattamento minimo di pensione). Detto valore risulta applicabile anche ai lavoratori a domicilio;
- retribuzione giornaliera convenzionale in genere = euro 24,33
- cooperative D.P.R. 602/70 (IVS e contribuzioni minori sono, dal 2007, da calcolare con le norme previste per la generalità dei lavoratori) = euro 43,79;
- soci di cooperativa sociale: a retribuzione imponibile è determinata dalla paga base, indennità di contingenza, elemento distinto della retribuzione (EDR) e tutti gli altri elementi retributivi stabiliti dalla contrattazione collettiva e individuale; in ogni caso detta retribuzione imponibile non può essere inferiore al minimale giornaliero di euro 43,79; cessa di operare il criterio dei periodi di retribuzione media mensile;
- retribuzione convenzionale mensile pescatori della piccola pesca marittima e delle acque interne associati in cooperativa = euro 608,00;
- minimale orario di retribuzione part time (ipotesi di orario normale pari a 40 ore settimanali) = euro 6,57 (calcolato nel seguente modo: minimale giornaliero euro 43,79 x 6 giorni : normale orario ettimanale 40 ore). Applicabile anche ai soci di cooperative;
- prima fascia di retribuzione pensionabile annua (oltre la quale è dovuta la contribuzione aggiuntiva IVS dell'1% a carico lavoratore; è interessato il lavoratore con aliquota IVS a proprio carico inferiore al 10%) = euro 42.364,00 (mese euro 3.530,00);
- massimale contributivo e pensionabile annuo (lavoratori privi di anzianità contributiva al 31.12.1995 con riferimento a tutte le gestioni pensionistiche obbligatorie, e per coloro, art. 1, c. 23, L. 335/199, che esercitano l'opzione, ove possibile, per il calcolo della pensione con il sistema contributivo; il massimale è applicabile anche alle collaborazioni coordinate e continuative a progetto e non e agli altri iscritti alla gestione separata) = euro 92.147,00. Limite annuale per l'accredito dei contributi obbligatori e figurativi = euro 9.588,28 (euro 184,49 settimanale);
- massimale giornaliero per i contributi di malattia e maternità dei lavoratori dello spettacolo a tempo determinato: confermato in euro 67,14;
- prestazioni di maternità obbligatoria (congedo di maternità) a carico del bilancio dello Stato: euro 1.916,22.
fonte http://www.professionisti24.ilsole24ore.com/art/Professionisti24/Lavoro/2010/02/inps_circolare_16_2010_minimali_retribuzioni_convenzionali.shtml?uuid=c27e18d4-1199-11df-b2d8-92dd20be9017&type=Libero
Previdenza forense: Cassazione, no alla restituzione di contributi a chi non li ha versati per almeno 30 anni
La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione (Sent. n. 24202/2009) ha stabilito che l’avvocato che non ha maturato trent’anni di contributi non ha diritto alla restituzione di quelli versati “ai fini pensionistici” se, dopo aver compito 65 anni, decide di cancellarsi dall’albo. La Corte ha evidenziato che “gli enti previdenziali privatizzati – nell’esercizio della propria autonomia, che li abilita ad abrogare o derogare disposizioni di legge – possono adottare, in funzione dell’obiettivo di assicurare equilibrio di bilancio e stabilità delle rispettive gestioni, provvedimenti (quale, nella specie, l’articolo 4 del regolamento della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, nel nuovo testo risultante dalla delibera del 28 febbraio 2004, adottata dal Comitato dei delegati, ai sensi dell’articolo 2, commi 25 e 26, della legge n. 335 del 1995, ed approvata dai Ministeri vigilanti), che – fermo restando il sistema retributivo di calcolo della pensione – introducono la facoltà di optare per il sistema contributivo, a condizioni di maggior favore per gli iscritti, ed –in coerenza con la stessa facoltà di opzione, che comporta l’ampliamento dell’area di utilizzabilità a fini pensionistici dei contributi legittimamente versati – stabiliscono la regola della non restituibilità dei contributi medesimi – tacitamente abrogando la previsione in senso contrario, affatto eccezionale, di precedente disposizione di legge (…) – in quanto ne risulta, da un lato, il rispetto dei limiti dell’autonomia degli enti (…) – dal quale dipende la idoneità dei loro atti di delegificazione a realizzare l’effetto perseguito (…) – e non ne derivano, dall’altro, lesioni di diritti quesiti, né di legittime aspettative o dell’affidamento nella certezza del diritto e nella sicurezza giuridica”.
