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Criteri di risarcibilità del danno non patrimoniale nell'infortunio lavorativo

(Cassazione civile, sezione III, sentenza 14.9.2010 n. 19517)
Con il primo motivo le predette deducono la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 112 c.p.c. Per omessa pronuncia in relazione al risarcimento del danno morale e l’insufficiente e comunque contraddittoria motivazione circa un punto decisivo per la controversia – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – sulla spettanza del danno morale e l’omessa motivazione sulla liquidazione del medesimo per averne la Corte di merito correttamente affermato la risarcibilità anche nel caso di presunzione legale della colpa – art. 2051 c.c. - senza poi provvedere alla relativa liquidazione, essendosi limitata ad aumentare il danno esistenziale per la moglie e a riconoscerlo per le figlie; sul punto anche la motivazione è insufficiente...

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 14 settembre 2010, n. 19517

Svolgimento del processo

Con sentenza del 15 settembre 2005 la Corte di appello di Trieste, in accoglimento dell’impugnazione di P.C. E A. e D.S.S. Aumentava, secondo un criterio equitativo puro, ad Euro 60.000.000 il risarcimento del danno non patrimoniale subito dalla prima, e riconosceva Euro 30.000.000 a ciascuna delle seconde, in conseguenza della grave invalidità – 80% - riportata dal rispettivo marito e padre, infortunatosi sul lavoro. Ricorrono per Cassazione le danneggiate cui resiste Telecom.

Le ricorrenti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo le predette deducono la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 112 c.p.c. Per omessa pronuncia in relazione al risarcimento del danno morale e l’insufficiente e comunque contraddittoria motivazione circa un punto decisivo per la controversia – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – sulla spettanza del danno morale e l’omessa motivazione sulla liquidazione del medesimo per averne la Corte di merito correttamente affermato la risarcibilità anche nel caso di presunzione legale della colpa – art. 2051 c.c. - senza poi provvedere alla relativa liquidazione, essendosi limitata ad aumentare il danno esistenziale per la moglie e a riconoscerlo per le figlie; sul punto anche la motivazione è insufficiente.

Il motivo è infondato.

La Corte di merito ha infatti correttamente applicato il principio ormai consolidato (S.U. 26972/2008) secondo il quale il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dal danneggiato, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici, sì che il danno biologico, il danno morale, quello alla vita di relazione e quello cosiddetto esistenziale devono esser valutati unitariamente nella voce del danno non patrimoniale (S.U. 26972/2008).

2.- Con il secondo motivo deducono la falsa applicazione di norme di diritto – artt. 2056 e 1226 c.c.; art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – per inadeguato esercizio del potere equitativo di cui all’art. 1226 c.c. Sotto il profilo della mancata personalizzazione del risarcimento; insufficiente e contraddittoria motivazione circa i criteri di quantificazione del danno – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – e lamentano che il criterio equitativo puro, riconosciuto dall’art. 1226 c.c., non può risolversi in arbitrio e perciò il giudice deve personalizzare il risarcimento ed indicare i parametri considerati.

Il motivo è infondato.

Nella sentenza impugnata – pag. 8 – i giudici di appello hanno date conto, nell’adottare il criterio equitativo puro – ossia svincolato da tabelle standardizzate e criteri automatici – delle circostanze oggettive e soggettive del caso concreto considerate, ed in particolare del danno alla sfera sessuale conseguita all’infortunio, fonte di “sconvolgimento delle abitudini di vita in relazione all’esigenza di provvedere ai maturati gravi bisogni del familiare, nonché della corrispondente diminuzione del contributo relazionale e di sostegno che a sua volta il familiare può offrire agli altri”. 3.- Pertanto il ricorso va respinto.

Si compensano le spese del giudizio di Cassazione.javascript:void(0)

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Compensa le spese del giudizio di Cassazione.

http://www.laprevidenza.it/news/documenti/cass_19517_2010/4974

Cassazione: “Limitare al massimo il rischio rumore, altrimenti multa per gli imprenditori”

Scatta la multa nei confronti degli imprenditori che non adottano tutte le “misure tecniche, organizzative e procedurali, concretamente attuabili” per limitare al massimo il “rischio rumore” a tutela della salute dei dipendenti. Lo sottolinea la Cassazione che ha confermato la sanzione penale di tremila euro di multa nei confronti di una imprenditrice irpina, Prudenza D.F., che aveva una società con sede legale a Nusco e stabilimento a Calitri, nel quale non aveva dotato “i banchi di lavoro in lamiera zigrinata di una protezione in guaina o altro materiale atto a limitare il rischio rumore”.
La donna – amministratrice unica del ‘Gruppo Coviello’ – è stata multata anche per non aver fatto verificare dai tecnici l’impianto elettrico di messa a terra. Per quanto riguarda l’esposizione al rumore, i supremi giudici (con la sentenza 35946) avvertono che, nonostante il susseguirsi di diverse normative, la mancata predisposizione delle dovute precauzioni continua ad essere un reato “non depenalizzato”, nemmeno dall’ultimo decreto legislativo in materia di lavoro dell’aprile 2008.
Lo stesso vale per l’omessa denuncia dell’impianto di messa a terra: le norme sono cambiate ma la sanzione penale è ancora presente nell’ultima disciplina in materia, il dpr 462 del 2001. Sconfitta, dunque, la linea difensiva dell’imprenditrice che sosteneva l’abrogazione dei reati a lei contestati. La Cassazione ha convalidato il verdetto di colpevolezza emesso dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi nel giugno del 2009.

http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/cassazione-limitare-al-massimo-il-rischio-581693/

Avvocati : allarma pronuncia Cassazione su opposizione a decreto ingiuntivo

Con una recentissima sentenza della Cassazione a Sezioni Unite (9 settembre 2010 n.19246) si e' affermato il principio che, in caso di decreto ingiuntivo, "non solo i termini di costituzione dell'opponente e dell'opposto sono automaticamente ridotti alla meta' in caso di effettiva assegnazione all'opposto di un termine a comparire inferiore a quello legale, ma che tale effetto automatico e' conseguenza del solo fatto che l'opposizione sia stata proposta, in quanto l'art. 645 c.p.c. prevede che in ogni caso di opposizione i termini a comparire siano ridotti a meta'". Inoltre, la tardiva costituzione dell’opponente (oltre il termine di cinque giorni) viene equiparata alla sua mancata costituzione e comporta l’improcedibilita' dell’opposizione.
Per tali ragioni si e' registrata una reazione di sconcerto e preoccupazione dell'Avvocatura e il Consiglio Nazionale Forense ha chiesto "una leggina urgente che impedisca le dichiarazioni in massa di improcedibilità delle opposizioni ai decreti ingiuntivi nelle quali l’opponente non si sia costituito nel termine di cinque giorni". Per il CNF, allora, occorrerebbe chiarire urgentemente e in via normativa la portata dell’articolo 645 cpc, secondo comma, specificando che l’abbreviazione dei termini di costituzione dell’opponente non sia automatica ma discenda dalla sua scelta di avvalersi della facoltà di ridurre all’opposto il termine a comparire.
"Io non so se - e soprattutto in quanto tempo - potra' mai esservi intervento normativo al riguardo - commenta per l'Osservatorio l'avv. Siniscalchi, civilista del foro di Milano - Quel che mi sentirei di suggerire in questo momento a chiunque venisse penalizzato (dovrebbero essere moltissimi, considerato che le opposizioni a decreto ingiuntivo sono largamente diffuse) da tale autorevole orientamento a sorpresa (modificativo del diverso precedente orientamento della stessa Corte di Cassazione) e' quanto segue: Con riferimento ai procedimenti di opposizione a decreto ingiuntivo pendenti - qualora dovessero maturare decadenze, a seguito di tale innovativo intervento delle Sez. Un. rispetto al precedente indirizzo giurisprudenziale - potrebbero, a mio giudizio, esservi i presupposti per invocare il recente orientamento della Corte di Cassazione che, con sentenza n. 14627/2010, ha affermato il principio importante della possibilità di rimessione in termini in presenza di un mutamento della giurisprudenza di legittimità sulle regole processuali".
Con l'ultima sentenza citata, infatti, la Suprema Corte ha stabilito che, alla luce del principio costituzionale del giusto processo, la parte che abbia proposto ricorso per Cassazione facendo affidamento su un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in ordine alle norme regolatrici del processo, incorre in errore scusabile ed ha diritto ad essere rimessa in termini (cioe' alla prosecuzione del procedimento nonostante la decadenza) anche in assenza dell’istanza di parte, se, esclusivamente a causa del mutamento di orientamento interpretativo, si sia determinato un vizio d’inammissibilità od improcedibilità dell’impugnazione dovuta alla diversità delle forme e dei termini da osservare sulla base del nuovo orientamento sopravvenuto alla proposizione del ricorso.

http://www.osservatoriosullalegalita.org/10/note/10ott1/0611cassaz.htm

Il risarcimento del ritardo sul ritardo

Una crescita media annua del 40%, che ha portato il contenzioso dai circa 5mila ricorsi del 2003 agli oltre 34mila del 2009. Queste le ultime cifre fornite dal ministero della Giustizia sulle richieste di indennizzo per la violazione del termine ragionevole di durata dei processi. Una procedura che dal 2001 è regolata con legge dello stato, la cosiddetta legge Pinto. Fino al 2009, via Arenula ha liquidato una cifra complessiva molto vicina ai 150 milioni di euro, e nel frattempo ha accumulato debiti per altri 100 milioni. A conti fatti 250 milioni di euro di oneri complessivi.

Da un certo punto di vista, comunque, la legge Pinto costituisce una consolazione, sia pure magra, per chi rischia di farsi vecchio nell'attesa di avere giustizia: dal 2001, infatti, anziché i giudici di Strasburgo della Corte europea dei diritti dell'uomo, è possibile chiamare in causa, più comodamente, le corti d'appello nostrane. Ma, da un altro punto di vista, è invece quasi una iattura. Considerato lo stato della macchina giudiziaria, e soprattutto il proliferare di ricorsi per ottenere l'indennizzo, non è infrequente che in corte d'appello vengano recapitate richieste per l'eccessiva lentezza nella trattazione proprio delle richieste di indennizzo per l'eccessiva lentezza di un procedimento giudiziario. Non è un gioco di parole, ma la realtà. La «Pinto sulla Pinto», è stato detto, un paradosso che sta ingolfando i giudici di secondo grado.

Per non parlare della Cassazione. Basta sfogliare una sentenza a caso e la probabilità di imbattersi nel ricorso di un cittadino rimasto insoddisfatto dalla somma liquidata in corte d'appello è altissima. Supremi giudici chiamati a decidere se il limite minimo di indennizzo annuo sia di 500 o di 750 euro, in base a criteri invero ancora sconosciuti. A sostenere la tesi secondo la quale è da liquidare solo il periodo eccedente il termine ragionevole (tre anni in tribunale, per cui se, ad esempio, la causa ne dura dieci te ne indennizzano solo sette). Non senza qualche difficoltà, vista la posizione più rigida dei giudici della Corte europea, per i quali una volta superato il limite bisogna pagare per l'intera durata.
Ma non è finita qui. Perché ora sta vedendo la luce anche un ulteriore contenzioso che riporta gli utenti del servizio giustizia direttamente al cospetto di Strasburgo. Oggi il cittadino non solo deve aspettare oltre il lecito la macchina giudiziaria, non solo deve tirare il collo per vedersi riconoscere il diritto all'indennizzo prodotto da tale lentezza, ma deve anche attendere oltre ogni limite che gli venga trasferito quanto dovuto sul proprio conto corrente. E l'impatto è devastante. Nel 2009 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha comunicato al governo italiano 757 ricorsi, contro i 63 del 2008 (troppo facile fare la proporzione, un aumento di oltre dieci volte): un'esplosione addebitabile proprio ai casi seriali per i ritardi nei pagamenti legati alla legge Pinto (si veda Il Sole 24 Ore del 25 luglio).
Sarà forse un caso, ma recentemente la Corte europea dei diritti dell'uomo si è dotata di un nuovo regolamento che circoscrive la possibilità di fare ricorso ai soli «pregiudizi importanti». Vuoi vedere che l'allarme Pinto è scattato anche Oltralpe?

http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2010-10-03/risarcimento-ritardo-ritardo-200537.shtml?uuid=AYSSoSWC

Cassazione Civile: risarcimento del danno alla sfera sessuale

Con sentenza della Corte di appello di Trieste, in accoglimento dell'impugnazione di Tizia e Caia e Sempronia aumentava, secondo un criterio equitativo puro, ad Euro 60.000.000 il risarcimento del danno non patrimoniale subito dalla prima, e riconosceva Euro 30.000.000 a ciascuna delle seconde, in conseguenza della grave invalidità - 80% - riportata dal rispettivo marito e padre, infortunatosi sul lavoro.

