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Gratuito patrocinio: Cassazione, nel calcolo si tiene conto anche del reddito non imponibile

Il reddito non soggetto ad imposizione viene comunque conteggiato come reddito complessivo per essere ammessi al gratuito patrocinio. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con una sentenza deposita il 12 ottobre (la n. 36362) con cui ha respinto il ricorso di una donna che chiedeva di essere ammessa al patrocinio a spese dello stato. La donna aveva eccepito che le donazioni, consistenti in somme di danaro escluse dalla tassazione, non potevano rientravano nel computo del reddito complessivo per essere ammessi al gratuito patrocinio. Al contrario di quanto aveva eccepito la donna, la Corte ha quindi deciso la questione spiegando che, pur non essendo soggetto a tassazione, questi introiti devono comunque essere calcolati per stabilire il reddito complessivo del soggetto che chiede di essere ammesso al gratuito patrocinio. In particolare, dalla parte motiva della sentenza si legge infatti che “qualsiasi introito che l'istante percepisce con caratteri di non occasionalità, confluisce nel formare il reddito personale (non aggiuntivo dei familiari conviventi), ai fini della valutazione del superamento del limite indicato nell'art. 76 DPR 1152002”. La Corte ha inoltre specificato quali tipi di reddito rientrano nel computo e cioè ha aggiunto che “rilevano anche i redditi che non sono stati assoggettati ad imposte vuoi perché non rientranti nella base imponibile, vuoi perché esenti, vuoi perché di fatto non hanno subito alcuna imposizione: ne consegue che rilevano anche i redditi da attività illecite ovvero i redditi per i quali l'imposizione fiscale è stata esclusa”.

http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_9115.asp

Fisco: online un'assistente virtuale nel sito di Equitalia. Aiuta a familiarizzare con nuova cartella

Equitalia ha messo a disposizione nel sito istituzionale un assistente virtuale per consentire agli utenti di familiarizzare subito con la nuova cartella di pagamento. La società spiega in una nota che il contribuente puo' approfondire tutte le novita' della nuova cartella con un semplice clic e avvalersi dell'ausilio di immagine e di una voce che lo guida nel suo percorso all'interno delle diverse pagine. Equitalia ha già stretto accordi con enti, associazioni e ordini professionali e confida ora nella loro collaborazione perché sia consentita la più ampia diffusione di questa guida online.

http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_9087.asp

Due pesi e due misure nel diritto tributario: gli interessi di mora

A) INTRODUZIONE

L’art.1, comma 150, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 stabilisce che: “Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, emanato ai sensi dell’articolo 13, comma 1, della legge 13 maggio 1999, n. 133, sono stabilite le misure, anche differenziate, degli interessi per il versamento, la riscossione e i rimborsi di ogni tributo, anche in ipotesi diverse da quelle previste dall’articolo 13 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, nei limiti di tre punti percentuali di differenza rispetto al tasso di interesse fissato ai sensi dell’articolo 1284 del codice civile, salva la determinazione degli interessi di mora ai sensi dell’articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni”.

1. Gli interessi: definizione

Nel settore tributario è frequente e rilevante la problematica creata dall’utilizzo improprio che viene fatto delle espressioni “interessi”, “interessi legali”, “interessi corrispettivi”, “interessi moratori” e “interessi di mora”.

Ai fini dell’analisi che si svolge in questa sede, occorre chiarire che la produzione degli interessi sui debiti pecuniari si giustifica in virtù del fatto che l’avere a disposizione una somma di denaro comporta di per sé già un vantaggio economico.

Infatti, la disponibilità di una somma di denaro dà la possibilità di investirlo, e quindi di ottenere un guadagno dallo stesso investimento.

Pertanto, l’applicazione degli interessi è finalizzata alla remunerazione del creditore per il mancato guadagno conseguente alla mancata disponibilità del denaro liquido.

Secondo l’insegnamento della dottrina civilistica, adattabile anche al diritto tributario, e quindi alle obbligazioni tributarie, si possono distinguere talune tipologie di interessi.

In particolare, si definiscono “interessi moratori” quelli dovuti dal debitore per il ritardo nel pagamento. Questi, secondo l’art.1224 c.c., sono pari agli interessi legali indipendentemente dalla prova del creditore di aver sofferto alcun danno a causa del ritardato pagamento.

Infatti, è principio ben saldo nel nostro ordinamento che unicamente per le obbligazioni pecuniarie, tra le quali si possono annoverare anche le obbligazioni tributarie, in quanto hanno ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, si debba presumere il danno subito dal creditore (nelle fattispecie tributarie l’ente impositore) e dovuto al ritardo nel pagamento del debito.

Una volta chiarita la confusione dovuta all’utilizzo spesso improprio del concetto di interesse di mora, occorre analizzare come vengano differentemente disciplinati dalla legislazione tributaria tali interessi sia tra loro e sia a seconda che creditore sia la Pubblica Amministrazione o il contribuente. Caso questo riscontrabile al verificarsi di circostanze cui la legge ricollega l’obbligo in capo all’amministrazione di rimborsare, entro un prescritto termine, il cittadino delle somme indebitamente pagate, o in seguito dichiarate non dovute.



B) IMPOSTE SUL REDDITO

1. gli interessi sulle somme accertate

L’art. 20 del D.P.R. n. 602 del 29 settembre 1973 stabilisce che: “sulle imposte o sulle maggiori imposte dovute in base alla liquidazione ed al controllo formale della dichiarazione od all’accertamento d’ufficio si applicano, a partire dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento e fino alla data di consegna al concessionario dei ruoli nei quali tali imposte sono iscritte, gli interessi al tasso del 4 per cento annuo”.

Il tasso di interessi al 4% annuo si applica a partire dall’01 ottobre 2009 per effetto dell’art. 2 del D.M. 21 maggio 2009, che così recita: “A decorrere dal 1 ottobre 2009, gli interessi per ritardata iscrizione a ruolo, previsti dall'art. 20 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, sono dovuti nella misura del 4 per cento annuo, per i ruoli resi esecutivi dalla medesima data”.


2. gli interessi per dilazione del pagamento

L’art. 21, comma 1, del D.P.R. 602/1973, stabilisce che: “sulle somme il cui pagamento è stato rateizzato o sospeso ai sensi dell’art. 19, comma 1, si applicano gli interessi al tasso del 4,5 per cento annuo”.

L’ammontare del tasso di interessi annuo al 4,5% è stato così determinato dall’art. 3 del D.M. 21 maggio 2009, il quale così recita: “Gli interessi per dilazione del pagamento, previsti dall'art. 21 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, sono dovuti nella misura del 4,5 per cento annuo, per le dilazioni concesse a decorrere dal 1 ottobre 2009.”


3. gli interessi di mora per ritardo nel pagamento delle somme iscritte a ruolo

L’art. 30 del D.P.R. del 29 settembre 1973, n. 602 stabilisce che: “decorso inutilmente il termine previsto dall’art. 25, comma 2, sulle somme iscritte a ruolo si applicano, a partire dalla data della notifica della cartella di pagamento e fino alla data del pagamento, gli interessi di mora al tasso determinato annualmente con decreto del Ministero delle finanze con riguardo alla media dei tassi bancari attivi” (i quali al 2009 ammontavano al 4,7567%).

Gli interessi disciplinati dall’art. 30 D.P.R. 602/1973, si applicano ai pagamenti effettuati dopo i 60 giorni dalla data di notifica della cartella di pagamento.

A decorrere dall’1 ottobre 2009 e fino al 30 settembre 2010, il tasso di interesse è stato fissato nella misura del 6,8358% annuale, dal Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 4 settembre 2009.

Mentre dall’1 ottobre 2010 la misura del tasso di interessi si ridurrà dal 6,8358% al 5, 7567%, così come stabilito dal Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 7 settembre 2010.

Nella motivazione del provvedimento suddetto viene chiarito che “L’articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 prevede l’applicazione degli interessi di mora per ritardato pagamento delle somme iscritte a ruolo, a partire dalla notifica della cartella e fino alla data di pagamento, ad un tasso da determinarsi annualmente con decreto del Ministero delle Finanze, con riguardo alla media dei tassi bancari attivi.

In attuazione della richiamata disposizione, e dopo aver interpellato la Banca d’Italia, con provvedimento del 4 settembre 2009, è stata fissata, con effetto dal 1°ottobre 2009, al 6,8358 per cento in ragione annuale, la misura del tasso di interesse da applicare nelle ipotesi di ritardato pagamento delle somme iscritte a ruolo.

Considerato che, come detto, l’art. 30 prevede una determinazione annuale del tasso di interesse in questione, è stata interessata la Banca d’Italia che, con nota n. 327293 del 23 aprile 2010, ha stimato al 4,7567% la media dei tassi bancari attivi con riferimento al periodo 1.1.2009-31.12.2009.

Tenuto conto, quindi, della flessione registrata nell’anno 2009 dei tassi bancari attivi, si ritiene congruo ridurre al 5,7567% l’attuale misura degli interessi di mora.

Il tasso è stato individuato applicando la maggiorazione di un punto percentuale alla media dei tassi bancari attivi, come individuata dalla Banca d’Italia.

Tale maggiorazione si ritiene necessaria per differenziare, in ragione della condotta del contribuente, le misure del tasso di interesse nelle diverse ipotesi di riscossione mediante ruolo.

Infatti, il decreto ministeriale 21 maggio 2009, di razionalizzazione della misura degli interessi per la riscossione e il rimborso dei tributi, prevede un tasso di interesse del 4,5% annuo per la rateazione e la sospensione della riscossione mediante ruolo.

Il presente provvedimento fissa, dunque, con effetto dal 1°ottobre 2010, al 5,7567 per cento in ragione annuale, la misura del tasso di interesse da applicare nelle ipotesi di ritardato pagamento delle somme iscritte a ruolo, di cui all’articolo 30 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.”

Ai fini della nostra analisi, occorre, al fine di concludere la parte relativa alle imposte sui redditi, rilevare la differente disciplina degli interessi di mora, nelle fattispecie previste di rimborso da parte dell’Amministrazione delle somme indebitamente versate da contribuente.