fonte http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_7665.asp
fonte http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_7665.asp
Cassazione: L’avvocato iscritto all’estero non deve comunicare il reddito professionale alla Cassa
L’avvocato di un paese dell’Unione europea iscritto all’albo del paese di provenienza, nonché alla relativa cassa previdenziale estera, è esonerato dal comunicare alla cassa (italiana) il reddito professionale percepito nel Belpaese.
A questa conclusione è giunta la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 24784 del 25 novembre 2009, ha accolto il quarto motivo del ricorso di un legale tedesco, iscritto all’ordine a alla Cassa in Germania, al quale la C.N.P.A.F. aveva chiesto, fra l’altro, la comunicazione del reddito percepito in Italia.
In particolare, hanno motivato la decisione i giudici della sezione lavoro, “l'art. 17 della legge n. 576 del 1980 (che prevede che "tutti gli iscritti agli albi degli avvocati e dei procuratori, nonché i praticanti procuratori iscritti alla Cassa devono comunicare alla Cassa con lettera raccomandata, da inviare entro trenta giorni dalla data prescritta per la presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, l'ammontare del reddito professionale di cui all'art. 10 dichiarato ai fini dell'IRPEF per l'anno precedente nonché il volume complessivo d'affari di cui all'art. 11 dichiarato ai fini dell'IVA per il medesimo anno... Chi non ottempera all'obbligo di comunicazione di cui ai precedenti commi o effettua una comunicazione non conforme al vero, è tenuto a versare alla Cassa, per questo sol fatto, una penalità pari a metà del contributo soggettivo minimo previsto per l'anno solare in cui la comunicazione deve essere inviata...") deve essere interpretato nel sen so che il presupposto dell'obbligo di comunicazione sia costituito non solo dalla iscrizione all'albo degli avvocati, ma anche dal concorrente requisito dell'iscrizione alla Cassa di previdenza, per essere tale requisito riferibile non solo ai praticanti procuratori, ma anche agli iscritti all'albo degli avvocati”. Ma non basta. La sezione lavoro ha poi aggiunto che “ratio dell'obbligo in questione, connesso all'iscrizione alla Cassa, può ravvisarsi nell'utilità per quest'ultima di conoscere i flussi di reddito professionale degli iscritti all'albo degli avvocati, destinatari o potenziali destinatari delle prestazioni previdenziali erogate dalla Cassa stessa ed, in ogni caso, soggetti all'obbligo del contributo soggettivo, la previsione di analogo obbligo risulterebbe irragionevole, e tale da ingenerare dubbi di costituzionalità, ove riferibile (come nel caso) a soggetti che, in quanto non iscritti alla Cassa, perché esonerati dal relativo obbligo, non potrebbero essere dest inatari delle relative prestazioni, né soggetti ai previsti obblighi contributivi”.
In sostanza, concludono i giudici, “l'avvocato di un paese dell'Unione europea iscritto all'albo del paese di provenienza, nonché alla relativa cassa previdenziale estera deve ritenersi destinatario della situazione di esonero dall'obbligo dichiarativo, voluta dalla stessa Cassa, ed, al tempo stesso, che l'opposta interpretazione, in quanto ritroverebbe la sua esclusiva giustificazione nella nazionalità estera del professionista, ancorchè cittadino europeo, o, in altri termini, nel rilievo che verrebbe ad assumere solo l'iscrizione in albi nazionali, sarebbe idonea a determinare una discriminazione sulla base della nazionalità, ed un pregiudizio per la libertà di stabilimento, in violazione dei principi del Trattato”.
fonte cassazione.net
A questa conclusione è giunta la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 24784 del 25 novembre 2009, ha accolto il quarto motivo del ricorso di un legale tedesco, iscritto all’ordine a alla Cassa in Germania, al quale la C.N.P.A.F. aveva chiesto, fra l’altro, la comunicazione del reddito percepito in Italia.