Sul ricorso per cassazione, la Suprema Corte ha rilevato che nel giudizio di secondo grado è stato "correttamente applicato il principio ormai consolidato (S.U. 26972/2008) secondo il quale il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dal danneggiato, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici, sì che il danno biologico, il danno morale, quello alla vita di relazione e quello cosiddetto esistenziale devono esser valutati unitariamente nella voce del danno non patrimoniale (S.U. 26972/2008)".

Più in particolare, in relazione al secondo motivo di ricorso per preteso inadeguato esercizio del potere equitativo di cui all'art. 1226 Codice Civile sotto il profilo della mancata personalizzazione del risarcimento, la Cassazione ha stabilito che "nella sentenza impugnata i giudici di appello hanno dato conto, nell'adottare il criterio equitativo puro - ossia svincolato da tabelle standardizzate e criteri automatici - delle circostanze oggettive e soggettive del caso concreto considerate, ed in particolare del danno alla sfera sessuale conseguita all'infortunio, fonte di "sconvolgimento delle abitudini di vita in relazione all'esigenza di provvedere ai maturati gravi bisogni del familiare, nonché della corrispondente diminuzione del contributo relazionale e di sostegno che a sua volta il familiare può offrire agli altri".

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 14 settembre 2010, n.19517)

http://www.filodiritto.com/index.php?azione=archivionews&idnotizia=2693

Cassazione: in caso di infortunio sul lavoro va risarcita tutta la famiglia

Nel caso di gravi incidenti sul lavoro, il risarcimento spetta non solo al lavoratore ma anche all'intera famiglia. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione evidenziando che danni di questo genere determinano uno "sconvolgimento delle abitudini di vita" che incide anche in ambito familiare. La decisione è della Terza sezione civile (sentenza n.19517/2010) che ha confermato una condanna ad un risarcimento danni di complessivi 120.000 euro (per danni non patrimoniali) in favore della moglie e di due figlie di un dipendente telecom infortunato che aveva riportato una invalidità dell'80%. L'invalidità oltretutto aveva compromesso anche la sfera sessuale. E' stato così confermata la condanna al risarimento dei danni non patrimoniali che i giudici di merito avevao accodato alla moglie (60mila euro) e alle due figlie (30mila euro ciascuna). Tra le altre cose la Cassazione (che non ha riconosciuto ulteriori danni morali) ha sottolineato che "il danno alla sfera sessuale conseguita all'infortunio e' stata fonte di sconvogimento delle abitudini di vita in relazione all'esigenza di provvedere ai maturati gravi bisogni del familiare". L'invalidita' inoltre ha determinato una "corrispondente diminuzione del contributo relazione e di sostegno che a sua volta il familiare puo' offrire agli altri".

http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_8986.asp

Giudice di Pace di Salerno: danno da vacanza rovinata

In materia di risarcimento del danno da vacanza rovinata, sulla scorta della disciplina stabilita negli articoli da 82 a 100 del D.lgs. 6 settembre 2005 n. 206 (Codice del Consumo) e in particolare nell'art. 93 (mancato o inesatto adempimento), il Giudice di Pace ha rilevato che:
"a) che grava sull'organizzatore l'onere della prova della non imputabilità a sé dell'impossibilità della prestazione;
b) che è all'organizzatore del viaggio che il cliente può e deve "comunque" rivolgersi per il risarcimento, anche nel caso in cui il danno sia stato in tutto o in parte patito ad opera del prestatore di servizi di cui l'organizzatore stesso si è avvalso;
c) che l'organizzatore può solo rivalersi nei confronti del prestatore di cui si è avvalso, per i danni che è stato costretto a risarcire al cliente e che si presume siano riferibili al "prestatore esterno" o terzo".

Si legge in altro punto delle motivazioni: l'organizzatore non deve garantire il buon esito della vacanza, ma - piuttosto - non deve tenere comportamenti o incorrere in omissioni che privino il servizio turistico della sua funzione essenziale, che è pur sempre quella di creare condizioni favorevoli alla realizzazione della dimensione propria di una "vacanza".

Ancora: "E' evidente che la cattiva riuscita della vacanza non può dipendere - per dar luogo a risarcimento per quel titolo - da elementi soggettivi e personali del cliente, quali il suo stato d'animo, o di salute, o i cattivi rapporti con i compagni di viaggio e simili. Occorre, invece, che vi sia un diretto (anche se non necessariamente esclusivo) nesso causale tra una o più "mancanze" da parte dell'organizzatore del viaggio e il risultato negativo di esso".

Nel caso di specie, "non vi è dubbio che il ritardo nel viaggio, il forzato pernottamento a Madrid, la disponibilità di una camera più piccola rispetto al numero di persone, e la riduzione di un giorno della complessiva vacanza, sia addebitabile all'organizzatore il quale ha omesso, come è suo dovere professionale e giuridico, di adottare le opportune iniziative, ed abbia comportato gravi disagi superando il limite della normale tollerabilità, e tali da compromettere la stessa buona riuscita del viaggio. In realtà, una volta "rovinata", molto difficilmente una vacanza recupera il suo valore sul finire, né va scordato che Alfa non tenne conto dell'accaduto nemmeno in via "compensativa" o riparatoria, al termine del viaggio. L'offerta di uno sconto o di un "buono" a valere per un altro viaggio avrebbe con ogni probabilità contribuito a rasserenare gli animi e ad evitare il presente contenzioso".

(Giudice di Pace di Salerno - Avv. Luigi Vingiani, Sentenza 10 maggio 2010)

http://www.filodiritto.com/index.php?azione=archivionews&idnotizia=2669

Sinistro stradale: il danno non patrimoniale iure ereditario

La questione
In caso di incidente stradale quali danni sono risarcibili?
Il Tribunale di Piacenza nella pronuncia del 29 giugno 2010, n. 458 del Giudice Morlini, analizza i danni risarcibili a seguito di incidente stradale con particolare attenzione del danno non patrimoniale iure ereditario

Il fatto
A.A., G.G. e G.R., rispettivamente coniuge e figli di G.P., defunto a seguito di un sinistro stradale cagionato da T.M., convenivano quest'ultimo in giudizio, nonché la compagnia di assicurazione FATA, al fine di ottenere il ristoro di tutte le voci di danno patrimoniale e non patrimoniale derivanti dal suddetto sinistro.
I convenuti non contestavano l'esclusiva ed indiscutibile responsabilità di T.M., bensì confutavano la somma ex adverso richiesta in quanto comprensiva di alcune voci di danno, ad avviso della difesa, non corrette.

La decisione del Tribunale di Piacenza
Il Giudice Monocratico, a seguito di espletata CTU, in accoglimento della domanda attorea, condannava i convenuti al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali, rigettando le voci risarcitorie relative al danno non patrimoniale c.d. iure ereditario, a parere del giudicante, non risarcibili nel caso di specie.

La risarcibilità del danno non patrimoniale “iure ereditario”
La decisione in commento, oltre a fornire un quadro completo su tutti i danni risarcibili in seguito a sinistro stradale, rappresenta l'ennesima pronuncia giurisprudenziale in merito alla risarcibilità del c.d. danno non patrimoniale iure ereditario.
Nel caso che ci occupa, gli attori avevano erroneamente calcolato la somma dovuta dal responsabile del sinistro mortale, includendo talune voci, quali il danno patrimoniale da lucro cessante per la perdita della pensione INPS del defunto (lamentato dalla di lui moglie) e il danno non patrimoniale iure ereditario (lamentato dagli eredi del defunto), successivamente non riconosciute dall'Autorità giudicante.


Procediamo con ordine.
Com'è noto, in caso di sinistro stradale, i danni risarcibili, se adeguatamente provati, comprendono sia i danni patrimoniali (danno emergete e lucro cessante), che quelli non patrimoniali (danno biologico, danno morale, danno biologico iure ereditario).
Non vi sono dubbi sulla risarcibilità dei danni patrimoniali, i quali, trattandosi di una diminuzione del patrimonio cagionata dall'altrui condotta, anche per effetto delle spese sostenute dal danneggiato per la reintegrazione o la riparazione dei beni su cui ha avuto incidenza l'evento dannoso, ovvero indirettamente con la perdita o riduzione del reddito o anche con il venir meno di una attesa di guadagno, devono essere sempre risarciti a favore delle vittime di un sinistro, se da queste adeguatamente provati.
Per ciò che attiene, invece, ai danni non patrimoniali, non tutte le voci di danno sono generalmente liquidate da parte dei giudici, attesa la prova, non sempre di facile esperimento, gravante sui soggetti danneggiati.
In particolare, il danno non patrimoniale si compone di tre voci: danno biologico, danno morale e danno biologico c.d. iure ereditario (a seguito della nota pronuncia delle Sezioni Unite n. 4712/2008, infatti, il danno esistenziale è ricompreso nelle altre voci che caratterizzano il danno non patrimoniale).

Mentre il danno biologico è facilmente dimostrabile attraverso un accertamento medico–legale, rappresentando una lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, maggiori difficoltà probatorie sussistono per il danno morale e per il danno tanatologico iure ereditario.
Il danno morale, infatti, si produce a causa dei patimenti morali, delle ansie e delle sofferenze psichiche (che non rientrino nella patologia, in quanto altrimenti si rientrerebbe nell'abito del danno biologico), conseguenti alle lesioni subite. Tale tipologia di danno si verifica ogniqualvolta il danneggiato riesca a provare di aver sofferto una lesione della propria sfera psicologica, collegata eziologicamente all'evento lesivo (nel nostro caso, il sinistro stradale).

Si tratta, appunto, di una prova non sempre immediata, tanto che i giudici hanno pacificamente enunciato il principio secondo cui “costituendo il danno morale un patema d'animo e quindi una sofferenza interna del soggetto, esso, da una parte, non è accertabile con metodi scientifici e, dall'altra, come per tutti i moti d'animo, solo quando assume connotazioni eclatanti può essere provato in modo diretto, il più delle volte va invece accertato in base ad indizi e presunzioni che, anche da soli, se del caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità” (Cass. n. 19316/2005).
Il danno non patrimoniale c.d. iure ereditario, invece, rappresenta una voce di danno su cui, ormai da più di un decennio, la giurisprudenza ha stabilito un punto cardine per la sua risarcibilità.

Tale danno tanatologico, ovvero derivante dalla morte della vittima di un sinistro stradale (o di un fatto illecito in generale), non è considerato dalla giurisprudenza maggioritaria quale danno biologico, giacché non va ad incidere, al pari della lesione all'integrità psico-fisica, sulla salute, ma colpisce il bene diverso della vita (Cass. n. 20188/2008, n. 18163/2007, n. 6946/2007, n. 517/2006, n. 6586/2005)
Pertanto, non può considerasi quale massima lesione del diritto alla salute, a meno che intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni subite dalla vittima del danno e la morte causata dalle stesse, nel qual caso è configurabile un danno biologico risarcibile in capo al danneggiato, che si trasferisce agli eredi, i quali potranno agire in giudizio nei confronti del danneggiante iure hereditatis (Cass. n. 15408/2004, n. 4754/2004, n. 16525/2003, n. 9620/2003).