L’art. 44 del D.P.R. 602/1973 stabilisce che: “Il contribuente che abbia effettuato versamenti diretti o sia stato iscritto a ruolo per un ammontare di imposta superiore a quello effettivamente dovuto per lo stesso periodo ha diritto, per la maggior somma effettivamente pagata, all'interesse del 1,375 per cento per ognuno dei semestri interi, escluso il primo, compresi tra la data del versamento o della scadenza dell'ultima rata del ruolo in cui e' stata iscritta la maggiore imposta e la data dell'ordinativo emesso dall'intendente di finanza o dell'elenco di rimborso.

L'interesse di cui al primo comma e' dovuto, con decorrenza dal secondo semestre successivo alla presentazione della dichiarazione, anche nelle ipotesi previste nell'art. 38, quinto comma e nell'art. 41, secondo comma.

L'interesse e' calcolato dall'ufficio delle imposte, che lo indica nello stesso elenco di sgravio, o dall'intendente di finanza ed e' a carico dell'ente destinatario del gettito dell'imposta”.

L’art. 44-bis dello stesso D.P.R. 602/1973, inoltre, stabilisce che: “Per i rimborsi effettuati con le modalità di cui all'art. 42-bis, l'interesse e' dovuto con decorrenza dal secondo semestre solare successivo alla data di scadenza del termine di presentazione della dichiarazione fino alla data di emissione dell'ordinativo diretto collettivo di pagamento concernente il rimborso d'imposta, escludendo dal computo anche il semestre in cui tale ordinativo e' emesso.

Per il pagamento degli interessi sono emessi, unitamente agli ordinativi di cui all'art. 42-bis, che dispongono il rimborso d'imposta, ordinativi diretti collettivi di pagamento tratti sul competente capitolo dello stato di previsione della spesa del Ministro delle finanze, estinguibili con la procedura indicata nello stesso art. 42-bis. Negli ordinativi concernenti il pagamento degli interessi e' fatto riferimento agli elenchi dei creditori facenti parte integrante degli ordinativi che dispongono il rimborso d'imposta.

Sia per il rimborso d'imposta che per il pagamento degli interessi e' emesso, per ciascun creditore, un unico vaglia cambiario.

La quietanza relativa all'ordinativo per il pagamento degli interessi e' redatta con annotazione di riferimento alla quietanza riguardante il corrispondente ordinativo di rimborso di cui all'art. 42-bis, quarto comma”.


4. gli interessi per ritardato rimborso delle somme versate e non dovute

L’art. 1 del D.M. 21 maggio 2009, succitato, ha modificato il tasso di interesse applicabile al ritardato rimborso.

Ha, infatti, sancito che: “Gli interessi per ritardato rimborso di imposte pagate e per rimborsi eseguiti mediante procedura automatizzata, previsti dagli articoli 44 e 44-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, sono dovuti nella misura del 2 per cento annuo e dell'1 per cento semestrale, a decorrere dal 1 gennaio 2010”.

Da quanto chiarito, si evince che il contribuente deve pagare:
a) il 4% di interessi sulle imposte o maggiori imposte a partire dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento e fino alla data di consegna al concessionario dei ruoli nei quali tali imposte sono iscritte;
b) il 4,5% di interessi in caso di pagamento rateizzato o sospeso ai sensi dell’art. 19 D.P.R. 602/1973;
c) a questi si cumulano gli interessi del 6,8358% (che diventerà il 5,7567% a partire dall’1 ottobre 2010) per mancato pagamento nei 60 giorni dalla data della notifica della cartella di pagamento, e che scaduto tale termine si computeranno dalla data della notifica della cartella stessa.

Nel caso in cui, al contrario, sia l’amministrazione a dover rimborsare il contribuente, la legge stabilisce che questa debba pagare:
a) a partire dall’1 gennaio 2010, il 2% annuo e l’1% semestrale, per ognuno dei semestri interi, escluso il primo, compresi tra la data del versamento e la data dell’ordinativo.



C) IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO

1. gli interessi sui ritardati versamenti IVA

I versamenti dell’imposta sul valore aggiunto sono disciplinati dall’art. 38 del D.P.R. 633 del 26 ottobre 1972, il quale stabilisce che: “I versamenti previsti dagli artt. 27 , 30 e 33 devono essere eseguiti al competente ufficio dell'I.V.A. mediante delega del contribuente ad una delle aziende di credito di cui all' art. 54 del regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato, approvato con R.D. 23 maggio 1924, n. 827 ovvero ad una delle casse rurali e artigiane di cui al R.D. 26 agosto 1937, n. 1706, modificato con la L. 4 agosto 1955, n. 707, avente un patrimonio non inferiore a lire cento milioni. La delega deve essere rilasciata presso una qualsiasi dipendenza dell'azienda delegata sita nel territorio dello Stato.

L'azienda delegata deve rilasciare al contribuente una attestazione recante l'indicazione dell'importo dell'ordine di versamento e della data in cui lo ha ricevuto e l'impegno di effettuare il versamento all'ufficio per conto del contribuente entro il quinto giorno successivo. La delega e` irrevocabile ed ha effetto liberatorio per il delegante.

Le caratteristiche e le modalità di rilascio dell'attestazione, nonché le modalità per l'esecuzione dei versamenti agli uffici dell'imposta sul valore aggiunto, per la trasmissione dei relativi dati e documenti all'amministrazione e per i relativi controlli sono stabilite con decreto del Ministro delle finanze di concerto con il Ministro del tesoro.

I versamenti diversi da quelli indicati nel primo comma devono essere eseguiti direttamente all'Ufficio dell'imposta sul valore aggiunto o in contanti o mediante assegni circolari non trasferibili intestati all'ufficio stesso o mediante altri titoli di credito bancario o postali a copertura garantita. Il versamento mediante assegni circolari o titoli bancari o postali può essere eseguito anche a mezzo posta con lettera raccomandata, nella quale deve essere specificata la causale del versamento. L'ufficio rilascia quietanza nelle forme e con le modalità stabilite con decreto del Ministro delle finanze anche in deroga alle disposizioni contenute negli articoli 238 e 240 del regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato, approvato con regio decreto 23 maggio 1924, n. 827”.

Fino al 1999, data della sua abrogazione avvenuta ai sensi dell’art. 37 del D. Lgs. del 26/02/1999, n. 46 così come modificato dall’art. 2 del D. Lgs. del 27/04/2001, n. 193, l’art. 60, comma 2, del D.P.R. 633/1972 stabiliva che “sulle somme dovute a norma dei precedenti commi si applicano gli interessi calcolati al saggio indicato nell' art. 38 bis , con decorrenza dal sessantesimo giorno successivo alla scadenza del termine del 5 marzo dell'anno solare cui si riferisce l'accertamento o la rettifica”.

Pertanto al ritardato pagamento delle somme dovute dal contribuente si applicava il tasso di interesse nella stessa misura stabilita per i ritardati rimborsi IVA da parte dell’amministrazione finanziaria, disciplinati appunto dall’art.38-bis del D.P.R. 633/1972.

L’art. 38bis, comma 1, succitato stabilisce che: “I rimborsi previsti nell'articolo 30 sono eseguiti, su richiesta fatta in sede di dichiarazione annuale, entro tre mesi dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione prestando, contestualmente all'esecuzione del rimborso e per una durata pari a tre anni dallo stesso, ovvero, se inferiore, al periodo mancante al termine di decadenza dell'accertamento, cauzione in titoli di Stato o garantiti dallo Stato, al valore di borsa, ovvero fideiussione rilasciata da un'azienda o istituto di credito, comprese le casse rurali e artigiane indicate nel primo comma dell'articolo 38, o da una impresa commerciale che a giudizio dell'Amministrazione finanziaria offra adeguate garanzie di solvibilità o mediante polizza fideiussoria rilasciata da un istituto o impresa di assicurazione. Per le piccole e medie imprese, definite secondo i criteri stabiliti dai decreti del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato del 18 settembre 1997 e del 27 ottobre 1997, di adeguamento alla nuova disciplina comunitaria, dette garanzie possono essere anche prestate, dai consorzi o cooperative di garanzia collettiva fidi di cui all'articolo 29 della legge 5 ottobre 1991, n. 317, iscritti negli elenchi previsti dagli articoli 106 e 107 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni. Per i gruppi di società, con patrimonio risultante dal bilancio consolidato superiore a 500 miliardi di lire, la garanzia può essere prestata mediante la diretta assunzione da parte della società capogruppo o controllante di cui all'art. 2359 del codice civile della obbligazione di integrale restituzione della somma da rimborsare, comprensiva dei relativi interessi, all'Amministrazione finanziaria, anche per il caso di cessione della partecipazione nella società controllata o collegata. In ogni caso la società capogruppo o controllante deve comunicare in anticipo all'Amministrazione finanziaria l'intendimento di cedere la partecipazione nella società controllata o collegata. La garanzia concerne anche crediti relativi ad annualità precedenti maturati nel periodo di validità della garanzia stessa. Dall'obbligo di prestazione delle garanzie sono esclusi i soggetti cui spetta un rimborso di imposta di importo non superiore a lire 10 milioni. Sulle somme rimborsate si applicano gli interessi in ragione del 5 per cento annuo, con decorrenza dal novantesimo giorno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, non computando il periodo intercorrente tra la data di notifica della richiesta di documenti e la data della loro consegna, quando superi quindici giorni. Con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate sono definite le ulteriori modalità ed i termini per l'esecuzione dei rimborsi previsti dal presente articolo”.

L’abrogazione dell’art. 60 del D.P.R. 633/1972 operata dall’art. 37 del D.Lgs. 46/1999 come modificato dall’art. 2 del D.Lgs. 193 del 27/04/2001, con decorrenza 09/06/2001, ha comportato un vuoto legislativo per quanto riguarda l’ammontare del tasso di interesse applicabile alle imposte o maggiori imposte accertate.

Infatti la norma abrogata stabiliva l’applicabilità dello stesso tasso di interesse stabilito per i rimborsi, anche per le somme accertate dovute dal contribuente.

L’art. 23 del D.Lgs. 46/1999 prevede espressamente che: “Le disposizioni previste dall'articolo 15 primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, come sostituito dall'articolo 4 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462, nonché i termini di decadenza di cui all'articolo 25 comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, si applicano anche all'imposta sul valore aggiunto”.