In particolare, hanno motivato la decisione i giudici della sezione lavoro, “l'art. 17 della legge n. 576 del 1980 (che prevede che "tutti gli iscritti agli albi degli avvocati e dei procuratori, nonché i praticanti procuratori iscritti alla Cassa devono comunicare alla Cassa con lettera raccomandata, da inviare entro trenta giorni dalla data prescritta per la presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, l'ammontare del reddito professionale di cui all'art. 10 dichiarato ai fini dell'IRPEF per l'anno precedente nonché il volume complessivo d'affari di cui all'art. 11 dichiarato ai fini dell'IVA per il medesimo anno... Chi non ottempera all'obbligo di comunicazione di cui ai precedenti commi o effettua una comunicazione non conforme al vero, è tenuto a versare alla Cassa, per questo sol fatto, una penalità pari a metà del contributo soggettivo minimo previsto per l'anno solare in cui la comunicazione deve essere inviata...") deve essere interpretato nel sen so che il presupposto dell'obbligo di comunicazione sia costituito non solo dalla iscrizione all'albo degli avvocati, ma anche dal concorrente requisito dell'iscrizione alla Cassa di previdenza, per essere tale requisito riferibile non solo ai praticanti procuratori, ma anche agli iscritti all'albo degli avvocati”. Ma non basta. La sezione lavoro ha poi aggiunto che “ratio dell'obbligo in questione, connesso all'iscrizione alla Cassa, può ravvisarsi nell'utilità per quest'ultima di conoscere i flussi di reddito professionale degli iscritti all'albo degli avvocati, destinatari o potenziali destinatari delle prestazioni previdenziali erogate dalla Cassa stessa ed, in ogni caso, soggetti all'obbligo del contributo soggettivo, la previsione di analogo obbligo risulterebbe irragionevole, e tale da ingenerare dubbi di costituzionalità, ove riferibile (come nel caso) a soggetti che, in quanto non iscritti alla Cassa, perché esonerati dal relativo obbligo, non potrebbero essere dest inatari delle relative prestazioni, né soggetti ai previsti obblighi contributivi”.
In sostanza, concludono i giudici, “l'avvocato di un paese dell'Unione europea iscritto all'albo del paese di provenienza, nonché alla relativa cassa previdenziale estera deve ritenersi destinatario della situazione di esonero dall'obbligo dichiarativo, voluta dalla stessa Cassa, ed, al tempo stesso, che l'opposta interpretazione, in quanto ritroverebbe la sua esclusiva giustificazione nella nazionalità estera del professionista, ancorchè cittadino europeo, o, in altri termini, nel rilievo che verrebbe ad assumere solo l'iscrizione in albi nazionali, sarebbe idonea a determinare una discriminazione sulla base della nazionalità, ed un pregiudizio per la libertà di stabilimento, in violazione dei principi del Trattato”.
fonte cassazione.net
Idoneità dell’alloggio necessaria per poter avviare la richiesta del nulla osta al ricongiungimento familiare. I chiarmenti del Ministero
(Ministero dell'Interno, Circolare 18/11/2009)
Si fa seguito alla circolare n. 4820 in data 28 agosto U.s. Con la quale sono state fornite indicazioni operative in relazione alla normativa in oggetto con riferimento alle modifiche apportate al T.U. Sull‘immigrazione.
Al riguardo, l’art. 1, comma 19, della legge n.94/2009, nel modificare l’art 29 del T.U. In materia di ricongiungimento familiare, ha introdotto, fra l’altro, alcune novità relative al requisito dell’idoneità dell’alloggio necessaria per poter avviare la richiesta del nulla osta al ricongiungimento familiare.
In particolare, la nuova la formulazione dell’art. 29, comma 3 del T.U., ha soppresso il riferimento ai parametri stabiliti dalle leggi regionali in materia di edilizia residenziale pubblica, ai fini della verifica dell’idoneità dell’alloggio....