E' solo in tali casi, quindi, che questa tipologia di danno può costituire fonte di risarcimento, laddove per apprezzabile lasso di tempo si intende un periodo pari a qualche giorno (Cass. n. 3549/2004), come ad esempio tre giorni (Cass. n. 870/2008), e non solo a mezz'ora (Cass. n. 3585/2004). Ad ogni modo, si tratta di un accertamento lasciato alla libera discrezionalità del giudice che dovrà essere valutato sulla base del caso concreto.
Il Tribunale di Perugia non si è discostato da tale principio.
Il Giudice di merito, infatti, ha condannato l'autore del sinistro stradale, unitamente alla compagnia assicurativa, al risarcimento dei danni patrimoniali, in quanto documentalmente provati e neanche ex adverso contestati, dei danni non patrimoniali iure proprio a titolo di danno biologico e danno morale.

Nulla invece è stato liquidato a titolo di danno biologico iure ereditario, sulla scorta del fatto che la morte della vittima è avvenuta nei quarantacinque minuti successivi al sinistro de quo, e cioè in un tempo non apprezzabile ai fini della configurazione del danno biologico in questione.
In sostanza, il diritto al risarcimento sorge solo al verificarsi di un'effettiva e prolungata sofferenza patita dal danneggiato che, al momento della morte, trasmette per successione ereditaria il diritto a tale risarcimento ai propri aventi causa.

Da ultimo, il giudice perugino ha condannato i convenuti alla refusione delle spese di lite sulla base del principio, già espresso dalle Sezioni Unite, secondo cui nella liquidazione degli onorari deve tenersi a mente che, trattandosi di accoglimento solo parziale della domanda, lo scaglione di riferimento è quello relativo al decisum, non già al disputatum (Cass. Sez. Un. n. 19014/2007).


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- Corte di Cassazione, 23.02.2004, Sezione 3 , Competenza Civile, Sentenza, n. 3549
- Corte di Cassazione, 09.03.2004, Sezione 3 , Competenza Civile, Sentenza, n. 4754
- Corte di Cassazione, 09.03.2004, Sezione 3 , Competenza Civile, Sentenza, n. 4754
- Corte di Cassazione, 09.03.2004, Sezione 3 , Competenza Civile, Sentenza, n. 4754
- Corte di Cassazione, 09.03.2004, Sezione 3 , Competenza Civile, Sentenza, n. 4754
- Corte di Cassazione, 23.02.2004, Sezione 3 , Competenza Civile, Sentenza, n. 3549
- Corte di Cassazione, 13.01.2006, Sezione L, Competenza Civile, Sentenza, n. 517
- Corte di Cassazione, 13.01.2006, Sezione L, Competenza Civile, Sentenza, n. 517
- Corte di Cassazione, 03.10.2005, Sezione 3, Competenza Civile, Sentenza, n. 19316

http://www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com/content/professioni24/diritto/news/LEX-MERITO_sinistro_stradale_risarcimento.html

L'avvocato che fa una scelta contraria all'interesse del cliente deve risarcire il danno

(Cassazione civile, Sezione 6, n. 17506 del 26/7/2010)

Nuova pronuncia della Corte di Cassazione in materia di responsabilità civile dell’avvocato ( Per i tratti essenziali della materia, vedi PLENTEDA, La responsabilità dell’avvocato ).

Nell’ordinanza n. 17506/10, la Suprema Corte, pur riportandosi formalmente ad una propria precedente pronuncia (n. 6967/2006), afferma un principio davvero innovativo in materia, ancora una volta del segno della “responsabilizzazione” dei professionisti del foro e, specularmente, dell’innalzamento del grado di tutela garantito al Clienti danneggiati dall’operato del proprio difensore.

Esaminando i casi pratici sinora affrontati dalla giurisprudenza, emergeva un dato incontrastato, in ragione del quale le condanne risarcitorie pronunciate a carico dell’avvocato avevano sempre a che fare con errori inerenti le attività c.d. rituali affidate al professionista (mancato rispetto del termine per proporre appello oppure opposizione a decreto ingiuntivo; mancato compimento di atti interruttivi della prescrizione, ecc.).
Anche nella sentenza n. 6967/2006, richiamata dalla pronuncia in commento, l’errore dell’avvocato era consistito nell’omessa indicazione nell’atto di appello della data dell’udienza di comparizione, con conseguente dichiarazione di inammissibilità del gravame.

Aldilà delle affermazioni di principio, invece, la responsabilità dell’avvocato veniva sistematicamente esclusa dai giudici, allorché il cliente intendesse imputare al professionista errori inerenti le attività c.d. discrezionali, connesse all’interpretazione delle leggi e, in generale, alla risoluzione delle questioni opinabili, ivi incluse le scelte processuali. In una sentenza non recentissima, la Corte di Cassazione aveva anche avuto modo di dichiarare, expressis verbis, che ”In rapporto alla professione di avvocato, deve considerarsi responsabile verso il cliente il professionista in caso di incuria e di ignoranza di disposizioni di legge (…) dovendosi invece ritenere esclusa la detta responsabilità (…) nel caso di interpretazioni di legge o di risoluzione di questioni opinabili ( Cass. civ., Sez. II, sentenza n. 10068 del 18.11.1996).

Riguardo a questo tipo di attività, alcuni autori avevano già evidenziato che l’ambito di discrezionalità professionale, che senza dubbio deve essere riconosciuto all’avvocato, presenta comunque dei limiti oggettivi che il professionista è tenuto a rispettare, oltre i quali le sue scelte da discrezionali divengono arbitrarie ( Cfr. MINARDI-PLENTEDA, Responsabilità dell’avvocato: il professionista risponde dei danni se l’errata impostazione della difesa determina la perdita della lite, in Il Civilista, Giuffrè, n. 12/2009 p. 6 ss.).

Quanto all’interpretazione delle leggi, il principale limite della discrezionalità è costituito dallo spettro dei possibili significati che la norma può assumere, avuto riguardo al dato letterale nonché alle posizione espresse dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
«L’avvocato è tenuto ad orientare le proprie scelte entro lo spettro di significati che la norma può assumere e, in presenza di possibili incertezze interpretative, deve tenere nella necessaria considerazione le posizioni dominanti in dottrina e, soprattutto, gli indirizzi espressi dalla giurisprudenza, a cui probabilmente si ispirerà il Giudice del caso concreto» (MINARDI-PLENTEDA, op. cit., p. 8).

La Corte di Cassazione, nella sentenza in esame, individua un ulteriore limite alla discrezionalità dell’avvocato, nella fattispecie applicato all’attività avente ad oggetto le scelte processuali che competono al difensore.
Tale limite, in particolare, è costituito dall’interesse concreto del cliente.

In altri termini, l’avvocato – di fronte alla scelta tra diverse opzioni processuali – è tenuto ad eleggere quella che, in concreto, è più idonea a realizzare l’interesse concreto del cliente.

Accade così che, sussistendo i presupposti per la concessione di un decreto ingiuntivo e, in particolare, la prova scritta del credito vantato dal cliente, il cliente non possa deliberatamente scegliere se optare per la procedura monitoria oppure per la procedura ordinaria, pure astrattamente attivabile. Ciò, in quanto, la procedura per decreto ingiuntivo, ammettendo la concessione della provvisoria esecuzione del decreto stesso anche in caso di opposizione, consente al cliente di ottenere un titolo esecutivo, e quindi di avviare l’esecuzione per il recupero coattivo del credito, molto prima di quanto non accada nel caso in cui ci agisca nelle forme ordinarie, laddove occorrerà invece attendere la pronuncia della sentenza definitiva di primo grado.

L’opzione a favore del procedimento monitorio, dunque, risponde ad un oggettivo e concreto interesse per il cliente, con il corollario che la scelta dell’avvocato di intraprendere un ordinario processo di cognizione è destinata a ledere tale interesse.
La scelta dell’avvocato, in quanto destinata a ledere anziché realizzare il miglior interesse del proprio cliente, esorbita per ciò stesso i limiti della discrezionalità professionale travalicando in arbitrio ed integra, di conseguenza, un’ipotesi di inadempimento degli obblighi assunti nei confronti del proprio mandante.

Qualora da tale inadempimento derivino danni al cliente, come può accadere se medio tempore il debitore si sia spogliato del proprio patrimonio risultando alla fine insolvente, l’avvocato sarà tenuto al risarcimento del danno.

Il ragionamento appare lineare ma in realtà, come anticipato, il principio affermato dalla Corte di Cassazione segna la caduta di un altro tabù, nella misura in cui ammette il sindacato – sotto la lente dell’interesse del cliente – sulla attività concernente le scelte processuali, da sempre ritenuta prerogativa esclusiva e insindacabile del professionista del foro.

Cassazione civile, Sezione 6, Ordinanza n. 17506 del 26/7/2010
Testo della sentenza

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

E' stata depositata la seguente relazione:

1 - Il fatto che ha originato la controversia è il seguente: per ottenere il pagamento dei compensi professionali di architetto vantati nei confronti di terzi, l'avvocato officiato ha promosso un giudizio ordinario, invece di ricorrere al procedimento monitorio che avrebbe garantito un sollecito soddisfacimento del credito.

Con sentenza depositata in data 22 settembre 2009 la Corte d'Appello dell'Aquila ha condannato il legale ( S.I.) a risarcire il danno subito dal cliente ( N.E.) per violazione del dovere di diligenza professionale nella sua difesa nella controversia giudiziaria. Alla Corte di Cassazione è stata devoluta la seguente questione di diritto: se possa costituire fonte di responsabilità professionale, dando luogo al risarcimento del conseguente danno, la scelta processuale del legale.

2 - Il relatore propone la trattazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, 376 e 380 bis c.p.c..

3. - Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1176 e 2236 c.c., e, in particolare, definisce aberrante il principio posto alla base della sentenza impugnata, secondo cui l'adozione dell'atto di citazione piuttosto che del possibile ricorso per decreto ingiuntivo, quale mezzo per il recupero di un credito, configuri responsabilità professionale del difensore.

Il secondo motivo lamenta violazione o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., e omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in particolare assumendo che la Corte territoriale ha trascurato di esaminare gli elementi di fatto posti a sostegno della difesa.

Le due censure che, possono essere trattate congiuntamente presentando profili comuni, sono manifestamente infondate.

Il ricorso non prospetta argomentazioni che possano indurre la Corte a modificare il proprio orientamento come espresso, tra le altre, da Cass. n. 6967 del 2006.

La sentenza impugnata non si è discostata dai principi ivi enunciati avendo ravvisato, con apprezzamento di fatto congruamente e razionalmente motivato, quindi incensurabile, il danno arrecato al rappresentato nella circostanza che, fatto ricorso al procedimento monitorio giustificato dall'abbondante documentazione a disposizione, sarebbe stato agevole ottenere la provvisoria esecuzione ove le controparti avessero proposto opposizione, quindi il soddisfacimento del credito senza attendere i tempi lunghi del procedimento ordinario.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

Il ricorrente ha presentato memoria ed ha chiesto d'essere ascoltato in camera di consiglio;

Le argomentazioni addotte dal ricorrente con la memoria non offrono spunti per soluzioni diverse; qui giova sottolineare che la sentenza impugnata, con apprezzamento di merito non censurabile, ha evidenziato il diverso risultato - per lui utile - che il cliente avrebbe conseguito ove il professionista avesse scelto il procedimento monitorio;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che il ricorso deve perciò essere rigettato essendo manifestamente infondato; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380 bis e 385 c.p.c..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.600,00, di cui Euro 1.400,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

http://www.plentedamaggiulli.it/Giurisprudenza/Cassazione%20Civile_17506.10_avvocato_responsabilita_decreto_ingiuntivo_interesse_cliente_scelta_processuale_risarcimento_danni_avvocati_lecce_raffaele_plenteda.html

L'imprenditore leso nell'immagine va risarcito dalla Pa

Risarcibile l'imprenditore leso nella sua immagine dall'amministrazione. Il Tar del Lazio – con sentenza 31996 del 30 agosto 2010 – ha riconosciuto il danno esistenziale causato da un provvedimento amministrativo illegittimo. Il danno non patrimoniale legato alla lesione dell'immagine imprenditoriale in seguito a un provvedimento illegittimo adottato dall'amministrazione è risarcibile anche in via equitativa.

Nel caso concreto, l'Agea, agenzia statale per le erogazioni pubbliche nel settore agricolo, in seguito a un'informativa prefettizia antimafia, aveva disposto un provvedimento di interdizione dall'ottenimento di erogazioni pubbliche, contratti, autorizzazioni e in generale benefici. In realtà l'informativa faceva riferimento a «taluni consiglieri» di una società cooperativa, di cui il ricorrente era socio, in quanto «legati da vincoli di parentela con persone sottoposte a misure di prevenzione».