Per tutto quanto detto, fino ad ora, in materia IVA si rileva una genericità delle disposizioni riguardanti gli interessi applicabili ai ritardati versamenti dell’imposta, essendo venuto meno, a seguito di abrogazione, l’art. 60 del D.P.R. 633/1972 il quale disciplinava i criteri per l’individuazione dell’ammontare dei tassi applicabili alle fattispecie di ritardati versamenti.

L’art. 2 della L. n. 212/2000 disciplina i principi di chiarezza e trasparenza delle norme tributarie.

Purtroppo a tale principio, contenuto nello Statuto dei diritti del Contribuente, non sempre viene riconosciuta la giusta rilevanza.


2. gli interessi applicati sulle somme accertate

L’art. 3-bis del D.Lgs. 462 del 18 dicembre 1997, introdotto dalla L. 244 del 2007, disciplina la rateazione delle somme dovute a seguito di liquidazione automatica, fissando il relativo tasso di interessi applicabile al 3,5% annuo.
Stabilisce, infatti, al comma 3, che: “L'importo della prima rata deve essere versato entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione. Sull'importo delle rate successive sono dovuti gli interessi al tasso del 3,5 per cento annuo, calcolati dal primo giorno del secondo mese successivo a quello di elaborazione della comunicazione. Le rate trimestrali nelle quali il pagamento è dilazionato scadono l'ultimo giorno di ciascun trimestre”.


3. gli interessi sui rimborsi

Gli articoli che disciplinano i rimborsi in materia di IVA sono gli artt. 38bis, 38bis1, 38bis2 e 38ter, i quali sanciscono le regole da applicare rispettivamente all’esecuzione dei rimborsi in generale, rimborso dell'imposta assolta in altri Stati membri della Comunità, esecuzione dei rimborsi a soggetti non residenti stabiliti in un altro Stato membro della Comunità, esecuzione dei rimborsi a soggetti non residenti stabiliti in Stati non appartenenti alla Comunità.

L’art. 1, secondo comma, del D.M. 21 maggio 2009 ha modificato la misura del tasso di interessi fissato per i rimborsi in materia iva, stabilendo che: “gli interessi per i rimborsi in materia di imposta sul valore aggiunto, previsti dagli articoli 38-bis e 38-ter del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, sono dovuti nella misura del 2 per cento annuo, a decorrere dal 1 gennaio 2010”.

L’interesse così stabilito del 2% annuo ha decorrenza differente a seconda che destinatario del rimborso sia un contribuente residente o non residente nel territorio della Comunità. Nel primo caso gli interessi infatti si calcolano dal novantesimo giorno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, all’interno della quale viene presentata l’istanza di rimborso; nel secondo caso, gli interessi decorrono dal centoottantesimo giorno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, nella quale viene presentata l’istanza di rimborso.



D) IMPOSTA DI REGISTRO

1. gli interessi di mora

Secondo quanto previsto dall’art. 16 del D.P.R. 131 del 26 aprile 1986, il pagamento dell’imposta deve essere precedente alla registrazione.

Esiste la possibilità, disciplinata dal secondo comma dell’art. 16 succitato, per l’ufficio di non liquidare l’imposta al momento della registrazione differendola al massimo di tre giorni. Il differimento non può comunque essere consentito se ritarda o impedisce l’adozione di un provvedimento o il deposito di un atto entro un termine di decadenza. Nei casi di liquidazione differita, il richiedente dovrà versare provvisoriamente, momento della richiesta di registrazione, la somma che l’ufficio ritiene corrispondente all’imposta dovuta, provvedendo successivamente l’ufficio alla definitiva liquidazione dell’imposta che poi il contribuente dovrà versare.

L’art. 54 del D.P.R. 131 del 26 aprile 1986, infatti, stabilisce che: “all'atto della richiesta di registrazione il richiedente deve pagare l'imposta liquidata a norma del primo comma dell'art. 16, ovvero, se la liquidazione è differita a norma del secondo comma dello stesso articolo, depositare la somma che l'ufficio ritiene corrispondente all'imposta dovuta. Della somma depositata viene rilasciata ricevuta.

I funzionari indicati alla lettera c) dell'art. 10 sono tenuti al pagamento o al deposito di cui al primo comma limitatamente ai decreti di trasferimento emanati nei procedimenti esecutivi e agli atti da essi ricevuti.

Per gli altri atti degli organi giurisdizionali il pagamento dell'imposta deve essere effettuato, entro il termine di cui al quinto comma, dalle parti in causa o dai soggetti nel cui interesse è richiesta la registrazione.

In mancanza del pagamento o del deposito l'Ufficio procede, a norma dell'art. 15, lettere a) e b), alla registrazione d'ufficio.

Quando la registrazione deve essere eseguita d'ufficio a norma dell'art. 15, l'ufficio del registro notifica apposito avviso di liquidazione al soggetto o ad uno dei soggetti obbligati al pagamento dell'imposta, con invito ad effettuare entro il termine di 60 giorni il pagamento dell'imposta e, se dallo stesso dovuta, della pena pecuniaria irrogata per omessa richiesta di registrazione. Nell'avviso devono essere indicati gli estremi dell'atto da registrare o il fatto da denunciare e la somma da pagare”.

L’art. 55 dello stesso D.P.R. 131/1986 disciplina la riscossione dell’imposta successivamente alla registrazione e stabilisce che: “il pagamento dell'imposta complementare, dovuta in base all'accertamento del valore imponibile o alla presentazione di una delle denunce previste dall'art. 19, deve essere eseguito entro sessanta giorni da quello in cui è avvenuta la notifica della relativa liquidazione.

Il pagamento delle imposte suppletive deve essere eseguito entro sessanta giorni da quello in cui è avvenuta la notifica della relativa liquidazione.

Il pagamento delle imposte, e delle sanzioni amministrative eseguito successivamente alla registrazione deve risultare da apposita quietanza indicante gli estremi di registrazione dell'atto e le generalità del soggetto che ha eseguito il pagamento.

Per gli interessi di mora si applicano le disposizioni delle leggi 26 gennaio 1961, n. 29, 28 marzo 1962, n. 147, e 18 aprile 1978, n. 130”.

È importante ora, ai fini della nostra analisi, approfondire quanto statuito dall’ultimo comma dell’art. 55 succitato.

Infatti, l’art. 55 del D.P.R. 131/1986 richiama, per l’applicazione degli interessi di mora, la legge del 26 gennaio 1961, n. 29 la quale stabilisce che:
a) Sulle somme dovute all'Erario per tasse e imposte indirette sugli affari si applicano gli interessi moratori nella misura semestrale del 3 per cento (diventato poi 3,5% ai sensi dell’art. 6, comma 2, lett. b) del D.M. 21 maggio 2009, che verrà qui sotto riportato) da computarsi per ogni semestre compiuto (art. 1 L. 29/1961);
b) Gli interessi si computano a decorrere dal giorno in cui il tributo è divenuto esigibile ai sensi delle vigenti disposizioni (art. 2 L.29/1961);
c) In caso di omissione di formalità o di omessa autotassazione, o di insufficiente o mancata denuncia, gli interessi si computano dal giorno in cui la tassa o l'imposta sarebbe stata dovuta se la formalità fosse stata eseguita o l'autotassazione effettuata o la denuncia presentata in forma completa e fedele (art. 3 L.29/1961);
d) Gli interessi sono dovuti indipendentemente dall'applicazione di ogni penalità o soprattassa prevista dalle singole leggi tributarie (art. 4 L. 29/1961);
e) Sulle somme pagate per tasse e imposte indirette sugli affari e ritenute non dovute a seguito di provvedimento in sede amministrativa o giudiziaria spettano al contribuente gli interessi di mora nella misura di cui al precedente art. 1 a decorrere dalla data della domanda di rimborso (art. 5 L. 29/1961).

Il D.M. 21 maggio 2009, nella realtà, e come appena accennato, ha modificato la misura del tasso di interesse sia per quanto riguarda il pagamento del contribuente sia per quanto riguarda il ritardato rimborso dell’amministrazione.

Infatti, l’art. 6, secondo comma, lett. b), del D.M. 21 maggio 2009 stabilisce che “a decorrere dal 1 gennaio 2010 sono stabiliti al tasso del 3,5 per cento annuo gli interessi relativi alle somme dovute a seguito di: (lett. b) pagamento dell'imposta di registro, di donazione, ipotecaria e catastale entro i termini previsti dagli articoli 54, comma 5, e 55, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986,
n. 131”.


2. gli interessi sui rimborsi

Mentre per quanto riguarda i rimborsi l’art. 3 del D.M. 21 maggio 2009 ha statuito che “gli interessi per i rimborsi delle somme non dovute per tasse e imposte indirette sugli affari, previsti dagli articoli 1 e 5 della legge 26 gennaio 1961, n. 29 sono dovuti nella misura dell’1 per cento per ogni semestre compiuto, a decorrere dal 1 gennaio 2010”.



E) IMPOSTA REGIONALE SULLE ATTIVITÀ PRODUTTIVE

L’art. 24 del D.Lgs. 446 del 15 dicembre 1997 attribuisce alle Regioni i poteri in ordine alla regolamentazione delle procedure applicative dell’IRAP.
L’art. 25 dello stesso D.Lgs. 446/1997 detta una disciplina temporanea in vigore fino alla emanazione delle leggi regionali di cui all’art. 24 succitato.
Durante detto periodo transitorio è previsto che tutte le attività di controllo, liquidazione ed accertamento siano espletate secondo le norme che regolano le imposte sui redditi.
In merito, quindi, alla disciplina della riscossione dell’imposta regionale sulle attività produttive, fino all’entrata in vigore delle leggi regionali, la riscossione coattiva dell’imposta avviene mediante ruolo sulla base delle disposizioni che regolano la riscossione coattiva delle imposte sui redditi mediante ruoli affidati ai concessionari senza l’obbligo del non riscosso (art. 30, comma 6, D.lgs. 446/1997).


1. Gli interessi per dilazione del pagamento

L’art. 1, comma 144, della L. n. 244 del 24/12/2007 (Legge Finanziaria 2008) ha introdotto l’art. 3bis nel D.Lgs. n. 462 del 18/12/1997, disciplinando, come già detto in merito all’IVA, la rateizzazione delle somme dovute a seguito delle attività di liquidazione automatica e di controllo formale delle dichiarazioni, ai sensi degli artt. 36bis e 36ter del D.P.R. 600/1973.