MINISTERO DELL’INTERNO
DIPARTIMENTO PER LE LIBERTA’ CIVILI E L’IMMIGRAZIONE
Direzione Centrale per le Politiche dell’Immigrazione e dell’Asilo
Circolare 18/11/2009
Legge 15 luglio 2009, n. 94 recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”.
Si fa seguito alla circolare n. 4820 in data 28 agosto U.s. Con la quale sono state fornite indicazioni operative in relazione alla normativa in oggetto con riferimento alle modifiche apportate al T.U. Sull‘immigrazione.
Al riguardo, l’art. 1, comma 19, della legge n.94/2009, nel modificare l’art 29 del T.U. In materia di ricongiungimento familiare, ha introdotto, fra l’altro, alcune novità relative al requisito dell’idoneità dell’alloggio necessaria per poter avviare la richiesta del nulla osta al ricongiungimento familiare.
In particolare, la nuova la formulazione dell’art. 29, comma 3 del T.U., ha soppresso il riferimento ai parametri stabiliti dalle leggi regionali in materia di edilizia residenziale pubblica, ai fini della verifica dell’idoneità dell’alloggio.
Atteso che gli Sportelli Unici per l’Immigrazione hanno segnalato interpretazioni differenti da parte dei Comuni riguardo alla citata disposizione, sentito il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali e allo scopo di individuare parametri di idoneità abitativa uniformi su tutto il territorio nazionale, si fa presente che i Comuni, nel rispetto della propria autonomia, nel rilasciare la certificazione relativa all’idoneità abitativa, possono fare riferimento alla normativa contenuta nel Decreto 5 luglio del 1975 del Ministero della sanità che stabilisce i requisiti igienico-sanitari principali dei locali di abitazione e che precisa anche i requisiti minimi di superficie degli alloggi, in relazione al numero previsto degli occupanti ..
Tale riferimento risulterebbe anche coerente con la direttiva dell’UE, recepita con legge dello Stato, in materia di ricongiungimento familiare, la quale dispone che, per l’autorizzazione al ricongiungimento familiare, la legge nazionale debba o possa imporre la verifica della disponibilità di un alloggio considerato normale che corrisponda alle norme genera l,i di sicurezza e di salute pubblica in vigore; pertanto si potrà considerare idoneo un alloggio che corrisponda ai parametri generalmente stabiliti per tutta la cittadinanza, su tutto il territorio nazionale.
IL DIRETTORE CENTRALE
Malandrino
fonte http://www.laprevidenza.it/news/assistenza/idoneita-dell&rsquoalloggio-necessaria-per-poter-avviare-la-richiesta/4094
Al riguardo, l’art. 1, comma 19, della legge n.94/2009, nel modificare l’art 29 del T.U. In materia di ricongiungimento familiare, ha introdotto, fra l’altro, alcune novità relative al requisito dell’idoneità dell’alloggio necessaria per poter avviare la richiesta del nulla osta al ricongiungimento familiare.
In particolare, la nuova la formulazione dell’art. 29, comma 3 del T.U., ha soppresso il riferimento ai parametri stabiliti dalle leggi regionali in materia di edilizia residenziale pubblica, ai fini della verifica dell’idoneità dell’alloggio....
MINISTERO DELL’INTERNO
DIPARTIMENTO PER LE LIBERTA’ CIVILI E L’IMMIGRAZIONE
Direzione Centrale per le Politiche dell’Immigrazione e dell’Asilo
Circolare 18/11/2009
Legge 15 luglio 2009, n. 94 recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”.
Si fa seguito alla circolare n. 4820 in data 28 agosto U.s. Con la quale sono state fornite indicazioni operative in relazione alla normativa in oggetto con riferimento alle modifiche apportate al T.U. Sull‘immigrazione.
Al riguardo, l’art. 1, comma 19, della legge n.94/2009, nel modificare l’art 29 del T.U. In materia di ricongiungimento familiare, ha introdotto, fra l’altro, alcune novità relative al requisito dell’idoneità dell’alloggio necessaria per poter avviare la richiesta del nulla osta al ricongiungimento familiare.
In particolare, la nuova la formulazione dell’art. 29, comma 3 del T.U., ha soppresso il riferimento ai parametri stabiliti dalle leggi regionali in materia di edilizia residenziale pubblica, ai fini della verifica dell’idoneità dell’alloggio.