Il ricorrente ha impugnato il provvedimento interdittivo. Ne ha, infatti, dedotto l'illegittimità per i seguenti motivi di censura: violazione e falsa applicazione degli articoli 2, 6 e 10 del Dpr 252/1998; eccesso di potere per travisamento dei fatti; illegittimità sotto altro profilo; difetto di legittimazione a procedere e carenza di interesse pubblico.

Peraltro, la stessa amministrazione aveva disposto la sospensione dell'esecutività del provvedimento, poi revocato in autotutela. Nonostante la revoca, tuttavia, i legali del ricorrente hanno rilevato la sussistenza di un danno sia economico, sia non economico, in termini di danno esistenziale.

In particolare, quanto al danno non patrimoniale, la difesa del ricorrente si è incentrata sull'immagine imprenditoriale dello stesso nonché sul suo onore e decoro e sulla sua reputazione personale, diritti inviolabili della persona che troverebbero la propria matrice costituzionale negli articoli 2 e 3 della Costituzione, e sul conseguente perturbamento psicologico per le ripercussioni negative sul proprio stile di vita, tra le quali, in particolare, l'abbandono della carica di consigliere del Cda della cooperativa nonché il trasferimento del proprio domicilio e della propria residenza in altro comune.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha rilevato come non possa essere revocabile l'influenza negativa che il provvedimento ha avuto sul piano dell'immagine imprenditoriale, anche se l'arco temporale di riferimento per valutare i danni è stato limitato (inferiore ai tre mesi). Il Consiglio di Stato, inoltre, nella sentenza 5266/2009, aveva stabilito che è risarcibile – anche in via equitativa – l'ingiusta lesione di interessi inerenti alla persona, con riferimento ai diritti inviolabili, di cui all'articolo 2 della Costituzione. Inoltre, in giurisprudenza è stato evidenziato «l'onere del danneggiato di specificare gli elementi di fatto dai quali assumere l'esistenza e l'entità del danno» (Cassazione, sezioni unite, n. 26972/2008).

http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2010-09-02/limprenditore-leso-immagine-risarcito-102943.shtml?uuid=AYmqhwLC

Vacanze estive 2010: è tempo di reclami

Anche il 2010 per le vacanze estive, a carico ed ai danni dei consumatori/turisti, è stato un anno nero a causa dei trasporti e dei disservizi dei tour operator. A sostenerlo è il Codacons che, di conseguenza, mettendoli in guardia, ricorda a coloro cui le vacanze sono andate male che ci sono dieci giorni di tempo al fine, presentando reclamo, di far valere i propri diritti. Nel dettaglio, l’Associazione, a vacanze praticamente finite per la maggioranza degli italiani, ha ricevuto/acquisito la bellezza di 13 mila segnalazioni inerenti problemi legati alle vacanze.

Trattasi di un dato in calo rispetto allo scorso anno, ma il Codacons sottolinea come questo non significhi che le cose siano andate meglio rispetto allo scorso anno visto che molti italiani, in aumento, non sono partiti in vacanza o comunque hanno trascorso le ferie programmando vacanze decisamente più modeste a causa della crisi e dei pochi soldi in tasca.

Il 2010 è un anno buio per aerei, navi e tour operator anche per effetto dei problemi causati dalla Tirrenia ma anche dalla società I Viaggi del Ventaglio che è stata dichiarata fallita. Peggiora inoltre il dato sulle segnalazioni riguardanti i bagagli smarriti, così come c’è un leggero aumento delle insoddisfazioni dei consumatori/turisti per alberghi ed agriturismi.

E così, entro un termine massimo di dieci giorni dal rientro, il turista che deve chiedere il risarcimento da vacanza rovinata a causa di disservizi deve inviare direttamente al soggetto organizzatore del viaggio una raccomandata con ricevuta di ritorno allegando una copia di tutta la documentazione, così come molto utili per far valere a pieno i propri diritti sono sia i filmini, sia le fotografie a conferma delle promesse non mantenute magari dopo che, invece, nei depliant sono stati pubblicizzati posti da sogno e servizi turistici dell’eccellenza dei quali non v’è stata alcuna traccia.

http://www.vostrisoldi.it/articolo/vacanze-estive-2010-e-tempo-di-reclami/31191/

Cassazione: risarcimento del danno biologico e patrimoniale alla casalinga che si infortuna anche se si avvale dell’aiuto di una colf.

Con la sentenza n. 16896 depositata il 20 luglio scorso, la Corte di cassazione ha stabilito che le casalinghe in caso in infortunio dovranno essere risarcite oltre che del danno biologico anche del danno patrimoniale. Inoltre la Corte ha aggiunto che la casalinga va risarcita anche se si avvale dell’aiuto di una colf. Il principio di diritto enunciato dalla Terza Sezione Civile del Palazzaccio. In particolare, la Corte, accogliendo il ricorso proposto da una casalinga ha spiegato che “ Chi svolge attività domestica (attività tradizionalmente esercitata dalla “casalinga”), benché non percepisca reddito monetizzato, svolge tuttavia un'attività suscettibile di valutazione economica; sicché il danno subito in conseguenza della riduzione della propria capacità lavorativa, se provato, va legittimamente inquadrato nella categoria del danno patrimoniale (come tale risarcibile, autonomamente rispetto al danno biologico, nelle componenti del danno emergente ed, eventualmente, anche del lucro cessante). Il fondamento di tale diritto - che compete a chi svolge lavori domestici sia nell'ambito di un nucleo familiare (legittimo o basato su una stabile convivenza), sia soltanto in favore di se stesso - è difatti pur sempre di natura costituzionale, ma, a differenza del danno biologico, che si fonda sul principio della tutela del diritto alla salute (art. 32 Cost.), riposa sui principi di cui agli articoli 4, 36 e 37 della Costituzione (che tutelano, rispettivamente, la scelta di qualsiasi forma di lavoro ed i diritti del lavoratore e della donna lavoratrice)”. Inoltre, la Corte ha concluso sottolineando che “l’eventuale impossibilità della vittima, per insufficienza di risorse economiche, di ricorrere ad una (vera e propria) colf (e quindi l’eventuale impossibilità di provare il chiaro e determinato danno emergente consistente nelle spese relative per il salario, contributi, ecc…) non autorizza il giudice a negare il risarcimento (tra l’altro riservando così un trattamento deteriore proprio a chi – a causa delle sue modeste condizioni economiche – viene a subire interamente l’usura fisica predetta e quindi danni in concreto più incisivi a causa della minorata capacità ad attendere alle abituali attività domestiche)”.

http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_8863.asp

Se il volo non parte paga la compagnia aerea

Un'ora di ritardo. Poi due, che diventano quattro. Alla fine, il volo è cancellato. Già non è piacevole gestire l'attesa in aeroporto. Figurarsi poi in vacanza. Una situazione in cui, però, capita e potrebbe capitare a molti di trovarsi in questi giorni di partenze e di arrivi. Ma con chi prendersela se il biglietto è stato venduto in un pacchetto-vacanza? Bene, il responsabile non può essere il tour operator. È l'insegnamento che viene da un caso deciso pochi giorni fa (il 27 luglio) dal giudice di pace di Palermo.

Protagonista della vicenda è stato un turista siciliano di ritorno da una vacanza in Giamaica. Non essendoci un collegamento diretto, il viaggio prevedeva uno scalo a Milano. Solo che il volo da Montego Bay aveva subito una serie infinita di ritardi fino ad essere definitivamente cancellato. A quel punto, è stato costretto a tornare in albergo (senza cenare), a telefonare dalla Giamaica in Italia per tranquillizzare i familiari e "scusarsi" con i datori di lavoro e quindi a partire il giorno dopo. E, una volta che era riuscito a rientrare in Italia, non c'era più la coincidenza per tornare a Palermo. Quindi è stato costretto a comprare un altro biglietto per tornare a casa. Il viaggiatore chiedeva così un risarcimento al tour operator che gli aveva venduto un pacchetto vacanza per coprirsi la spesa del nuovo biglietto e gli esborsi sostenuti in albergo e in aeroporto. «Non è colpa nostra» è stata la risposta della società organizzatrice che ha chiesto di chiamare in causa la compagnia aerea, ritenuta la sola responsabile dell'accaduto.

La decisione
Il giudice di pace palermitano è stato d'accordo. Tra l'altro il vettore aereo non si è presentato in giudizio e visto che non ha fornito alcuna prova in senso contrario è stato condannato a risarcire la somma del nuovo biglietto per Palermo e per le spese extra sostenute a causa del ritardo.

Il disagio non si risarcisce
Niente da fare, invece, sull'altra richiesta. Il viaggiatore aveva chiesto che gli venisse risarcita una somma di 900 euro per ripagare i disagi sopportati in tutta la vicenda, quelli che in termini giuridici si chiamano «danni esistenziali». Ma il giudice di pace palermitano, anche in relazione ai parametri più restrittivi fissati dalla Cassazione a fine del 2008 per liquidare questa particolare voce, ha ritenuto che non ci fossero i presupposti.

http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2010-08-08/aereo-parte-paga-compagnia-160315.shtml?uuid=AYTMgAFC

Voli:cancellazione, ritardo, overbooking

Chiunque decida di viaggiare in aereo, sa di dover mettere in conto l’eventualità di alcuni disagi. Ritardi, cancellazioni e overbooking non sono poi così infrequenti: invece di costituire rare eccezioni, sono ormai diventati imprevisti “regolari”. Ma la loro prevedibilità non giustifica la rinuncia da parte degli sventurati passeggeri a far valere i propri diritti sanciti dalle leggi nazionali, comunitarie ed internazionali.
Per proteggere i consumatori in volo è la Comunità Europea è intervenuta con il Regolamento n. 261/2004 che istituisce un sistema di tutela per i passeggeri in partenza da un aeroporto europeo o comunque in viaggio su un volo effettuato da una compagnia aerea comunitaria nei casi di negato imbarco, cancellazione o ritardo prolungato del volo.

In genere l’imbarco viene negato nei casi di sovraprenotazione, “overbooking” per dirla all’inglese. Si tratta di una prassi molto utilizzata dalle compagnie aeree consistente nell’accettare un numero di prenotazioni maggiore rispetto all’effettiva disponibilità di posti, considerando probabili eventualità quali annullamenti, cambi di prenotazione, mancate presentazioni al check-in, ecc..
Tuttavia, capita molto spesso che si presentino all’imbarco tutti (o quasi) coloro che hanno prenotato il volo ed il vettore non sia in grado di assicurare posti a sufficienza.
In questi casi la compagnia è tenuta ad effettuare un “appello ai volontari” per verificare se qualcuno sia disposto a cedere il proprio posto in cambio di alcuni benefici.
I passeggeri (non volontari) rimasti esclusi dal volo hanno diritto ad una compensazione pecuniaria che varia dai 250 ai 600 euro a seconda della tratta (e può essere dimezzata qualora venga offerta la possibilità di un volo alternativo con arrivo poche ore dopo l’orario previsto per il volo originariamente prenotato). Inoltre la compagnia aerea è tenuta a fornire assistenza (ovvero, in relazione alla durata dell’attesa, pasti, bevande, sistemazione in albergo con trasferimento dall’aeroporto, nonchè due chiamate telefoniche o fax o email), nonchè a rimborsare entro sette giorni il prezzo del biglietto oppure imbarcare i passeggeri su un volo alternativo il prima possibile, in condizioni di viaggio comparabili (cioè senza richiedere il pagamento di supplementi per il trasferimento in una classe superiore, ma rimborsando la differenza per il trasferimento in una classe inferiore).

Stessa tutela (compensazione pecuniaria, assistenza, rimborso o riprotezione) è prevista in caso di cancellazione del volo. Tuttavia, la compensazione pecuniaria non è dovuta quando la cancellazione è giustificata da circostanze eccezionali oppure è stata comunicata al passeggero con un preavviso di due settimane (o anche meno, fino a sette giorni prima, qualora venga offerto un volo alternativo con partenza non più di un’ora prima e arrivo non più di due ore dopo l’orario originario).