L’art. 3bis suddetto stabilisce che alle rate successive alla prima si applicano gli interessi pari al 3,5% annuo.


2. Gli interessi sui ritardati versamenti

Sempre fino a quando non entreranno in vigore le leggi regionali, la riscossione dell’IRAP è disciplinata dall’art. 30 del D.Lgs. n. 446 del 1997, il quale stabilisce che: “Fino a quando non hanno effetto le leggi regionali di cui all'articolo 24, per la riscossione dell'imposta si applicano le disposizioni dei commi seguenti.

L'imposta dovuta a ciascuna regione in base alla dichiarazione è riscossa mediante versamento del soggetto passivo da eseguire con le modalità e nei termini stabiliti per le imposte sui redditi.

Nel periodo di imposta per il quale la dichiarazione deve essere presentata sono dovuti acconti dell'imposta ad esso relativa secondo le disposizioni previste per le imposte sui redditi. Gli acconti sono versati con le modalità e nei termini per queste stabiliti.

L'imposta risultante dalle dichiarazioni annuali non è dovuta o, se il saldo è negativo, non è rimborsabile, se i relativi importi spettanti a ciascuna regione non superano lire 20.000; per lo stesso importo, non si fa luogo, ad iscrizione nei ruoli, né a rimborso. Con le leggi regionali di cui all'articolo 24 il predetto importo può essere adeguato.

In deroga alla disposizione del comma 2 i soggetti che determinano la base imponibile ai sensi dell'articolo 10 bis), comma 1, versano l'acconto mensilmente, con le modalità e nei termini stabiliti con decreto del ministro delle Finanze, di concerto con il ministro del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sentita la conferenza Stato-Regioni, in un importo pari a quello risultante dall'applicazione dell'aliquota prevista nell'articolo 16, comma 2, all'ammontare degli emolumenti ivi indicati corrisposti nel mese precedente. Qualora l'ammontare dell'imposta dovuta a ciascuna regione sia pari o inferiore a lire 20.000, l'obbligo di versamento rimane sospeso fino alla scadenza successiva per la quale la somma complessiva da versare sia almeno pari al predetto importo.

La riscossione coattiva dell'imposta avviene mediante ruolo sulla base delle disposizioni che regolano la riscossione coattiva delle imposte sui redditi, mediante ruoli affidati ai concessionari senza l'obbligo del non riscosso.

Per lo svolgimento di attività di pagamento e riscossione dell'imposta, le banche sono remunerate in conformità a quanto previsto dalle convenzioni di cui agli articoli 19, comma 5, e 24, comma 8, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 mentre per i concessionari si applicano le disposizioni di cui all'articolo 61 del decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1988, n. 43”.

Pertanto, il termine stabilito dalla legge (ad es. 16 giugno per le persone fisiche e il giorno 16 del sesto mese successivo a quello di chiusura del periodo di imposta per i soggetti IRES) per effettuare il versamento a saldo dell’imposta dovuta rappresenta il giorno dal quale si fanno decorrere i 30 giorni per il versamento dell’imposta con una maggiorazione dello 0,40% a titolo di interesse corrispettivo.

Agli importi dovuti a titolo di saldo o di primo acconto IRAP si applica la disciplina della rateizzazione dettata dall’art. 20 del D. Lgs. 241 del 09/07/1997.
Pertanto, sulle rate successive alla prima si applicano gli interessi nella misura del 4% così come stabilito dall’art. 5 del D.M. 21 maggio 2009, in questa sede già più volte citato.



F) IMPOSTE DI SUCCESSIONE, IPOTECARIA E CATASTALE

Gli interessi per i rimborsi dell’imposta di successione, previsti dagli articoli 42, comma 3, e 37, comma 2, del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, e delle imposte ipotecaria e catastale, di cui all’art. 13, comma 4, del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347, sono dovuti nella misura dell’1 per cento, per ogni semestre compiuto, a decorrere dal 1 gennaio 2010.



G) TRIBUTI LOCALI

L’art. 52 del D.Lgs. n. 446 del 1997 attribuisce agli Enti Locali ampio potere regolamentare per la disciplina dei tributi di propria competenza.
Ciascun ente può prevedere per i tributi di propria competenza l’applicazione di tassi di interesse nei limiti dei 3 punti percentuali di differenza rispetto al saggio di interesse legale di cui all’art. 1284 del c.c..

L’accertamento dei tributi locali è disciplinato dalla Legge del 27/12/2006, n. 296 (Legge Finanziaria 2007) che ne ha uniformato la disciplina.

In particolare la disciplina della gestione dei tributi locali è circoscritta tra il comma 158 e il comma 170 dell’art. 1 della L. n. 296/2006. I quali stabiliscono che: “Per la notifica degli atti di accertamento dei tributi locali e di quelli afferenti le procedure esecutive di cui al testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, e successive modificazioni, nonché degli atti di invito al pagamento delle entrate extratributarie dei comuni e delle province, ferme restando le disposizioni vigenti, il dirigente dell'ufficio competente, con provvedimento formale, può nominare uno o più messi notificatori.

I messi notificatori possono essere nominati tra i dipendenti dell'amministrazione comunale o provinciale, tra i dipendenti dei soggetti ai quali l'ente locale ha affidato, anche disgiuntamente, la liquidazione, l'accertamento e la riscossione dei tributi e delle altre entrate ai sensi dell'articolo 52 comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, nonché tra soggetti che, per qualifica professionale, esperienza, capacità ed affidabilità, forniscono idonea garanzia del corretto svolgimento delle funzioni assegnate, previa, in ogni caso, la partecipazione ad apposito corso di formazione e qualificazione, organizzato a cura dell'ente locale, ed il superamento di un esame di idoneità.

Il messo notificatore esercita le sue funzioni nel territorio dell'ente locale che lo ha nominato, sulla base della direzione e del coordinamento diretto dell'ente ovvero degli affidatari del servizio di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi e delle altre entrate ai sensi dell'articolo 52 comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni. Il messo notificatore non può farsi sostituire né rappresentare da altri soggetti.

Gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all'accertamento d'ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica e d'ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati. Entro gli stessi termini devono essere contestate o irrogate le sanzioni amministrative tributarie, a norma degli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni.

Gli avvisi di accertamento in rettifica e d'ufficio devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che li hanno determinati; se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama, salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale. Gli avvisi devono contenere, altresì, l'indicazione dell'ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all'atto notificato, del responsabile del procedimento, dell'organo o dell'autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in sede di autotutela, delle modalità, del termine e dell'organo giurisdizionale cui è possibile ricorrere, nonché il termine di sessanta giorni entro cui effettuare il relativo pagamento. Gli avvisi sono sottoscritti dal funzionario designato dall'ente locale per la gestione del tributo.

Nel caso di riscossione coattiva dei tributi locali il relativo titolo esecutivo deve essere notificato al contribuente, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l'accertamento è divenuto definitivo.

Il rimborso delle somme versate e non dovute deve essere richiesto dal contribuente entro il termine di cinque anni dal giorno del versamento, ovvero da quello in cui è stato accertato il diritto alla restituzione. L'ente locale provvede ad effettuare il rimborso entro centottanta giorni dalla data di presentazione dell'istanza.

La misura annua degli interessi è determinata, da ciascun ente impositore, nei limiti di tre punti percentuali di differenza rispetto al tasso di interesse legale. Gli interessi sono calcolati con maturazione giorno per giorno con decorrenza dal giorno in cui sono divenuti esigibili. Interessi nella stessa misura spettano al contribuente per le somme ad esso dovute a decorrere dalla data dell'eseguito versamento.

Il pagamento dei tributi locali deve essere effettuato con arrotondamento all'euro per difetto se la frazione è inferiore a 49 centesimi, ovvero per eccesso se superiore a detto importo.

Gli enti locali disciplinano le modalità con le quali i contribuenti possono compensare le somme a credito con quelle dovute al comune a titolo di tributi locali.
Gli enti locali, nel rispetto dei princìpi posti dall'articolo 25 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, stabiliscono per ciascun tributo di propria competenza gli importi fino a concorrenza dei quali i versamenti non sono dovuti o non sono effettuati i rimborsi. In caso di inottemperanza, si applica la disciplina prevista dal medesimo articolo 25 della legge n. 289 del 2002.

Gli enti locali deliberano le tariffe e le aliquote relative ai tributi di loro competenza entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. Dette deliberazioni, anche se approvate successivamente all'inizio dell'esercizio purché entro il termine innanzi indicato, hanno effetto dal 1° gennaio dell'anno di riferimento. In caso di mancata approvazione entro il suddetto termine, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno.

Ai fini del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario ed in attuazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera r), della Costituzione, gli enti locali e regionali comunicano al Ministero dell'economia e delle finanze i dati relativi al gettito delle entrate tributarie e patrimoniali, di rispettiva competenza. Per l'inosservanza di detti adempimenti si applicano le disposizioni di cui all'articolo 161, comma 3, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e successive modificazioni. Con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dell'interno, sono stabiliti il sistema di comunicazione, le modalità ed i termini per l'effettuazione della trasmissione dei dati.

Le norme di cui ai commi da 161 a 170 si applicano anche ai rapporti di imposta pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge.
Al decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 5 dell'articolo 9, le parole da: "; il relativo ruolo" fino a: "periodo di sospensione" sono soppresse;
b) sono abrogati: il comma 6 dell'articolo 9; l'articolo 10; il comma 4 dell'articolo 23; l'articolo 51, ad eccezione del comma 5; il comma 4 dell'articolo 53; l'articolo 71, ad eccezione del comma 4; l'articolo 75; il comma 5 dell'articolo 76”.

Per quel che qui interessa, occorre porre l’attenzione su un comma in particolare tra quelli su riportati.
L’art. 1, comma 165, disciplina la materia degli interessi applicabili ai tributi locali, stabilendo che i relativi tassi siano uguali per le ipotesi di versamento in ritardo dell’imposta da parte del contribuente e per le ipotesi di ritardati rimborsi nei confronti dei contribuenti. Infatti, l’art. 1, comma 165, suddetto stabilisce che: “La misura annua degli interessi è determinata, da ciascun ente impositore, nei limiti di tre punti percentuali di differenza rispetto al tasso di interesse legale. Gli interessi sono calcolati con maturazione giorno per giorno con decorrenza dal giorno in cui sono divenuti esigibili. Interessi nella stessa misura spettano al contribuente per le somme ad esso dovute a decorrere dalla data dell'eseguito versamento”.