Atteso che gli Sportelli Unici per l’Immigrazione hanno segnalato interpretazioni differenti da parte dei Comuni riguardo alla citata disposizione, sentito il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali e allo scopo di individuare parametri di idoneità abitativa uniformi su tutto il territorio nazionale, si fa presente che i Comuni, nel rispetto della propria autonomia, nel rilasciare la certificazione relativa all’idoneità abitativa, possono fare riferimento alla normativa contenuta nel Decreto 5 luglio del 1975 del Ministero della sanità che stabilisce i requisiti igienico-sanitari principali dei locali di abitazione e che precisa anche i requisiti minimi di superficie degli alloggi, in relazione al numero previsto degli occupanti ..
Tale riferimento risulterebbe anche coerente con la direttiva dell’UE, recepita con legge dello Stato, in materia di ricongiungimento familiare, la quale dispone che, per l’autorizzazione al ricongiungimento familiare, la legge nazionale debba o possa imporre la verifica della disponibilità di un alloggio considerato normale che corrisponda alle norme genera l,i di sicurezza e di salute pubblica in vigore; pertanto si potrà considerare idoneo un alloggio che corrisponda ai parametri generalmente stabiliti per tutta la cittadinanza, su tutto il territorio nazionale.
IL DIRETTORE CENTRALE
Malandrino
fonte http://www.laprevidenza.it/news/assistenza/idoneita-dell&rsquoalloggio-necessaria-per-poter-avviare-la-richiesta/4094
Poteri ampi della Cassa forense sulle pensioni
Sulle pensioni piena autonomia della Cassa forense. Infatti, L’avvocato che non ha maturato trent’anni di contributi non ha diritto alla restituzione di quelli versati “ai fini pensionistici” se, dopo aver compito 65 anni, decide di cancellarsi dall’albo.
È quanto stabilito dalla Corte di cassazione che, con la sentenza n. 24202 del 16 novembre 2009, ha respinto il ricorso di un legale che, dopo aver compiuto 65 anni, aveva chiesto la restituzione dei “contributi non utilizzabili ai fini pensionistici”.
fonte cassazione.net
È quanto stabilito dalla Corte di cassazione che, con la sentenza n. 24202 del 16 novembre 2009, ha respinto il ricorso di un legale che, dopo aver compiuto 65 anni, aveva chiesto la restituzione dei “contributi non utilizzabili ai fini pensionistici”.
fonte cassazione.net
L'INPS è abilitato ad azionare il credito contributivo.
L'INPS è abilitato ad azionare il credito contributivo provando, con qualsiasi mezzo, quali somme assoggettabili a contribuzione il lavoratore abbia diritto di ricevere. Tale prova può desumersi, in via presuntiva, anche dallo stesso contratto di transazione o dal contesto dei fatti in cui è inserito – Corte di Cassazione 28 luglio 2009 n.17495.
Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha espresso un principio di diritto solo apparentemente “estraneo” alla questione di cui è stata investita.
Il fatto.
L'Inps ha ottenuto con D.I. una cospicua somma di denaro da una S.p.A. sulla base di una transazione intervenuta tra essa S.p.A. ed alcuni suoi dipendenti.
Avverso tale concessione la S.p.A. ha proposto appello, sostenendo la natura non imponibile delle dette somme: la Corte di Appello invece ha ritenuto che tali somme dovessero essere assoggettate a contribuzione poiché l'erogazione delle stesse, anche se avvenuta a seguito di una transazione non può trovare altro fondamento che in un rapporto di lavoro.
La motivazione.
La Corte di Cassazione, investita della questione, ha accolto il ricorso sollevato dalla S.p.A. cui peraltro l'Inps ha resistito con controricorso, con una motivazione che solo apparentemente è contraddittoria: “le somme corrisposte dal datore di lavoro al dipendente in esecuzione di un contratto di transazione, non sono (…) dovute in dipendenza del contratto di lavoro ma del contratto di transazione. Restando l'obbligazione contributiva completamente insensibile agli effetti della transazione, l'Inps è abilitato ad azionare il credito contributivo provando, con qualsiasi mezzo, quali somme assoggettabili a contribuzione il lavoratore abbia diritto di ricevere. Tale prova può desumersi, in via presuntiva, anche dallo stesso contratto di transazione o dal contesto dei fatti in cui è inserito”.