Per quanto riguarda poi i frequenti casi di ritardo prolungato del volo la normativa comunitaria prevede il diritto all’assistenza riconosciuto in base alla tratta ed alla durata dell’attesa, nonché la possibilità di rinunciare al volo qualora il ritardo raggiunga le cinque ore senza dover pagare penali e con il diritto di ottenere il rimborso del prezzo del biglietto, senza però nulla disporre in merito ad un’eventuale compensazione pecuniaria.
Se, da un lato, è vero che un volo in ritardo è comunque un volo effettuato, dall’altro lato, è vero anche che aspettare ore ed ore in aeroporto, magari passarci la notte e cominciare la vacanza in differita costituiscono dei veri e propri disagi che meritano di essere presi in considerazione. A tal proposito è intervenuta la Corte di Giustizia Ce che con la sentenza n. 402/2009 ha assimilato i passeggeri di un volo con almeno tre ore di ritardo ai passeggeri di un volo cancellato (magari anche riprotetti su uno alternativo) ed ha stabilito che anche i primi hanno diritto ad ottenere la compensazione pecuniaria, a meno che la compagnia aerea non sia in grado di dimostrare che il ritardo è dovuto a circostanze eccezionali inevitabili, tra le quali, però, non rientrano i classici “problemi tecnici” che appartengono al normale esercizio dell’attività di vettore aereo.
In ogni caso, la possibilità di avere una compensazione pecuniaria, non esclude quella di ottenere anche il risarcimento dei danni “diretti”, cioè dei danni che siano prevedibili quali effetti normali del ritardo e quantificabili fino ad un massimo di 4.150 Diritti Speciali di Prelievo che corrispondono a circa 4.831 euro. Tale risarcimento può essere richiesto alle compagnie aeree dei paesi che hanno aderito alla Convenzione di Montreal, la quale all’art. 19 prevede, appunto, che il vettore sia responsabile del danno derivante da ritardo nel trasporto aereo di passeggeri, bagagli e merci, a meno che non dimostri di aver adottato tutte le misure necessarie e possibili, secondo la normale diligenza, per evitare il danno.

Pertanto tutti coloro che si siano visti negare l’imbarco per overbooking oppure abbiano subito ritardi o cancellazioni di voli dovrebbero presentare reclamo alle compagnie aeree responsabili per ottenere rimborsi, compensazioni e risarcimenti, tenendo presente che in base all’art. 2951 del Codice Civile i loro diritti si prescrivono nel termine di un anno.
Sul sito della Casa del Consumatore sono disponibili per tutti gli associati i modelli per le varie richieste di rimborso e risarcimento. Per segnalazioni o richieste di aiuto potete contattare il nostro Sportello Vacanze  al numero 848 78 78 38.

http://consumatore.tgcom.it/wpmu/2010/07/09/volicancellazione-ritardo-overbooking/

L’insegnante non risponde per le lesioni riportate dall’alunno troppo “vivace” all’uscita di scuola

Non c'è colpa per mancata vigilanza a carico degli insegnanti nel caso di infortuni riportati da alunni troppo vivaci in conseguenza di comportamenti del tutto imprevedibili dopo che questi siano stati accompagnati all’uscita. E' quanto afferma la Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 17215 del 2010 depositata il 22 luglio 2010). Nel caso esaminato da Piazza Cavour l’alunno, fermatosi nel cortile antistante alla scuola, al termine dell’orario delle lezioni, cadeva picchiando la testa contro un gradino riportando lesioni. I genitori, in primo grado, avevano ottenuto un risarcimento di € 8.500 ma la sentenza veniva boi ribaltata dalla Corte d’Appello di Napoli che riteneva che, nel caso in esame, non potesse essere invocata la presunzione di cui all’art. 2048 cc. La decisione è stata ora conferata dai Giudici di legittimità che hanno rigettato il ricorso proposto e confermato la sentenza della Corte Territoriale .

http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_8771.asp

Cassazione Civile: risarcimento del danno patito dalla casalinga

Richiamando alcune precedenti pronunce, la Cassazione ha elaborato due principi in materia di risarcimento del danno della casalinga:

1) "Il pregiudizio economico che subisce una casalinga menomata nell'espletamento della sua attività in conseguenza di lesioni subite è pecuniariamente valutabile  come danno emergente, ex art.1223 cod civ. (richiamato "in parte qua" dal successivo art.2056) e può essere liquidato, pur in via equitativa, anche nell'ipotesi in cui la stessa sia solita avvalersi di collaboratori domestici, perché comunque i suoi compiti risultano di maggiore ampiezza, intensità, responsabilità rispetto a quelli espletati da un prestatore d'opera dipendente" (Cass. Sentenza n. 19387 del 28/09/2004);

2) "Nella liquidazione del danno alla persona, il criterio di determinazione della misura del reddito previsto dall'art. 4 della legge 26 febbraio 1977, n. 39 (triplo della pensione sociale), pur essendo applicabile esclusivamente nei confronti dell'assicuratore della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli e dei natanti può essere utilizzato dal giudice, nell'esercizio del suo potere di liquitazione equitativa del danno patrimoniale, conseguente all'invalidità, che è danno diverso da quello biologico, quale generico parametro di riferimento per la valutazione del reddito figurativo della casalinga (Cass. Sentenza n. 15823 del 28/07/2005).

(Corte di Cassazione - Terza Sezione Civile, Sentenza 20 luglio 2010, n.16896: Risarcimento danni)
 
http://www.filodiritto.com/index.php?azione=archivionews&idnotizia=2600

IPOTECA SULL'IMMOBILE: DANNO FUTURO IMMEDIATAMENTE RISARCIBILE PER L'ACQUIRENTE NON INFORMATO AL MOMENTO DEL ROGITO

Cassazione , Sez. III, 27 aprile 2010, n. 10072

* La rilevante probabilità di conseguenze pregiudizievoli è configurabile come danno futuro immediatamente risarcibile quante volte l’effettiva diminuzione patrimoniale appaia come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati ed inequivocamente sintomatici di quella probabilità, secondo un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto (nella specie: richiesta di pagamento da parte del creditore ipotecario del venditore fallito ed eseguito pignoramento del bene acquistato dal terzo).
* La possibilità che, per qualunque remota ragione, le conseguenze pregiudizievoli possano poi non verificarsi e che conseguentemente insorga l’esigenza di un riequilibrio delle posizioni mediante i rimedi che l’ordinamento appresta, non varrebbe a giustificare una soluzione che si risolvesse in un diniego di tutela a favore del soggetto in buona fede, in difetto di quella tutela esposto addirittura al rischio della perdita del bene acquistato (si pensi al caso di incapacità economica di un ricorso al credito in funzione del pagamento del creditore ipotecario).





Cassazione, Sez. III, 27 aprile 2010, n. 10072

(Pres. Senese - Rel Amatucci)





Fatto





1. - Nel luglio del 1998 M.M., richiesto il 23.4.1998 del versamento della frazione di mutuo insoluto (circa L. 180.000.000) dal creditore ipotecario (BNL) della intanto fallita società (STAI s.r.l.) venditrice di una villetta che aveva acquistato il omissis proprio al prezzo di L. 180.000.000, convenne in giudizio il legale rappresentante della società venditrice C. G., il quale aveva partecipato all’atto di compravendita e garantito l’assenza di iscrizioni ipotecarie, ed il notaio O. E., che aveva predisposto la scrittura privata di compravendita ed autenticato le sottoscrizioni delle parti, domandandone la condanna solidale al risarcimento dei danni, rapportati al valore del credito della BNL, maggiorato degli accessori.

Resistette solo il notaio O., che eccepì la prescrizione del credito e negò di avere predisposto l’atto di trasferimento, che affermò essere stato redatto dalle stesse parti.

Con sentenza n. 131/2001 l’adito tribunale di Ragusa accolse la domanda nei confronti del C., che condannò a pagare al M. “tutte le somme che allo stesso saranno richieste dalla Banca Nazionale del Lavoro o saranno assegnate al detto istituto di credito, anche per interessi, spese vive e processuali esecutive, in sede di esecuzione forzata relative all’immobile” intanto pignorato.

La corte rigettò invece nei confronti dell’ O. ritenendo che sul notaio incombesse bensì il dovere morale di avvertire l’acquirente del pericolo che sul bene oggetto di compravendita potesse gravare l’ipoteca dipendente dagli atti di mutuo e di conseguente frazionamento da lui stesso redatti, ma che di un tale avvertimento il professionista non aveva alcun obbligo giuridicamente sanzionabile, in relazione alla natura ed ai limiti dell’incarico ricevuto; incarico che, in difetto di prova dell’affidamento della redazione dell’atto o di attività di consulenza, era da considerarsi ristretto solo all’autenticazione delle sottoscrizioni.

2. - L’appello del M. è stato respinto dalla corte d’appello di Catania con sentenza n. 34 del 2005 sul rilievo che, benché dovesse riconoscersi la negligenza del notaio, ed il mandato decorso del termine di prescrizione nondimeno la domanda andava respinta per non avere il M. dato la prova dell’effettivo e concreto pregiudizio economico subito.

3. - Avverso la sentenza ricorre per Cassazione il M., affidandosi a cinque motivi cui resiste con controricorso l’ O., che propone anche ricorso incidentale condizionato, fondato su tre motivi.



Diritto



1. - I ricorsi vanno riuniti in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

A) Il ricorso principale dell’acquirente M..

2. - Il ricorrente principale M. censura la sentenza, deducendo:

a) col primo motivo, falsa applicazione dell’art. 2858 c.c. per avere la corte d’appello escluso che fosse provata l’attualità del danno benché essa sia certa per l’acquirente di un immobile che risulti ipotecato, giacché per evitare l’espropriazione egli non ha altra alternativa che pagare i creditori ipotecari o rilasciare il bene, e perché comunque subisce un pregiudizio nella possibilità di rivendita, sicché il danno è futuro ma certo;

b) col secondo, falsa applicazione dell’art. 1483 c.c. perché il pericolo di evizione sarebbe anch’esso certo ed alla posizione del venditore sarebbe assimilabile quella del notaio per non aver verificato l’esistenza di iscrizioni pregiudizievoli;

c) col terzo, falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. e vizio della motivazione, perché una volta accertata la colpa del notaio, la sua mancata condanna era frutto di confusione tra danno certo, eventuale e futuro;

d) col quarto, errata valutazione delle risultanze istruttorie, perché la negligenza del notaio era stata accertata e dunque egli avrebbe dovuto essere condannato a rifondere al giovane acquirente (all’epoca ventenne) le somme che rischiava di dover pagare;

e) col quinto, la violazione del principio di soccombenza in ordine alla disposta compensazione delle spese processuali.

2.1. - È opportuno sgombrare subito il campo dal secondo motivo di ricorso, che è manifestamente infondato poiché al risarcimento del danno da evizione è tenuto soltanto il venditore e poiché nella specie l’evizione non si era verificata; e dal quarto, che è inammissibile perché l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie non rientra tra i vizi per i quali è ammesso il ricorso per cassazione e poiché la conseguenza che il ricorrente pretende di trame è intrinsecamente priva di consequenzialità logica, non essendo la colpa sufficiente a giustificare una condanna, in affermato (dalla corte d’appello) difetto di danno.

2.2. - Vanno invece esaminati congiuntamente, per la loro intima connessione, il primo ed il terzo motivo.

Deve premettersi che infondatamente il ricorrente sostiene in memoria che sulla questione relativa all’esistenza del danno si sarebbe formato il giudicato interno a seguito della condanna al risarcimento, da parte del primo giudice, del legale rappresentante del venditore. E tanto perché - secondo la prospettazione del ricorrente - unica era la domanda proposta e unica la situazione di fatto comune sia al C. che al notaio O., che non aveva d’altronde proposto appello.