CONCLUSIONI

Alla fine dell’analisi svolta in questa sede, ci si chiede secondo quale criterio e in base a quale norma di legge vi sia una differenza tra gli interessi spettanti all’amministrazione finanziaria e gli interessi che si applicano ai rimborsi in favore del contribuente.

L’ammontare dei tassi di interesse, infatti, come si è potuto dimostrare in questo scritto, sono stabiliti dalla legge o dai Decreti ministeriali in misura assai differente a seconda che creditore della somma su cui tali interessi si applicano sia il contribuente o l’Amministrazione finanziaria.

Lo stesso non può dirsi per quanto riguarda i tributi locali.

Infatti, come si è già detto, vi è una disposizione di legge che stabilisce espressamente che gli interessi sui ritardati versamenti e quelli sui ritardati rimborsi siano spettanti nella stessa misura.

Ci sono gli estremi di una illegittimità costituzionale, in violazione con il principio di uguaglianza fissato dall’art. 3 della Costituzione, delle disposizioni tributarie che trattano in maniera diversa il versamento di una somma di denaro a seconda che questa sia dovuta dal contribuente o diversamente sia dovuta dall’amministrazione a titolo di rimborso di quanto già versato dal contribuente e ritenuto successivamente non più dovuto da quest’ultimo.

ALLEGATI

IMPOSTE DIRETTE

INTERESSI PER RITARDATA ISCRIZIONE A RUOLO Art. 20 D.P.R. 602 del 29 settembre 1973: “sulle imposte o sulle maggiori imposte dovute in base alla liquidazione ed al controllo formale della dichiarazione od all’accertamento d’ufficio si applicano, a partire dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento e fino alla data di consegna al concessionario dei ruoli nei quali tali imposte sono iscritte, gli interessi al tasso del 4 per cento annuo”.
Il tasso di interessi al 4% annuo si applica a partire dall’01 ottobre per effetto dell’art. 2 del D.M. 21 maggio 2009

INTERESSI PER DILAZIONE DI PAGAMENTO Art. 21 D.P.R. 602 del 29 settembre 1973: “sulle somme il cui pagamento è stato rateizzato o sospeso ai sensi dell’art. 19, comma 1, si applicano gli interessi al tasso del 4,5 per cento annuo”.
L’ammontare del tasso di interessi annuo al 4,5% è stato così determinato dall’art. 3 del D.M. 21 maggio 2009.

INTERESSI DI MORA Art. 30 D.P.R. 602 del 29 settembre 1973: “decorso inutilmente il termine previsto dall’art. 25, comma 2, sulle somme iscritte a ruolo si applicano, a partire dalla data della notifica della cartella e fino alla data del pagamento, gli interessi di mora al tasso determinato annualmente con decreto del Ministero delle finanze con riguardo alla media dei tassi bancari attivi”.
Sino al 30/09/2010 il tasso di interesse è di 6,8358% annuo.
Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 7 settembre 2010, gli interessi di mora per ritardato pagamento delle somme iscritte a ruolo, sono determinati nella misura del 5,7567% annuo a partire dal 1° Ottobre 2010. Il tasso in precedenza era fissato al 6,8358%. La nuova misura degli interessi va applicata sugli importi dovuti a partire dalla notifica della cartella e fino alla data del pagamento.

INTERESSI A SEGUITO DI SOSPENSIONE AMMINISTRATIVA Art. 39, comma 2, D.P.R. 602 del 29 settembre 1973: “sulle somme il cui pagamento è stato sospeso ai sensi del comma 1 e che risultano dovute dal debitore a seguito della sentenza della commissione tributaria provinciale si applicano gli interessi al tasso del 4,5% per cento annuo..”

INTERESSI PER RITARDATO RIMBORSO DI IMPOSTE PAGATE L’art. 1 del D.M. 21 maggio 2009 ha modificato il tasso di interesse applicabile al ritardato rimborso stabilendo che: “Gli interessi per ritardato rimborso di imposte pagate e per rimborsi eseguiti mediante procedura automatizzata, previsti dagli articoli 44 e 44-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, sono dovuti nella misura del 2 per cento annuo e dell'1 per cento semestrale, a decorrere dal 1 gennaio 2010”.


IVA

INTERESSI SUI RITARDATI VERSAMENTI DELLE IMPOSTE ACCERTATE Fino al 1999, data della sua abrogazione avvenuta ai sensi dell’art. 37 del D. Lgs. del 26/02/1999, n. 46 così come modificato dall’art. 2 del D. Lgs. del 27/04/2001, n. 193, l’art. 60, comma 2, del D.P.R. 633/1972 stabiliva che “sulle somme dovute a norma dei precedenti commi si applicano gli interessi calcolati al saggio indicato nell' art. 38 bis , con decorrenza dal sessantesimo giorno successivo alla scadenza del termine del 5 marzo dell'anno solare cui si riferisce l'accertamento o la rettifica”.

INTERESSI APPLICATI SULLE SOMME ACCERTATE L’art. 3-bis del D.Lgs. 462 del 18 dicembre 1997, introdotto dalla L. 244 del 2007, disciplina la rateazione delle somme dovute a seguito di liquidazione automatica, fissando il relativo tasso di interessi applicabile al 3,5% annuo.

INTERESSI SU RIMBORSI DELL’IMPOSTA L’art. 1, secondo comma, del D.M. 21 maggio 2009 ha modificato la misura del tasso di interessi fissato per i rimborsi in materia iva, stabilendo che: “gli interessi per i rimborsi in materia di imposta sul valore aggiunto, previsti dagli articoli 38-bis e 38-ter del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, sono dovuti nella misura del 2 per cento annuo, a decorrere dal 1 gennaio 2010”.
L’interesse così stabilito del 2% annuo ha decorrenza differente a seconda che destinatario del rimborso sia un contribuente residente o non residente nel territorio della Comunità. Nel primo caso gli interessi infatti si calcolano dal novantesimo giorno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, all’interno della quale viene presentata l’istanza di rimborso; nel secondo caso, gli interessi decorrono dal centoottantesimo giorno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, nella quale viene presentata l’istanza di rimborso.


IMPOSTA DI REGISTRO

INTERESSI PER RITARDATI VERSAMENTI E RITARDATI RIMBORSI l’art. 55 del D.P.R. 131/1986 richiama, per l’applicazione degli interessi di mora, la legge del 26 gennaio 1961, n. 29 la quale stabilisce che:
a) Sulle somme dovute all'Erario per tasse e imposte indirette sugli affari si applicano gli interessi moratori nella misura semestrale del 3 per cento (diventato poi 3,5% ai sensi dell’art. 6, comma 2, lett. b) del D.M. 21 maggio 2009, che verrà qui sotto riportato) da computarsi per ogni semestre compiuto (art. 1 L. 29/1961);
b) Gli interessi si computano a decorrere dal giorno in cui il tributo è divenuto esigibile ai sensi delle vigenti disposizioni (art. 2 L.29/1961);
c) In caso di omissione di formalità o di omessa autotassazione, o di insufficiente o mancata denuncia, gli interessi si computano dal giorno in cui la tassa o l'imposta sarebbe stata dovuta se la formalità fosse stata eseguita o l'autotassazione effettuata o la denuncia presentata in forma completa e fedele (art. 3 L.29/1961);
d) Gli interessi sono dovuti indipendentemente dall'applicazione di ogni penalità o soprattassa prevista dalle singole leggi tributarie (art. 4 L. 29/1961);
e) Sulle somme pagate per tasse e imposte indirette sugli affari e ritenute non dovute a seguito di provvedimento in sede amministrativa o giudiziaria spettano al contribuente gli interessi di mora nella misura di cui al precedente art. 1 a decorrere dalla data della domanda di rimborso (art. 5 L. 29/1961).


TRIBUTI LOCALI

INTERESSI SU RITARDATI VERSAMENTI E RITARDATI RIMBORSI L’art. 1, comma 165, disciplina la materia degli interessi applicabili ai tributi locali, stabilendo che i relativi tassi siano uguali per le ipotesi di versamento in ritardo dell’imposta da parte del contribuente e per le ipotesi di ritardati rimborsi nei confronti dei contribuenti. Infatti, l’art. 1, comma 165, suddetto stabilisce che: “La misura annua degli interessi è determinata, da ciascun ente impositore, nei limiti di tre punti percentuali di differenza rispetto al tasso di interesse legale. Gli interessi sono calcolati con maturazione giorno per giorno con decorrenza dal giorno in cui sono divenuti esigibili. Interessi nella stessa misura spettano al contribuente per le somme ad esso dovute a decorrere dalla data dell'eseguito versamento”.

http://www.filodiritto.com/index.php?azione=visualizza&iddoc=2014

Cassazione: condanna per corruzione dei vertici aziendali? Responsabile anche l’azienda

Con la sentenza 27735/2010 la Corte di Cassazione ha stabilito che un’eventuale accusa di corruzione emessa contro i vertici dell’azienda fa sorgere la contestuale responsabilità penale e amministrativa dell’impresa stessa se il reato di corruzione è commesso “nel suo interesse o a suo vantaggio” come si legge dalla parte motiva della sentenza. La sentenza è stato emessa dalla sesta sezione penale del Palazzaccio che ha ripreso il principio enunciato dai giudici di merito. In particolare, è stato ribadito che sorge la responsabilità penale e amministrativa dell’ente anche “in forza del rapporto di immedesimazione organica con il suo dirigente apicale”, pertanto “l’ente risponde per fatto proprio senza coinvolgere il principio costituzionale del divieto di responsabilità penale per fatto altrui (art. 27 Cost)”. I giudici di legittimità hanno poi aggiunto come nel caso di specie non si posa delineare “un’ipotesi di responsabilità oggettiva, dovendo sussistere la c.d. “colpa di organizzazione” dell'ente, il non avere cioè predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato; il riscontro di un tale deficit organizzativo consente una piana e agevole imputazione all'ente dell’illecito penale realizzato nel suo ambito operativo”.