La sentenza della Corte di Appello è stata cassata con rinvio non perché le somme oggetto della transazione non siano assoggettabili a contribuzione ma perché non è stata effettuata una verifica, anche presuntiva, sulla sussistenza di crediti scaturenti da un rapporto di lavoro. In altri termini, l'Inps è estraneo alla transazione ma ha il dovere di indagare, anche a seguito della avvenuta transazione stessa, l'esistenza di un rapporto di lavoro “sfuggito” alle maglie previdenziali.
Qualora l'esistenza di tale rapporto di lavoro venisse provata, l'assoggettamento alla contribuzione dovrà avvenire non sulla base delle somme dichiaratamente percepite dal lavoratore ma sulla base della retribuzione stabilita dal CCNL poiché la lg. 153/69 all'art. 12, nel fare riferimento a “tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro” va intesa nel senso di “tutto ciò che il lavoratore ha diritto di ricevere”.
Nell'enunciare il principio di diritto, la Corte di Cassazione coglie l'occasione per “rivalutare” l'operato della Corte stessa che, in diverse pronunce, ha operato una impossibile distinzione tra transazioni novative e transazioni semplici, dette anche conservative. Le prime, transazioni novative, avrebbero la funzione di sostituire l'esistente rapporto di lavoro con un altro, diverso, rapporto giuridico.
Le transazioni semplici o anche conservative vengono utilizzate al fine di regolare meglio un rapporto giuridico già esistente, che quindi non viene modificato nella sua sostanza. Scopo di questa transazione è meglio disciplinare gli effetti del rapporto esistente tra le parti.
Altri tipi di transazioni hanno lo scopo di rimuovere la res dubia: in tal caso le somme sarebbero imponibili senza altra indagine.
Transazioni dirette, infine, ad evitare il rischio della lite stessa senza contenere riconoscimenti del diritto del dipendente: in questo caso le somme non sarebbero imponibili.
“Non si giustificano”, sostiene la Corte, “le distinzioni ricorrenti, invero, in molte sentenze di questa Corte” poiché “la funzione del contratto di transazione, ai sensi dell'art. 1965 C.C, è, in ogni caso, di precludere alle parti stipulanti l'accertamento giudiziale del rapporto o delle sue regole, cosicché la sua esecuzione non è esecuzione delle obbligazioni derivanti dal rapporto oggetto della controversia”.
Riassumendo, la transazione ha un unico scopo: evitare l'accertamento giudiziale di un rapporto giuridico. Da tale transazione ben può discendere l'assoggettamento delle somme alla contribuzione ma solo dopo un attento esame della transazione stessa. L'Inps dovrà però operare un attento esame della posizione del presunto dipendente e, qualora verificasse l'esistenza di un rapporto di lavoro, dovrà far valer il proprio credito contributivo. Questo avverrà sulla base della retribuzione ex lege spettante al lavoratore e non in base a quanto stabilito tra le parti.
fonte Avv. Mariarosaria Baldascino
Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha espresso un principio di diritto solo apparentemente “estraneo” alla questione di cui è stata investita.
Il fatto.
L'Inps ha ottenuto con D.I. una cospicua somma di denaro da una S.p.A. sulla base di una transazione intervenuta tra essa S.p.A. ed alcuni suoi dipendenti.
Avverso tale concessione la S.p.A. ha proposto appello, sostenendo la natura non imponibile delle dette somme: la Corte di Appello invece ha ritenuto che tali somme dovessero essere assoggettate a contribuzione poiché l'erogazione delle stesse, anche se avvenuta a seguito di una transazione non può trovare altro fondamento che in un rapporto di lavoro.
La motivazione.