Va in contrario rilevato che l’unicità dell’atto di citazione non vale a qualificare come unica la domanda formulata dall’attore nei confronti di soggetti diversi e che assolutamente diversi erano i titoli della invocata responsabilità solidale dei due convenuti, essendo quella del C. fondata sul fatto che egli aveva taciuto al compratore la presenza dell’iscrizione ipotecaria di cui aveva garantito l’assenza ed essendo quella del notaio correlata alla sua colpa professionale per non aver svolto gli accertamenti del caso. I precedenti invocati dal ricorrente (Cass., nn. 13916/06, 19317/05, 4352/04) sono in proposito inconferenti, in quanto tutti relativi a casi di giudizi fra le stesse parti e concernenti lo stesso rapporto giuridico, mentre nella specie sono diversi sia le parti che i rapporti giuridici.

I due motivi sono peraltro fondati, nei sensi di cui appresso.

La soluzione data dalla corte d’appello (sulla scia di Cass., n. 6123 del 2000 che aveva fondato la decisione sulla distinzione tra pericolo di danno e pericolo che determina però un danno attuale, affermando che solo quest’ultimo gode della tutela risarcitoria) comporterebbe la conseguenza che l’acquirente di un bene del quale il venditore abbia inveridicamente garantito la libertà da ipoteche e che era invece oggetto di un’iscrizione ipotecaria a garanzia del credito di un terzo che il pagamento abbia richiesto ed abbia inoltre pignorato il bene, in tanto potrebbe rivalersi nei confronti del notaio (professionalmente responsabile) per la somma corrispondente a quella per la quale l’ipoteca risulti iscritta in quanto abbia già pagato il creditore, o gli abbia rilasciato il bene, o lo abbia liberato dall’ipoteca, o addirittura abbia subito l’espropriazione.

Non pare che la conclusione sia conforme a diritto là dove s’è escluso che il pericolo di conseguenze economiche pregiudizievoli (perdita del bene a seguito di espropriazione, nella specie puntualmente preannunciata dal creditore, che aveva anche effettuato il pignoramento) valga ad integrare un danno futuro immediatamente risarcibile anche se esso appaia così probabile da risolversi in una sostanziale certezza.

Non sembra inutile il preliminare rilievo che all’ordinamento - se pure in altro campo e ad effetti cautelari - non è ignota la possibilità che chi sia tenuto a pagare un debito altrui (o a sopportare le conseguenze dell’altrui inadempimento) possa assumere iniziative volte ad assicurargli la soddisfazione delle proprie ragioni nei confronti del debitore anche prima che l’effettivo pregiudizio si verifichi. Si pensi al caso di cui all’art. 1953 c.c., che le contempla a favore del fideiussore nei confronti del debitore principale quando, tra l’altro, il primo sia convenuto in giudizio per il pagamento, o il debitore sia divenuto insolvente, o il debito sia divenuto esigibile per la scadenza del termine. Quando, cioè, sia rilevantemente probabile che venga effettivamente diminuito il patrimonio di colui che, de iure, può riversare su altri il pregiudizio.

In ambito risarcitorio, il danno futuro rispetto al momento della decisione, sia esso emergente (quali le spese non ancora affrontate) o da lucro cessante, in realtà non può essere mai declinato in termini di assoluta certezza, che esclusivamente si attaglia al pregiudizio già completamente verificatosi al momento del giudizio.

Non altro che una valutazione prognostica giustifica infatti la condanna al risarcimento da lucro cessante futuro in tutti i casi nei quali sia, per esempio, diminuita la capacità lavorativa di un soggetto per gli esiti permanenti di lesioni derivategli da fatto imputabile ad un terzo. Anche qui il danno è certo solo nel senso di rilevantemente probabile, giacché il soggetto inciso potrebbe trovare alternative possibilità di guadagno tramite attività sulle quali le lesioni non esplichino influenza alcuna, ovvero potrebbe cessare di vivere prima che (dopo la formazione del giudicato) effettivamente si concretizzi il pregiudizio patrimoniale correlato al decorso del tempo.

Com’è stato efficacemente osservato in dottrina, “la certezza che deve sussistere per rendere risarcibile il danno futuro non è la stessa di quella che caratterizza il danno presente”. E la giurisprudenza ha da tempo chiarito che se non basta la mera eventualità di un pregiudizio futuro per giustificare condanna al risarcimento, per dirlo immediatamente risarcibile è invece sufficiente la fondata attendibilità che esso si verifichi secondo la normalità e la regolarità dello sviluppo causale (ex multis, Cass., nn. 1637/2000, 1336/1999, 495/1987, 2302/1965).

Il rilevantemente probabile è stato d’altronde, quantomeno in ambito civile, considerato equiparabile alla certezza anche in materia di giudizio sul nesso eziologico tra fattore causale ed evento. E il giudizio di regolarità dello sviluppo causale è sempre sotteso ad ogni apprezzamento tra evento e conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate.

Non v’è allora bisogno di sostenere - con una fictio che non vale a risolvere i casi estremi e che non si connota per rigore metodologico - che nel caso che si sta esaminando il danno sarebbe attuale in relazione alla diminuzione del valore di mercato del bene nella misura corrispondente all’entità del credito garantito dall’ipoteca (del quale era stato domandato il pagamento), sicché la consistenza del patrimonio dell’acquirente risulterebbe immediatamente ridotta.

Dovendo invece affermarsi che la rilevante probabilità di conseguenze pregiudizievoli è configurabile come danno futuro immediatamente risarcibile quante volte l’effettiva diminuzione patrimoniale appaia come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati ed inequivocamente sintomatici di quella probabilità, secondo un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto (nella specie: richiesta di pagamento da parte del creditore ipotecario del venditore fallito ed eseguito pignoramento del bene acquistato dal terzo).

La possibilità che, per qualunque remota ragione, le conseguenze pregiudizievoli possano poi non verificarsi e che conseguentemente insorga l’esigenza di un riequilibrio delle posizioni mediante i rimedi che l’ordinamento appresta, non varrebbe a giustificare una soluzione che si risolvesse in un diniego di tutela a favore del soggetto in buona fede, in difetto di quella tutela esposto addirittura al rischio della perdita del bene acquistato (si pensi al caso di incapacità economica di un ricorso al credito in funzione del pagamento del creditore ipotecario).

2.3. - Il quinto motivo, relativo alla disposta compensazione delle spese processuali, è assorbito dalla cassazione della sentenza.

B) Il ricorso incidentale condizionato del notaio O..

3. - Il ricorrente incidentale censura condizionatamente la sentenza:

a) col primo motivo, per insufficiente e contraddittoria motivazione e per violazione dell’art. 2735 c.c., non potendosi conferire valenza di confessione stragiudiziale al testo della fattura rilasciata dal notaio (“compenso professionale per atto di compravendita del omissis”) per evincerne la redazione da parte sua della scrittura privata intercorsa tra le parti, attesa la valenza meramente fiscale del documento e la contemporanea affermazione della corte d’appello che “il notaio O. ha autenticato ben 120 scritture private di vendita di immobili da parte della STAI s.r.l., delle quali 62 nel solo anno 1992”;

b) col secondo, per insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo nella parte in cui la corte d’appello aveva esclusivamente correlato alla circostanza che il notaio aveva rogato l’atto di cessione del mutuo ipotecario avente ad oggetto il terreno sul quale erano stati successivamente costruiti oltre cento appartamenti l’opinione che egli non avrebbe avuto bisogno di effettuare le visure ma “avrebbe potuto scorrere la sua memoria in pochi istanti, semplicemente consultando gli atti in suo possesso”;

c) col terzo, per violazione dell’art. 2947 c.c., comma 1, nella parte in cui la corte d’appello aveva ritenuto che il termine di prescrizione decorresse dal momento in cui il M. era venuto a conoscenza dell’iscrizione ipotecaria anziché da quello nel quale avrebbe potuto averne conoscenza consultando i pubblici registri.

3.1. - Tutte le censure sono manifestamente infondate.

La prima e la seconda - che sono intimamente connesse perché si risolvono nella censura dell’analitico apprezzamento dei fatti compiuto dal giudice del merito, che non ha in alcun modo conferito valore confessorio alla fattura, né esclusivamente collegato alla circostanza esposta nel secondo motivo la ravvisata responsabilità professionale del notaio; ma ha invece, con ampia e niente affatto contraddittoria motivazione, considerato univocamente significative nel senso privilegiato tutte le circostanze emerse dalla espletata istruttoria, da molte delle quali il ricorrente prescinde e che non è qui il caso di riprodurre pedissequamente.

La terza è infondata poiché l’affermato difetto di diligenza dell’acquirente (che tuttavia si era recato presso lo studio di un notaio per sottoscrivere in sua presenza un atto dal professionista materialmente predisposto) non incide sul corretto principio enunciato dalla corte d’appello, secondo il quale il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito “decorre dal momento in cui il danno si manifesta all’esterno divenendo oggettivamente percepibile e conoscibile (Cass., nn. 5913/2000 e 12666/03)” e sull’ulteriore affermazione che “alla data di proposizione della domanda (luglio 1998) il termine di prescrizione non era ancora decorso in quanto l’attore è venuto a conoscenza dell’esistenza dell’ipoteca in data 23.4.1998, a distanza di tre mesi dall’esercizio di detta azione”.

C) Conclusioni.

4. - Conclusivamente vanno accolti nei sensi di cui in motivazione il primo ed il terzo motivo del ricorso principale e, dichiarato assorbito il quinto rigettati gli altri motivi, nonché il ricorso incidentale.

Il giudice del rinvio, che si designa nella stessa corte d’appello in diversa composizione, deciderà nel rispetto dell’enunciato principio di diritto e liquiderà anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione riunisce i ricorsi, accoglie il primo ed il terzo motivo del ricorso principale, rigetta gli altri motivi ed il ricorso incidentale, cassa in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese, alla corte d’appello di Catania in diversa composizione.

http://www.dirittoeprocesso.com/index.php?option=com_content&view=article&id=1932%3Aipoteca-sullimmobile-danno-futuro-immediatamente-risarcibile-per-lacquirente-non-informato-al-momento-del-rogito-cassazione-sez-iii-27-aprile-2010-n-10072&catid=57%3Aobbligazioni-e-contratti&Itemid=87&lang=it

Il danno non patrimoniale nella recente giurisprudenza della corte di cassazione e dei giudici di merito

Le Sezioni Unite della Cassazione con quattro pronunce di identico contenuto, depositate l’11 novembre 2008, hanno ridisegnato l’assetto del danno patrimoniale, ricostruendo la fattispecie in modo unitario e conferendo alle diverse figure di danno (biologico, morale ed esistenziale) carattere “descrittivo”.

“Il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate”, che conservano al più carattere descrittivo ai fini della quantificazione del danno.

Nell’ottica di una interpretazione unitaria del danno non patrimoniale, la formula “danno morale” non costituisce più una autonoma sottocategoria di danno, ma semmai descrive il pregiudizio non patrimoniale costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata.

Inoltre precisano le S. U. che il danno non patrimoniale di cui parla l’art. 2059 si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. Per effetto di tale estensione, va ricondotto nell’ambito dell’art. 2059 il danno da lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost) denominato “danno biologico”. In precedenza, come è noto, la tutela del danno biologico era apprestata invece grazie al collegamento tra l’art. 2043 c.c. e l’art. 32 Cost.

Trova adeguata collocazione nella norma anche la tutela riconosciuta ai soggetti che abbiano visto lesi i diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.) (sent. n. 8827 e n. 8828/2003, concernenti la fattispecie del danno da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto).
Eguale sorte spetta al danno conseguente alla violazione del diritto alla reputazione, all'immagine, al nome, alla riservatezza, diritti inviolabili della persona incisa nella sua dignità, preservata dagli artt. 2 e 3 Cost.(sent. n. 25157/2008).
La rilettura costituzionalmente orientata dell'art. 2959 c.c., come norma deputata alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale inteso nella sua più ampia accezione, riporta il sistema della responsabilità aquiliana nell'ambito della bipolarità prevista dal vigente codice civile tra danno patrimoniale (art. 2043 c.c.) e danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) (sent.n.8827/2003;n.15027/2005;n.23918/2006).
Quindi è solo ai fini descrittivi – precisa la Corte – che in dette ipotesi, ad esempio, nel caso di lesione del diritto alla salute, si impiega un nome, riferendosi al danno biologico.