http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_8883.asp

La crisi aziendale giustifica gli omessi versamenti

Nessuna sanzione è dovuta per le imposte omesse a causa della crisi economica. Il principio, rivoluzionario se sarà confermato dalla giurisprudenza, viene dalla commissione tributaria di Lecce (sentenza 352/1/10) che ha annullato le sanzioni iscritte a ruolo a carico di un'impresa in stato di crisi. In particolare i giudici di Lecce hanno applicato il principio per cui – e non risultano precedenti in questo senso in sede contenziosa – le sanzioni non scattano nel caso in cui il comportamento del contribuente sia dovuto a cause di "forza maggiore".
Nel 2004 l'impresa appellante è interessata da una profonda crisi strutturale. L'attività posta in essere dalla stessa nel settore tessile è, infatti, resa in regime di monocommitenza. L'improvvisa carenza di commesse da parte del committente, quindi, ingenera un blocco immediato di tutte le attività produttive. Le unità lavorative sono subito collocate in mobilità.
Per effetto di questa situazione, l'impresa non riesce a far fronte ai propri impegni tributari, omettendo il versamento dell'Iva e delle imposte sui redditi a debito. L'amministrazione finanziaria, rilevato l'inadempimento, provvede al l'iscrizione a ruolo delle somme inevase, maggiorate di sanzioni e interessi. Contro il provvedimento dell'amministrazione, l'impresa ha fatto ricorso ai giudici tributari, richiedendo, tra l'altro, l'inapplicabilità delle sanzioni ai sensi dell'articolo 6, comma 5 del Dlgs 472/1997.
La norma richiamata, recante «Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell'articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662», all'articolo 6 recita: «Non è punibile chi ha commesso il fatto per forza maggiore». Il principio, così come espresso, non ha mai trovato applicazione nell'ambito del contenzioso tributario, a dispetto di un costante riferimento della dottrina a proposito di una sua puntuale attuazione nei casi opportunamente valutati dal giudice adito.
La sentenza, quindi, rappresenta, probabilmente, il primo caso (o comunque uno dei primi casi) di utilizzazione di questa importante causa esimente.
Il collegio giudicante, infatti, ha evidenziato che la "forza maggiore" corrisponde a una anormalità nella formazione della volontà del soggetto, dovuta a una causa particolare, tale per cui deve escludersi una sua personale responsabilità. La forza maggiore, aggiunge la Commissione, è una forza "esterna" che determina la persona o la società, in modo inevitabile, a compiere un atto non voluto.
Essa ricorre ogni qualvolta vi siano fatti imprevedibili e inevitabili da parte di terzi soggetti, che hanno impedito al contribuente di rispettare le norme fiscali.
Nel caso sottoposto al giudizio della Ctp di Lecce, l'ufficio non ha mai replicato alle considerazioni, avanzate dalla società, sull'evidente stato di crisi attraversato dal settore tessile. È un fatto tangibile, poi, che la società avesse provveduto immediatamente a collocare in mobilità i suoi dipendenti e che risultasse priva di commesse concrete. Non c'è dubbio, conclude quindi il collegio, che la crisi aziendale rappresenti un evento imprevedibile e inevitabile per l'impresa, in forza del quale non si può imputare a essa l'omesso versamento delle imposte.
L'applicazione puntuale della norma fissata dal Dlgs 472/97, pertanto, impone che all'impresa stessa siano richieste esclusivamente le imposte maggiorate degli interessi, escludendo ogni sanzione iscritta sulle medesime somme.
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Il testo della sentenza

- Sentenza 7 giugno-23 luglio 2010, n. 352/1/10

La Commissione, tenuto
conto delle concordi richieste delle parti e di tutta la documentazione in atti, annulla totalmente le sanzioni amministrative, pari a euro 214.998,89, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 6, comma 5, Dlgs n. 472 del 18 dicembre 1997 secondo cui: «Non è punibile chi ha commesso il fatto per forza maggiore», come la società ricorrente ha documentalmente dimostrato nel presente giudizio.
Si tratta di una anormalità nella formazione della volontà del soggetto, dovuta a questa causa particolare che esclude la responsabilità del soggetto stesso, in aderenza a ciò che si verifica nel campo penale e civile.
La forza maggiore è una forza esterna, che determina la persona o la società, in modo inevitabile, a compiere un atto non voluto.
In definitiva, per quanto concerne la «forza maggiore», espressamente citata e prevista nell'articolo 6 citato, essa può ricorrere in caso di fatti imprevedibili e inevitabili da parte di terzi soggetti, che hanno impedito al contribuente di rispettare le norme fiscali.
Nella presente controversia, la società ricorrente, con ampia documentazione allegata (allegati numeri 6-7-8 e 9 del ricorso introduttivo) e, peraltro, mai contestata dagli Uffici impositori, ha dimostrato di essere entrata in crisi per la perdita del suo unico cliente che, a sua volta, a causa della crisi mondiale del tessile, aveva perso quasi tutta la
sua clientela...
In definitiva, la società ha dimostrato che nell'anno 2004, per il grave stato di crisi aziendale ha avuto difficoltà ad affrontare tutte
le scadenze previste per la liquidazione Iva e per il saldo del modello Unico.

La "sparizione" di beni in leasing è reato di bancarotta fraudolenta

Una tale condotta crea un pregiudizio non solo nei confronti dei creditori, ma anche in capo alla società locatrice

Integra la fattispecie delittuosa della bancarotta fraudolenta patrimoniale la sottrazione del bene oggetto del contratto di leasing, in quanto tale condotta pregiudica gli interessi dei creditori fallimentari. Questo il principio contenuto nella sentenza n. 27650 del 15 luglio, emessa dalla sezione penale della Cassazione, che si sofferma anche sul caso della bancarotta fraudolenta documentale.

I fatti di causa
Il tribunale di Benevento condanna un soggetto per il reato di bancarotta fraudolenta impropria, patrimoniale e documentale, a seguito del fallimento di una società. Secondo i giudici campani, la condotta penalmente rilevante del reo si era concretizzata nella sottrazione di macchinari che la società fallita aveva acquistato in leasing e che non erano stati rinvenuti in sede di inventario. Inoltre, sempre durante l'inventario, non era stata trovata essenziale documentazione contabile.

L'appello proposto dal condannato viene rigettato dalla Corte d'appello campana.

Il successivo ricorso in Cassazione si fonda su due motivi:

   1. erronea applicazione della legge penale quanto alla ritenuta sussistenza dell'elemento oggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Secondo la difesa del ricorrente, infatti, la fattispecie delittuosa del caso in esame presuppone la titolarità dei beni sottratti mentre, com'è noto, nel contratto di leasing la proprietà dei beni resta in capo alla società locatrice. Né, peraltro, era ipotizzabile un diritto al riscatto dei beni, in quanto l'irregolare pagamento dei ratei, escludeva di fatto tale possibile beneficio.
   2. erronea applicazione della legge penale quanto alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo, non essendo stato provato che il comportamento posto in essere dal reo fosse dolosamente diretto a creare un danno ai creditori societari.

Cos'è la bancarotta fraudolenta?
La bancarotta fraudolenta - disciplinata dall'articolo 216 del regio decreto 267/1942 (cosiddetta legge fallimentare) - è, senza dubbio, la figura delittuosa più rappresentativa e rilevante all'interno del diritto penale fallimentare.
È un reato proprio - quella impropria invece è disciplinata dall'articolo 223 dello stesso regio decreto - e di pericolo, nel senso che è commesso nell'ambito della procedura fallimentare e solamente da quei soggetti, quale l'amministratore, che occupano la particolare qualifica o posizione indicata espressamente dalle norme incriminatici, e si sostanzia in una serie di condotte illecite idonee ad arrecare un grave pregiudizio sia ai creditori sia alla collettività in generale, in quanto vengono commesse in un contesto economico caratterizzato dal dissesto dell'impresa commerciale.

La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel ritenere che, in tale ipotesi, il fondamento della penale responsabilità dell'amministratore di diritto vada rintracciato in quella particolare posizione di garanzia, di cui egli diviene titolare nel momento in cui ha acconsentito a ricoprire formalmente la carica di amministratore, che trova la sua base giuridica nelle disposizioni civilistiche di cui agli articoli 2392 e 2394 del codice civile.
Tale fattispecie delittuosa comprende, al suo interno, tipologie tra loro molto diverse - a seconda del momento in cui la condotta delittuosa si verifica rispetto alla dichiarazione di fallimento, del tipo di condotta stesso e del soggetto che la compie - ma tutte accomunate dal fatto di collegarsi a una procedura concorsuale.

In estrema sintesi, si possono distinguere le seguenti fattispecie di bancarotta fraudolenta: pre-fallimentare, se la condotta delittuosa precede la dichiarazione di fallimento (articolo 216, comma 1); post-fallimentare, se la condotta è successiva (articolo 216, comma 2); patrimoniale e/o documentale (articolo 216, comma 1, nn. 1 e 2); preferenziale (articolo 216, comma 3); propria (se a fallire è l'imprenditore individuale); impropria (se a fallire è una società, ovvero un institore).

La decisione della Corte
I giudici di legittimità sono di diverso avviso e ritengono manifestamente infondate le doglianze del ricorrente.
Infatti, in conformità a un precedente orientamento giurisprudenziale (cfr Cassazione, sentenza n. 33380/2008), i giudici di piazza Cavour ribadiscono che "…integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale la sottrazione o la dissipazione del bene oggetto di contratto di leasing, in quanto siffatte condotte comportano un pregiudizio per la massa fallimentare che viene privata del valore del medesimo bene ed, allo stesso tempo, è gravata da un ulteriore onere economico scaturente dall'inadempimento dell'obbligo di restituzione alla società locatrice…".
In altre parole, per la Cassazione, non si può non rilevare come la condotta qui esaminata abbia creato un pregiudizio ai creditori, quantomeno in capo alla società locatrice la cui obbligazione è rimasta insoluta e priva di garanzia di ristoro.