La Corte di Cassazione, investita della questione, ha accolto il ricorso sollevato dalla S.p.A. cui peraltro l'Inps ha resistito con controricorso, con una motivazione che solo apparentemente è contraddittoria: “le somme corrisposte dal datore di lavoro al dipendente in esecuzione di un contratto di transazione, non sono (…) dovute in dipendenza del contratto di lavoro ma del contratto di transazione. Restando l'obbligazione contributiva completamente insensibile agli effetti della transazione, l'Inps è abilitato ad azionare il credito contributivo provando, con qualsiasi mezzo, quali somme assoggettabili a contribuzione il lavoratore abbia diritto di ricevere. Tale prova può desumersi, in via presuntiva, anche dallo stesso contratto di transazione o dal contesto dei fatti in cui è inserito”.
La sentenza della Corte di Appello è stata cassata con rinvio non perché le somme oggetto della transazione non siano assoggettabili a contribuzione ma perché non è stata effettuata una verifica, anche presuntiva, sulla sussistenza di crediti scaturenti da un rapporto di lavoro. In altri termini, l'Inps è estraneo alla transazione ma ha il dovere di indagare, anche a seguito della avvenuta transazione stessa, l'esistenza di un rapporto di lavoro “sfuggito” alle maglie previdenziali.
Qualora l'esistenza di tale rapporto di lavoro venisse provata, l'assoggettamento alla contribuzione dovrà avvenire non sulla base delle somme dichiaratamente percepite dal lavoratore ma sulla base della retribuzione stabilita dal CCNL poiché la lg. 153/69 all'art. 12, nel fare riferimento a “tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro” va intesa nel senso di “tutto ciò che il lavoratore ha diritto di ricevere”.
Nell'enunciare il principio di diritto, la Corte di Cassazione coglie l'occasione per “rivalutare” l'operato della Corte stessa che, in diverse pronunce, ha operato una impossibile distinzione tra transazioni novative e transazioni semplici, dette anche conservative. Le prime, transazioni novative, avrebbero la funzione di sostituire l'esistente rapporto di lavoro con un altro, diverso, rapporto giuridico.
Le transazioni semplici o anche conservative vengono utilizzate al fine di regolare meglio un rapporto giuridico già esistente, che quindi non viene modificato nella sua sostanza. Scopo di questa transazione è meglio disciplinare gli effetti del rapporto esistente tra le parti.
Altri tipi di transazioni hanno lo scopo di rimuovere la res dubia: in tal caso le somme sarebbero imponibili senza altra indagine.
Transazioni dirette, infine, ad evitare il rischio della lite stessa senza contenere riconoscimenti del diritto del dipendente: in questo caso le somme non sarebbero imponibili.
“Non si giustificano”, sostiene la Corte, “le distinzioni ricorrenti, invero, in molte sentenze di questa Corte” poiché “la funzione del contratto di transazione, ai sensi dell'art. 1965 C.C, è, in ogni caso, di precludere alle parti stipulanti l'accertamento giudiziale del rapporto o delle sue regole, cosicché la sua esecuzione non è esecuzione delle obbligazioni derivanti dal rapporto oggetto della controversia”.
Riassumendo, la transazione ha un unico scopo: evitare l'accertamento giudiziale di un rapporto giuridico. Da tale transazione ben può discendere l'assoggettamento delle somme alla contribuzione ma solo dopo un attento esame della transazione stessa. L'Inps dovrà però operare un attento esame della posizione del presunto dipendente e, qualora verificasse l'esistenza di un rapporto di lavoro, dovrà far valer il proprio credito contributivo. Questo avverrà sulla base della retribuzione ex lege spettante al lavoratore e non in base a quanto stabilito tra le parti.
fonte Avv. Mariarosaria Baldascino
Previdenza e assistenza. Invalidità civile, l'INPS spiega il "nuovo" contenzioso
Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale numero 150 del 1° luglio 2009 del decreto legge 1° luglio 2009 numero n. 78, con l'articolo 20 sono state introdotte importanti modifiche in materia di procedimenti giurisdizionali, nonché alla presenza dei medici legali dellIstituto nei procedimenti giurisdizionali civili relativi a prestazioni sanitarie previdenziali ed assistenziali.
(Circolare INPS 20/07/2009, n. 93)
fonte Il Quotidiano Giuridico
(Circolare INPS 20/07/2009, n. 93)
fonte Il Quotidiano Giuridico
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