Perentorie si mostrano le affermazioni delle Sezioni Unite nell’escludere l’esistenza dell’autonoma categoria del danno esistenziale( inteso come ogni pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddituale del soggetto, che alteri le sue abitudine di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto alla espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno) facendo sempre riferimento alla lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., unica norma disciplinante il risarcimento del danno non patrimoniale.

Restano esclusi dal novero dei diritti risarcibili tanto i pregiudizi di minore rilievo per la cui risarcibilità sono stati invocati “diritti del tutto immaginari”, come il diritto alla qualità della vita, il diritto ad essere felici; e soprattutto i danni cd. bagatellari, inerenti a danni irrisori, insignificanti o irrilevanti per la coscienza sociale.

Precisa ancora la Corte che è' compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione.

Viene in primo luogo in considerazione, nell'ipotesi in cui l'illecito configuri reato, la sofferenza morale. Definitivamente accantonata la figura del c.d. danno morale soggettivo, la sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale.

Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sè considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale.

Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell'animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente.

Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.

Egualmente determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poichè la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato.

Possono costituire solo "voci" del danno biologico nel suo aspetto dinamico, nel quale, per consolidata opinione, è ormai assorbito il c.d. danno alla vita di relazione, i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell'integrità psicofisica, sicchè darebbe luogo a duplicazione la loro distinta riparazione.
Certamente incluso nel danno biologico, se derivante da lesione dell'integrità psicofisica, è il pregiudizio da perdita o compromissione della sessualità, del quale non può, a pena di incorrere in duplicazione risarcitoria, darsi separato indennizzo.

Dopo l’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite del novembre 2008, le pronunce successive non sembrano inserirsi tutte nella medesima direzione. Gli interventi giurisprudenziali successivi , sia di legittimità che di merito, impongono, pertanto una breve rassegna, senza alcuna pretesa di esaustività ed autorevolezza, sul diritto vivente in punto di risarcimento del danno non patrimoniale che, attualmente, appare un vero e proprio cantiere aperto, un work in progress rispetto al dettato delle S.U.

Il presente contributo avrà come filo conduttore il mero criterio cronologico all’interno delle due categorie in cui verranno suddivise le pronunce: in primis quella di legittimità e successivamente quella di merito.

* Cassazione civile, sez. III, 28 novembre 2008, n. 28407

La prima sentenza della Cassazione successiva alle Sezioni Unite può essere facilmente inquadrata tra le sentenze dissenzienti rispetto all’orientamento espresso da queste ultime.

La Corte infatti si dichiara espressamente a favore della netta distinzione tra biologico e morale: nella sentenza infatti si legge come “l’autonomia ontologica del danno morale rispetto al danno biologico, in relazione alla diversità del bene protetto, appartiene ad una consolidata giurisprudenza di questa Corte, che esclude il ricorso semplificativo a quote del danno biologico esigendo la considerazione delle condizioni soggettive della vittima e della gravità del fatto e pervenendo ad una valutazione equitativa autonoma e personalizzata”.

* Cassazione civile , sez. III, 12 dicembre 2008, n. 29191

Già ai primi di dicembre la Cassazione rincara la dose riconoscendo al danno morale una propria autonomia rispetto alle lesione del diritto alla salute (c.d. danno biologico): nella pronuncia infatti si afferma che “nella valutazione del danno morale contestuale alla lesione del diritto della salute, la valutazione di tale voce, dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona, deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto, senza che possa considerarsi il valore della integrità morale una quota minore del danno alla salute”. La Corte reputa che sia un error in iudicando valutare il danno morale quale in termini di pro quota del danno biologico. Si aggiunge che, nella fattispecie trattata, venendo in rilievo lesioni gravissime con esiti dolorosi anche dal punto di vista psichico, l’autonomia ontologica del danno morale deve essere considerata in relazione alla diversità del bene protetto, che attiene alla sfera della dignità morale della persona, escludendo meccanismi semplificativi di tipo automatico.

* Cassazione civile sez. lavoro 19/12/2008 n. 29832

Tale sentenza fa proprie le conclusioni delle SS.UU di novembre ’08, smussando però i principi di diritto enunciati dal Supremo Collegio. Se è vero che danno biologico e danno morale non sono categorie distinte, conservando solo valenza descrittiva, si sottolinea tuttavia che il giudice, come in passato, deve tenerne conto ai fini del risarcimento: cambiano le parole, non muta la sostanza.

* Cassazione civile , sez. III, 13 gennaio 2009, n. 469

Tale sentenza è invece una recezione “non abolizionalista” delle S.U.; infatti ponendosi in linea con tale pronunzia enuncia il seguente principio di diritto: “Nella fattispecie di illecito sanitario (per responsabilità aquiliana o contrattuale, nel rispetto del principio del devolutum) da cui derivi una lesione gravissima alla salute del neonato, il danno morale richiesto iure proprio dai genitori deve essere comunque risarcito (vedi punto 4.1. delle SU 26972 cit.) come danno non patrimoniale, nell'ampia accezione ricostruita dalle SU come principio informatore della materia (vedi punto 3.12 delle SU 26972 cit.). Il risarcimento deve avvenire secondo equità circostanziata (art. 2056 c.c.), tenendosi conto (punto 4.8 delle S.U. cit.) che anche per il danno non patrimoniale il risarcimento deve essere integrale, e tanto più elevato quanto maggiore è la lesione che determina la doverosità dell'assistenza familiare ed un sacrificio totale ed amorevole verso il macroleso.

* Cassazione civile , sez. 3, 19 febbraio 2009, n. 4053

Anche con tale sentenza la Cassazione si allinea con i principi affermati dalle S.U. Afferma infatti la Corte: “E' vero che nel vigente assetto ordinamentale il danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c., non può più essere identificato (secondo la tradizionale restrittiva lettura dell'art. 2059 c.c., in relazione all'art. 185 c.p.) soltanto con il danno morale soggettivo, costituito dalla sofferenza contingente e dal turbamento dell'animo transeunte, determinati da fatto illecito integrante reato. Esso deve essere, piuttosto, inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui si verifichi un'ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, dalla quale conseguano pregiudizi non suscettivi di valutazione economica senza soggezione al limite derivante dalla riserva di legge correlata dall'art. 185 c.p. “

* Cassazione sez. 3 9/04/2009 n. 8703.

In applicazione dei nuovi principi affermati dalle sentenze gemelle del novembre 2008, la S.C., cassando la sentenza impugnata e decidendo nel merito, ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni provocati dal tardivo annullamento in sede di autotutela di una cartella esattoriale, precisando che la risarcibilità del danno non patrimoniale presuppone in primo luogo la rilevanza costituzionale dell’interesse leso ed in secondo luogo che la lesione sia grave e che il danno non sia futile.

* Cassazione sez. III del 11/06/2009 n. 13530.

In tale sentenza sopravvive, anche se nascosto, il danno morale. Precisa la Corte che: “in relazione ad un fatto illecito costituente anche fatto reato continuato per atti di libidine in danno di minore, la valutazione unitaria del danno non patrimoniale deve esprimere analiticamente l'iter logico ponderale delle poste e non già una apodittica affermazione di procedere ad un criterio arbitrario di equità pura, non controllabile per la sua satisfattività.
La posta del danno morale deve essere dunque comparata a quella del danno biologico, e non è detto a priori che il danno morale sia sempre e necessariamente una quota del danno alla salute, specie quando le lesioni attengano a beni giuridici essenzialmente diversi, tanto da essere inclusi un diverse norme della Costituzione. Al contrario (come nella fattispecie in esame) il danno morale potrà assumere il valore di un danno ingiusto più grave,in relazione all'attentato alla dignità morale del minore ed alla compromissione del suo sviluppo interrelazionale e sentimentale”.

* Cassazione sez.III, 22/06/2009 n. 14551
* Cassazione sez.III, 30/09/2009 n. 20949.
* Cass. Sez. III, 30/10/2009 n. 23053

Abbiamo poi altre tre sentenze non abolizioniste in tema di danno non patrimoniale per il decesso di un familiare.

In particolare nella prima la Corte sottolinea che in caso di perdita di un familiare, la liquidazione del danno non patrimoniale subito da un congiunto affetto da sordomutismo non può non tener conto della particolare condizione del danneggiato. “Al contrario, l'interpretazione costituzionalmente orientata della normativa di riferimento impone di considerare la particolare condizione della persona sordomuta, la quale ha una ridotta capacità di comunicare e di relazionarsi con le altre persone, con la conseguenza che la perdita di un familiare, a maggior ragione se convivente, determina un vulnus particolare e ulteriore della concreta possibilità di comunicare e relazionarsi”.

Nella seconda la Corte sottolinea invece che, la circostanza che il giudice di merito abbia liquidato agli aventi diritto una somma unitaria definita “danno morale” non può ritenersi decisione di per sé erronea, in tutti i casi in cui risulti dalla motivazione del provvedimento che il giudicante, nella stima del danno, abbia tenuto conto non solo della sofferenza transeunte, ma di tutte le conseguenze derivate dal fatto illecito.

Nella terza la Corte richiama semplicemente i principi generali elaborati in tema di quantificazione del danno morale, oltre che di quello biologico.

* Cassazione Sez. III , 13/11/2009 n. 24030
* Cassazione Sez. lavoro, 30/11/2009 n. 25236

A novembre occorre segnalare altre due sentenze che recepiscono fedelmente i principi affermati dalle S.U.

Nella prima decisione la Corte ha ritenuto risarcibile ex art. 2059 c.c. la lesione del diritto alla retribuzione patita dai lavoratori a seguito del reato di false comunicazioni sociali commesso dal datore di lavoro. La Corte fa trapelare che il danno esistenziale non esiste come tale, ma può far parte, a certe condizioni, del danno non patrimoniale.

Nella seconda decisione ha affermato che in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, il cosiddetto danno alla vita di relazione ed i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell’integrità psicofisica possono costituire solo voci del danno biologico ( al quale va riconosciuta portata tendenzialmente omnicomprensiva) nel suo aspetto dinamico, sicché darebbe luogo a duplicazione la loro distinta riparazione.

* Cassazione sez. III 19/01/2010 n.702

A gennaio del corrente anno la S.C. sfida apertamente le Sezioni Unite, ribaltando completamente i principi di diritto enunciati nelle sentenze gemelle del 2008.

In particolare nel caso di specie la Corte conferma la sentenza d’appello del Tribunale di Gela che a seguito di un incidente stradale riconosce al danneggiato non solo il danno biologico, ma altresì il danno morale negato invece dal Giudice di Pace.

La Corte a tal proposito precisa che: “La liquidazione del danno morale deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto e risarcire la persona delle sofferenze subite; peraltro nulla vieta che sia liquidato in proporzione al danno biologico.”

Appare ineludibile volgere uno sguardo alle prime pronunce di merito successive al novembre 2008, che rappresentano le prime applicazioni pratiche dei principi emanati dalle S.U. con cui ci dovremmo confrontare nella quotidianità giudiziaria.

Il profilo più discusso in giurisprudenza riguarda la possibilità di cumulare la risarcibilità del vecchio danno morale a quella del danno biologico, in presenza di lesione dell’integrità psicofisica del danneggiato.

Su tale problematica da un campione di 373 sentenze di merito, successive alle SS.UU del 2008, analizzate dall’ Osservatorio sul danno alla persona , possiamo enucleare tre diversi trend interpretativi.