Infine, la Corte si sofferma sull'elemento psicologico del reato di bancarotta fraudolenta documentale, in relazione al quale i giudici di legittimità ritengono sufficiente il solo dolo generico e non anche quello specifico.
Al riguardo, la Cassazione precisa che la conservazione in modo assolutamente carente della documentazione contabile dell'impresa - salva la presenza di una idonea causa giustificativa, assente nel caso di specie - costituisce "…una dimostrazione di sistematica condotta di violazione del primario obbligo annotativo imposto all'imprenditore dall'ordinamento…", atteso che "…non è logicamente concepibile che chi conduce un'impresa, anche di piccole dimensioni, possa privarsi di completa traccia contabile essenziale, come quella del libro giornale o del libro degli inventari…".
Né vale, a escludere la responsabilità penale in relazione alla bancarotta fraudolenta documentale, la circostanza dell'inattività della società, in quanto gli obblighi documentali "…sopravvivono alla cessazione dell'attività, venendo meno soltanto quando la cessazione dell'attività sociale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese…".

http://www.nuovofiscooggi.it/giurisprudenza/articolo/la-sparizione-di-beni-leasing-e-reato-di-bancarotta-fraudolenta

Attività forense e accertamento fiscale della Guardia di Finanza

(Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza 16.2.2010 n. 11082)
Con ricorso notificato alla PROCURA DELLA REPUBBLICA di Milano, al Nucleo Regionale di Polizia Tributaria di Milano della GUARDIA DI FINANZA, al MINISTERO dell'ECONOMIA e delle FINANZE, al PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, al dr. D.M.F. (sostituto procuratore della Repubblica di Milano) nonchè al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Milano, lo STUDIO LEGALE e TRIBUTARIO ASSOCIATO x e gli associati dr. B.L., avv. Z.E. e avv. BR.Eu. - premesso che: (1) il 20 febbraio 2007 la Guardia di Finanza si era presentata presso la sede dello studio per eseguire una verifica fiscale ai fini delle imposte sul reddito per i periodi 2005, 2006 e 2007; (2) avendo i militari operanti iniziato ad "acquisire ed ispezionare il contenuto specifico di ogni fascicolo e di ogni file presente nei computers dei singoli professionisti, con l'intento di prendere conoscenza di tutto il loro contenuto, ivi compresa la corrispondenza con la clientela e con altri professionisti" ("in particolare" acquisendo "pareri, richieste di chiarimenti e relative risposte, notizie concernenti controversie pendenti o da instaurare, consultazioni circa la legittimità di taluni atti fiscali o societari ovvero rilievi e/o contestazioni cui comportamenti o deliberazioni pregresse avrebbero potuto dar luogo"), il legale rappresentante dello studio aveva eccepito il "segreto professionale con specifico riguardo a tutta la corrispondenza intrattenuta con la clientela custodita nei locali in uso ai singoli associati"; (3) il "sostituto Procuratore della Repubblica di turno", a fronte di una "generica istanza" dei "veri fica tori" ("al fine di acquisire ogni tipo di documento utile ai fini dell'accertamento nei confronti dello studio... e nella prospettiva di ricercare e reprimere eventuali violazioni alla normativa tributaria") emetteva un'autorizzazione, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 3, che consentiva l'esame dei documenti custoditi nei locali dello studio..., utili ai fini della ricerca e repressione di eventuali violazioni alla normativa tributaria, relativamente ai quali è stato eccepito il segreto professionale; (4) in forza di tale... autorizzazione i verificatori... acquisivano... 4 CD-R e un DVD non riscrivibili a sessione chiusa sui quali avevano scaricato tutti i messaggi di posta elettronica nonchè numerosissimi documenti informatici in formato doc, xls e pdf presenti nei PC di sette associati allo studio; (5) avendo i verificatori escluso che l'atto fosse da qualificare come pertinente ad un procedimento penale e... confermato la natura meramente amministrativa, essi avevano proposto ricorso al T.A.R. della Lombardia deducendo, in particolare, il carattere lesivo delle modalità con le quali era stato in concreto espletata la verifica, lamentando l'il legittimità del provvedimento in quanto privo di motivazione, generico e sproporzionato, nonchè fortemente lesivo dell'interesse professionale alla segretezza della corrispondenza con i propri clienti, coperta dal segreto professionale -, in forza di TRE motivi, chiedevano (con vittoria di spese ed onorari) di cassare la sentenza n. 6045/08 depositata il 5 dicembre 2008 con la quale il Consiglio di Stato aveva respinto il gravame da essi spiegato avverso la sentenza del T.A.R. la quale aveva dichiarato inammissibile il loro ricorso "per difetto di giurisdizione", "statuendo che l'autorizzazione rilasciata dal Procuratore della Repubblica sarebbe impugnabile soltanto con l'atto finale impositivo innanzi al giudice tributario"

http://www.laprevidenza.it/news/lavoro/attivita-forense-e-accertamento-fiscale-della-guardia-di-finanza/4654

Il condono ottenuto dalle società di persone non si estende ai soci

Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza 12214 del 19 maggio 2010, ha accolto il ricorso dell'Agenzia delle Entrate, contro la decisione della CTR della Campania, che aveva dichiarato l'inammissibilità dell'accertamento in capo al socio di una s.a.s, poichè tale società aveva ottenuto il condono fiscale.

Nella breve, ma chiara motivazione, la Suprema Corte ha infatti spiegato come : "il condono fiscale ottenuto dalla società di persone non estende automaticamente i propri effetti ai singoli soci, nei confronti dei quali l'Amministrazione finanziaria conserva il potere di procedere ad accertamento, e che devono pertanto presentare autonoma istanza per potersi avvalere del beneficio; fermi restando tutti i diritti dell'Erario nei confronti dei soci che non abbiano richiesto il condono, l'imponibile preso a base dall'Ufficio per l'ammissione della società al beneficio può essere assunto dal giudice tributario come riferimento per determinare in modo congruo il reddito dei singoli soci, in considerazione della correlazione logica, giuridica ed economica esistente tra il reddito della società e quello di partecipazione dei soci, e quindi della necessità che, nella determinazione di quest'ultimo, si tenga conto dell'imponibile accertato e definito nei confronti della società stessa".


http://www.telediritto.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1906:il-condono-ottenuto-dalle-societa-di-persone-non-si-estende-ai-soci&catid=63:giurisprudenza-dr-tributario&Itemid=27

L'abuso del diritto permette al fisco di contestare anche i contratti tipici stipulati dalle aziende

L'abuso del diritto mette definitivamente all'angolo le aziende. D'ora in avanti il fisco potrà contestare e "disconoscere" i contratti (tipici) stipulati dall'imprenditore che hanno come unico scopo il risparmio di imposta.Con una sentenza (del 19 maggio 2010) destinata ad incrementare le preoccupazioni di imprese e professionisti, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso dell'Agenzia delle entrate che contestava un contratto di comodato gratuito stipulato fra una srl e un'associazione sportiva.

Secondo l'amministrazione finanziaria l'accordo era stato fatto con l'unico scopo di ottenere un indebito risparmio di imposta. Ma sul punto la commissione tributaria provinciale di Roma e poi quella regionale del Lazio, avevano dato ragione al contribuente, sostenendo che l'accordo stretto fra società ed associazione non era fraudolento e che soprattutto l'amministrazione non poteva spingersi fino a disconoscere, in sede di accertamento, un contratto.
Superando un vecchio retaggio secondo cui il fisco non poteva mettere in discussione queste strategie imprenditoriali, la sezione tributaria del Palazzaccio ha dato continuità e rafforzato i principi affermati dall'ottobre del 2008 a oggi sull'abuso del diritto.
"In proposito, deve osservarsi che - si legge in uno dei passaggi chiave della sentenza - il suddetto orientamento risulta sovvertito dalla più recente giurisprudenza di questa corte, per la quale l'Amministrazione finanziaria, facendosi rigorosamente carico del correlativo onere probatorio, ha il potere di riqualificare (prima in sede di accertamento fiscale e poi in sede contenziosa) i contratti sottoscritti dal contribuente,ovvero di farne rilevare la simulazione o altri profili di invalidità, quale la nullità per mancanza di causa, ed applicare un trattamento fiscale meno favorevole di quello conseguente agli effetti ricollegabili allo schema negoziale impiegato".

http://www.telediritto.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1908:labuso-del-diritto-permette-al-fisco-di-contestare-anche-i-contratti-tipici-stipulati-dalle-aziende&catid=63:giurisprudenza-dr-tributario&Itemid=27

Giudice di Pace di Chiavari: assegno a vuoto, condannata e multata Poste Italiane

Nel 2007 un chiavarese vendette alcuni mobili antichi ad un antiquario torinese, che espone al mercato dell’antiquariato chiavarese e che lo pagò con un assegno Poste Italiane S.p.A.. Portato all’incasso presso la propria banca, il creditore scoprì, però, che l’assegno era stato emesso in difetto di provvista (“a vuoto”) e venne, quindi, protestato.
Dopo un infruttuoso tentativo di pignoramento a San Mauro Torinese in casa dell’antiquario per recuperare il proprio credito, il chiavarese citò in giudizio davanti al Giudice di Pace di Chiavari sia l’antiquario sia Poste Italiane S.p.A. per obbligarli al pagamento della somma a lui spettante.
Il Giudice di Pace di Chiavari, Dott.ssa Anna Maria Minniti, ha recentemente accolto la tesi prospettata dall’attore e condannato Poste Italiane S.p.A. a pagare non solo l’intero importo dell’assegno, per non aver rispettato gli obblighi imposti dalla legge, ma anche una sanzione pecuniaria di 500,00 € per non aver, nell’esercizio della sua funzione di natura pubblicistica, diligentemente vigilato e, quindi, non aver garantito la sicurezza e la fiducia degli utenti finali nella circolazione degli assegni, (oltre alle spese processuali).
La legge n. 386 del 1990 (come modificata dal D. Lgs. n. 507 del 1999) prevede che, in caso di emissione di un assegno in difetto di provvista, l’istituto di credito (sia esso una Banca o Poste Italiane S.p.A.) deve iscrivere il nominativo del traente nell’archivio C.A.I. (Centrale Allarme Interbancaria) per rendere noto il pagatore inaffidabile e inibirgli per sei mesi la possibilità di emettere altri assegni.
Ciò non facendo, l’istituto di credito è obbligato a pagare tutti gli assegni che vengono emessi successivamente al primo in difetto di provvista.
Nel caso specifico il creditore ha dimostrato in giudizio che l’antiquario, prima di emettere l’assegno “in favore” del chiavarese, aveva sottoscritto altri due assegni in difetto di provvista (a S. Vittoria d’Alba e a Chieri) e in relazione ad essi Poste Italiane S.p.A. omise quanto ad essa imposto per legge.
(Giudice di Pace di Chiavari, Dott.ssa Anna Maria Minniti, Sentenza 29 aprile 2010, n.359).