I) Il primo trend interpretativo ritiene che, in dette ipotesi, non risulterebbe più risarcibile il cd. “danno morale”. Sulla scia dei principi affermati nel poker di sentenze del 2008, una parte degli interpreti ritiene non risarcibile il danno morale in presenza di un danno biologico, in quanto il primo rimarrebbe assorbito nel secondo. Questo primo indirizzo ermeneutico non ha avuto molto seguito nella giurisprudenza di merito ed infatti, sulle 373 sentenze analizzate dall’Osservatorio, sono solamente una decina quelle che possiamo classificare come “abolizioniste” :

* Tribunale di Monza 25/11/2008, forse la più drastica, il quale nel liquidare i danni da colpa medica, “rigetta la richiesta di risarcimento del danno morale in quanto…rientrante nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente”
* Tribunale di Palermo, 01 aprile del 2009 che a fronte di una richiesta di risarcimento avanzata da un lavoratore esposto al rischio amianto, nega la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale, atteso che quesst’ultimo,costituisce una componente del primo, “ dal momento che qualsiasi lesione alla salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica”
* Tribunale di Milano 21 aprile del 2009 che nel decidere su una richiesta di risarcimento danni relativa ad un incidente occorso ad un’allieva durante l’orario scolastico esclude la risarcibilità del danno morale. “Esso infatti non è stato concretamente dedotto e non provato nella sua effettività”. Il giudice inoltre ritiene la necessità di allegazione e di prova del danno morale tanto più stringente quanto meno invalidanti risultano gli esiti permanenti della lesione.
* Corte di Appello di Napoli 16 febbario 2009 che in un’ipotesi di sinistro stradale è molto rigorosa nell’escludere duplicazioni risarcitorie.

II) Vi è poi un secondo trend abbastanza diffuso che, pur richiamando le SS.UU. del 2008, di fatto provvedono al risarcimento del danno non patrimoniale mediante il riconoscimento, insieme a quello biologico, di un’ulteriore voce di danno, per lo più definito morale,atta a ristorare la vittima delle sofferenze dalla stessa patite. Tale tecnica motivazionale sembra censurabile perché in contrasto con i principi sanciti dalle S.U. di non duplicare il risarcimento e di non liquidare il danno morale come percentuale del danno biologico. Tra le sentenze di questo secondo trend si è potuto constatare che in circa la metà dei casi analizzati il danno morale viene risarcito in considerazione che il fatto illecito integra una fattispecie, seppur astratta, di reato (cfr. Tribunale di Milano 10 febbraio del 2009,Tribunale di Benevento, 27 gennaio del 2009); vi sono poi altre pronunce che, pur prendendo le mosse dal combinato disposto dagli artt. 2059 cc. e 185 c.p., specificano che in risarcimento del danno morale spetti alla vittima, in quanto l’illecito preso in esame ha leso interessi della persona di rango costituzionale (cfr. Tribunale di Roma 11 maggio 2009 n. 10182; Tribunale di Nola del 22 gennaio 2009). Fanno eccezione poi, alcune pronunce in cui, senza alcun riferimento alle note sentenze, viene liquidato il danno morale quale conseguenza delle sofferenze presuntivamente patite dal danneggiato.

III) Nel terzo trend, invece, la tecnica motivazionale più diffusa è quella di liquidare il danno non patrimoniale come categoria unitaria, incentrata sul danno biologico, adeguatamente “personalizzato” alle sofferenze morali patite dal danneggiato. I giudici hanno così liquidato il danno non patrimoniale incentrando la quantificazione sul danno alla salute, ed operando su di essa meccanismi differenti volti ad incrementarla di un quid pluris idoneo a risarcire l’incidenza della lesione sulla sfera emotiva del danneggiato.

I meccanismi di personalizzazione del danno non patrimoniali effettuati da questi giudici hanno privilegiato la quantificazione del danno biologico aumentato di un quid pluris, consistente, in alcuni casi, in una percentuale del medesimo danno biologico; in altri casi, in un aumento del valore del danno biologico; e , in altri ancora, in una maggiorazione in via equitativa del danno biologico.

Questa tecnica si sposa perfettamente con le nuove tabelle di Milano 2009. Si richiamano a tal proposito:

* Tribunale di Montepulciano 19-06-09 : qui abbiamo una fedele applicazione delle nuove tabelle di Milano in un’ipotesi di danno differenziale da incidente di lavoro.
* Tribunale di Milano 9-6-09 che in un caso analogo così statuisce: “ La nuova tabella milanese muove dal presupposto che i criteri di liquidazione del danno non patrimoniale da lesione del bene salute debbano prevedere valori monetari che siano riconducibili a quelli già riconosciuti precedentemente, sia a titolo di danno biologico che di danno morale, da liquidarsi dal giudice complessivamente, all’esito di una unitaria personalizzazione del danno accertato.

In sostanza, per ciascun punto percentuale di menomazione dell’integrità psicofisica, si liquiderà un importo che dia ristoro alle conseguenze della lesione in termini “medi”: in relazione agli aspetti anatomo-funzionali, agli aspetti relazionali, agli aspetti di sofferenza soggettiva, ritenuti provati anche presuntivamente. Il giudice - in considerazione delle peculiarità allegate e provate nella fattispecie concreta, con specifico riguardo sia alla “sofferenza soggettiva” che alle “particolari condizioni soggettive del danneggiato” (nozione accolta anche dagli artt. 138 e 139 Cod. delle Assicurazioni) - procederà ad un’adeguata e complessiva “personalizzazione” della liquidazione del danno entro valori monetari stabiliti in un predeterminato range di aumento dei citati importi “medi”.- Con gli stessi criteri il giudice liquiderà anche il danno biologico temporaneo, comprensivo altresì del danno morale, entro un range che consenta un’idonea personalizzazione. In ogni caso, il giudice sarà sempre libero di liquidare importi diversi da quelli indicati in tabella,con congrua motivazione, soprattutto laddove la fattispecie concreta presenti aspetti affatto peculiari. Nella fattispecie in esame, il Tribunale dovrà necessariamente tenere conto di tutto quanto sinora esposto ai fini di una corretta liquidazione del danno subito dall’attore. Tale operazione dev’essere compiuta, peraltro, non soltanto in ragione delle domande risarcitorie svolte dall’attore medesimo, ma anche ai fini dell’azione di surroga svolta dall’INAIL nei confronti dei convenuti riconosciuti responsabili, per le somme corrisposte dall’ente all’attore. Ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale patito, occorrerà pertanto tenere conto delle accertate invalidità, della giovane età dell’attore (al momento dell’accadimento ventiseienne),delle condizioni di vita (tra queste la circostanza, di cui ancora infra, che l’attore vantava bell’aspetto e velleità di sfruttarlo a fini economici o, comunque, di metterlo in risalto), delle risultanze probatorie, dell’espletata CTU, della rilevantissima entità del danno biologico, delle particolari sofferenze fisiche e psichiche sofferte e degli innumerevoli gravi pregiudizi che una menomazione psico-fisica, quale quella subita dall’attore, comporta su un giovane, inevitabilmente compromettendone la sfera relazionale e sessuale.

Tenuto infine conto dei nuovi criteri tabellari sopra delineati, stimasi equo liquidare, per il complessivo risarcimento del danno non patrimoniale da lesione al diritto alla salute nella sua nuova accezione onnicomprensiva e “dinamica”, la somma già rivalutata di Euro ; per il danno biologico temporaneo – reputandosi equo calcolare (avuto riguardo, sempre, a tale valutazione complessiva del danno biologico) un parametro medio giornaliero di circa Euro X per l’inabilità totale – si liquida la somma già rivalutata di Euro X+Y.

* Tribunale di Milano 23-09-09 che in un’ipotesi di insidia così si pronuncia: “A seguito della giurisprudenza espressa dalla sentenze delle sezioni unite della Corte di Cassazione del 11.11.2008 e sulla base delle indicazioni contenute nelle nuove tabelle predisposte nel 2009 dal Tribunale di Milano, viene effettuata una liquidazione congiunta del danno non patrimoniale comprensiva della componente conseguente alla lesione temporanea e permanente dell'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico legale e del danno conseguente alle medesime lesioni in termini di "dolore e sofferenza soggettiva", da ritenersi provato in via presuntiva con riferimento al tipo di lesione subita, al grado di menomazione ed alla durata del periodo di malattia. In via equitativa ed attestando la liquidazione su valori medi, in assenza di allegazione e prova di particolare afflittività della lesione con riferimento al caso concreto, si determina il danno non patrimoniale riferito a postumi temporanei nella somma di Euro 4.620,00 in valuta attuale, determinata riconoscendo la somma di Euro 88,00 per ogni giorno di invalidità temporanea al 100% e quello relativo ai postumi permanenti, tenuto conto dell'età della persona (77 anni) e del livello di invalidità, nella somma di Euro 15.653,00, al valore attuale.”
* Tribunale di Piacenza 19-11-09 che in un’ ipotesi di risarcimento danni da colpa medica precisa: “In particolare, per quanto concerne il danno non patrimoniale , il CTU ha confermato la stima della perizia stragiudiziale prodotta, relativa ad una lesione biologica permanente del 2%. Pertanto, sulla base dei parametri liquidatori cd. del Tribunale di Milano aggiornati al 2009, che qui si intendono applicare in quanto condivisibili ed adeguati, tenuto conto di un'età di 54 anni al momento del sinistro, spetta alla ricorrente un complessivo risarcimento per danno biologico di euro 2.086,00 già comprensivo della sofferenza cosiddetta morale.”

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Un cenno, per finire, a due importanti questioni connesse relative al danno da morte: danno tanatologico e danno da perdita del congiunto.

In tema di danno tanatologico oggetto di discussione è stabilire se sussiste o meno, in capo alla vittima primaria, un diritto al risarcimento per perdita della vita, e, conseguentemente, se i congiunti possano pretenderlo iure hereditatis.

Sul tema occorre segnalare le recenti pronunce della Cassazione circa la differenza tra danno biologico terminale e danno morale a seconda della durata della sopravvivenza.

In primis si segnala :“Cassazione civile, sez. III, sentenza 13.01.2009 n. 458 “ Nel caso di specie si verificava un incidente mortale. La vittima coinvolta, a seguito dell’incidente, restava in vita 3 giorni e poi decedeva.I familiari della vittima (padre, madre e fratello) agivano per il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali. La Cassazione sul punto è molto chiara: il danno morale non è cumulabile con quello biologico psichico, – 3 giorni di agonia non bastano per il danno tanatologico.

La Suprema Corte, con tale pronuncia , ritiene di dover precisare una serie di profili.

Viene affermato che il danno biologico (del tipo psichico) non può essere cumulato con quello morale,così che i familiari che abbiano subito una malattia nella mente derivante dall’illecito non potranno ottenere anche il danno morale: se vi è danno biologico psichico, allora, non vi può essere anche quello morale; diversamente, si avrebbe un’inutile duplicazione di voci risarcitorie.

Verosimilmente, la Cassazione ritiene che tali danni non possano essere cumulati, perché attinenti al medesimo bene-interesse protetto, quale la salute, ex art. 32 Cost., sotto il profilo mentale.

Se, difatti, danno morale e biologico sono posti a presidio del medesimo bene, allora, il secondo rappresenterà un quid pluris assorbente rispetto al primo, perché della medesima natura giuridica.

Altresì, la Cassazione afferma che il danno tanatologico va qualificato come danno morale inteso, nella sua nuova e più ampia accezione, come sofferenza della vittima che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita; inoltre, non sarebbero sufficienti tre giorni di agonia per dare vita al danno “biologico terminale” che, di massima, avrebbe giustificato la trasmissione agli eredi del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale maturato dal de cuius prima di morire, in coerenza con la giurisprudenza a Sezioni Unite.

Sul tema è poi intervenuta nuovamente la Suprema Corte con sentenza del 30/10/2009 n. 23053 statuendo che in tema risarcimento del danno da fatto illecito, ove tra quest’ultimo e la morte della vittima sia trascorso un apprezzabile lasso di tempo l'ammontare del danno biologico, che gli eredi del defunto richiedono iure successionis, va calcolato non con riferimento alla durata probabile della vita del defunto, ma alla sua durata effettiva.

In caso di morte quasi immediata viene negato il riconoscimento del danno biologico.

Sul punto occorre richiamare infine la recentissima Cass. 12/02/2010 n. 3357 che sul tema così si pronuncia: “Deve premettersi che il danno subito dal defunto e relativo alla sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, deve essere qualificato, secondo le Sezioni unite di questa Corte (sent. 26972 del 2008), come danno morale. Una tale sofferenza psichica, di massima intensità anche se di durata contenuta, non è infatti suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesione e morte di degenerare in patologia e dare luogo al danno biologico. A ristoro di tale sofferenza il Giudice dovrà correttamente riconoscere e liquidare il danno tenendo conto della gravità dell'offesa e della serietà del pregiudizio.”

http://diritto.it/docs/29887