fonte http://www.filodiritto.com/index.php?azione=archivionews&idnotizia=2493

Preavviso di fermo per violazioni del codice della strada impugnabile davanti alla Ctp

E'impugnabile di fronte al giudice tributario il preavviso di fermo amministrativo scattato per violazioni del codice della strada.
Lo hanno stabilito le Sezioni unite civili della Corte di cassazione che, con la sentenza n. 11087 del 7 maggio 2010, hanno respinto il ricorso di Equitalia.
In molte decisioni la Suprema corte aveva stabilito che il preavviso di fermo no fosse neppure impugnabile. Dopo un altro intervento del Massimo consesso di Piazza Cavour (sentenza n. 10672) dell’anno scorso il preavviso è diventato impugnabile. Ora gli Ermellini hanno esteso ancora il principio prevedendo la possibilità di impugnare il preavviso davanti alla ctp anche per violazioni che non riguardano il codice della strada.
http://www.studioromano.ilforoduemila.it/index.php?option=com_content&view=article&id=907:preavviso-di-fermo-per-violazioni-del-codice-della-strada-impugnabile-davanti-alla-ctp&catid=122:giurisprudenza&Itemid=86

Cassazione Tributaria: interposizione fittizia di manodopera occorre verificare tutti gli elementi

La Cassazione ha accolto il ricorso promosso dall'Agenzia delle Entrate "contro la sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli-Venezia Giulia che ha rigettato l'appello dell'Ufficio contro la pronuncia di primo grado, che aveva accolto il ricorso della società contro avvisi di accertamento per omesso versamento di ritenute di acconto IRPEF, fondati sul presupposto dell'esistenza di un appalto di manodopera, in violazione dell'articolo 1 della legge n. 1369 del 1960".
Secondo la Cassazione il primo motivo di ricorso formulato dalla ricorrente è manifestamente fondato. In particolare, la ricorrente ha censurato "la sentenza impugnata per aver escluso il ricorrere di interposizione fittizia di manodopera solo con riguardo al criterio presuntivo di cui al terzo comma dell'art. 1 della legge n. 1369 del 1960, non ritenendo provato che le imprese subappaltatrici avessero utilizzato attrezzature e capitali dell'impresa appaltatrice, e non anche verificando la sussistenza degli ulteriori elementi desumibili dal primo comma della stessa norma, quali l'effettiva autonomia negoziale della subappaltatrice e la sussistenza di struttura e capitali adeguati all'importanza dell'opera".
La Cassazione ricorda il proprio orientamento secondo cui "l'ipotesi di appalto di manodopera è configurabile sia in presenza degli elementi presuntivi considerati dal terzo comma del citato art. 1 (impiego di capitale, macchine ed attrezzature fornite dall'appaltante), sia quando il soggetto interposto manchi di una gestione di impresa a proprio rischio e di un'autonoma organizzazione, da verificarsi con riguardo alle prestazioni in concreto affidategli (Cass. 16788/06)".
(Corte di Cassazione - Sezione Tributaria, Sentenza 4 maggio 2010, n.10685).

fonte http://www.filodiritto.com/index.php?azione=archivionews&idnotizia=2485

Ricorsi al Prefetto per multe stradali: parte il progetto del Ministero degli Interni - On line lo stato dell'impugnazione

E' partita dal 5 maggio 2010 l'iniziativa sperimentale del Ministero degli Interni: in alcune aree sarà possibile consultare via internet lo stato della propria procedura di impugnazione avverso la multa per infrazioni al Codice Stradale. Quando nel prossimo futuro il sistema entrerà a pieno regime sarà possibile anche presentare il ricorso per via telematica disponendo di una casella di posta elettronica certificata e di firma digitale. Ma a livello di strategia conviene al cittadino rinunciare alle garanzie offerte dal processo di opposizione alla sanzione amministrative offerte a piene mani avanti al (pur vituperato) Giudice di Pace, optando per la via prefettizia? Visitate il Portale nei prossimi giorni perché torneremo in tempi rapidi in argomento in modo approfondito per offrirVi una guida ragionata su come muoversi nei meandri delle multe stradali.

fonte http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_8415.asp

Multe, si discute in Consiglio comunale. In attesa di una decisione. Col condono stop ai fermi amministrativi . Si paga in due rate e il 4 per cento sugli interessi La delibera in aula. Notifiche a carico dei cittadini

La «svolta liberale» del Comune di Napoli partirà formalmente oggi quando il Consiglio comunale — se la maggioranza riuscirà a raggiungere il numero legale — licenzierà la delibera di giunta sul condono per le multe automobilistiche fino al 31 dicembre del 2004. Il provvedimento, una volta ricevuto l’ok, fermerebbe anche eventuali invii di fermi amministrativi riguardanti i verbali che ricadono in questo periodo. Per condonare occorrerà versare l’ammontare minimo della sanzione per tutti i verbali da 12 a 516 euro, con l’aggiunta delle spese di notifica e del 4 per cento forfettario «a favore di Equitalia» per chiudere tutte le voci aggiuntive presenti nella cartella esattoriale. E’ stato l’assessore alla legalità e polizia municipale, Luigi Scotti, ad illustrare le linee guida del provvedimento, ieri, in una riunione congiunta delle commissioni Decentramento, Trasparenza, Legalità e Bilancio. Con lui, anche l’assessore al Bilancio, Michele Saggese.

In sostanza il Comune ha deciso di caricare interamente sui napoletani le spese di notifica a casa della cartella di condono: questo, infatti, era uno dei nodi principali sciogliere visto il numero elevato di cittadini interessati dal provvedimento. Sono infatti impressionanti i numeri della manovra, superiori a quanto inizialmente previsto dalla giunta: i verbali, secondo l’assessore Scotti, «sono 400 mila», per un valore di 306 milioni (interessi compresi). Questo significa che, se si calcola una media di due verbali per napoletano, il provvedimento potrà riguardare 200 mila napoletani o persone che hanno commesso infrazioni al Codice della strada su territorio cittadino. E, quindi, moltiplicando circa 2 euro di spese di notifica per ogni cittadino da contattare, parliamo di altri 400 mila euro di spese che il Comune si è scrollato di dosso. In caso di adesione totale alla proposta entrerebbero nelle casse comunali 80 milioni di euro; «tra i 25 e i 27 milioni la cifra prudenziale stimata», ha detto invece il responsabile del Bilancio, Saggese. L’assessore alla Legalità ha spiegato anche che «nei casi di ricorso al giudice di pace, non ancora definito con sentenza si potrà scegliere se aderire all’agevolazione o insistere in giudizio».

Per le somme più consistenti si potrà pagare anche in due rate da versare tassativamente il 15 luglio e il 30 settembre, oppure si dovrà pagare tutto entro il 15 luglio. «In caso di fermo amministrativo— ha spiegato l’assessore alla Legalità— quest’ultimo viene revocato», mentre nel caso in cui si dovesse pagare solo la prima rata, «il debito non sarà estinto ma verrà restituita la somma già pagata». Con il condono delle multe Palazzo San Giacomo avvia una sicura ricerca di consenso. Presto, inoltre, per i napoletani arriverà anche la possibilità di rateizzare gli arretrati della Tarsu, che valgono circa 44 milioni di euro. Mentre i tecnici di palazzo San Giacomo sono a lavoro per avviare anche il condono, che a palazzo San Giacomo provano a chiamare «transazione», degli arretrati dei fitti delle case comunali vista l’impossibilità sociale di procedere con gli sfratti per morosità: la cifra orientativa delle morosità è di 70 milioni che il Comune vorrebbe far pagare ai propri inquilini, senza more e senza interessi, ammortizzando le morosità sui fitti.

fonte http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/cronaca/2010/9-febbraio-2010/multe-si-discute-consiglio-comunale-col-condono-stop-fermi-amministrativi--1602430045983.shtml

Cassazione: la verifica della Guardia di finanza supera i 30 giorni? Nullo l’accertamento

Nel caso in cui le verifiche della guardia di finanza si siano protratte oltre i trenta giorni lavorativi stabiliti dallo Statuto del contribuente (che al massimo diventano sessanta nei casi “di particolare complessità”) è da ritenersi non valido l’accertamento.
È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione il giorno 18 dicembre 2009 con la sentenza n. 26689. La società contribuente, aveva lamentato il fatto che le Fiamme Gialle avevano eseguito l'accertamento presso la propria sede per più di quattro mesi. La Corte, invocando l’articolo 12 dello Statuto ha spiegato che “la permanenza degli operatori civili o militari dell'amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell'indagine individuati e motivati dal dirigente dell'ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell'ufficio, per specifiche ragioni”.

http://www.noiconsumatori.org/articoli/articolo.asp?ID=5528&t=Cassazione%3A+la+verifica+della+Guardia+di+finanza+supera+i+30+giorni%3F+Nullo+l%92accertamento+

Cassazione Tributaria: trasferimento di promissory note all'estero

"La promissory note non è esclusa dal novero dei titoli e valori mobiliari e valute estere che unitamente al denaro contante - ove di importo superiore a euro 12.500 - vanno dichiarati all'Ufficio italiano cambi (sotto pena di sanzione) [oggi all’Unità di Informazione Finanziaria, ndr] in caso di trasferimenti da o verso l'estero al seguito di residenti e non residenti".
"La promissory note è uno strumento di pagamento internazionale che contiene una promessa incondizionata fatta dal debitore emittente di pagare una determinata somma di denaro ad una data stabilita all'ordine di un operatore estero beneficiario e dunque rappresenta - a tutti gli effetti - un titolo di credito all'ordine di natura astratta che risponde ai requisiti prescritti dalla Convenzione di Ginevra del 1930 ed incorpora il diritto del legittimo possessore di farsi pagare una certa somma alla scadenza prestabilita prescindendo dal rapporto giuridico sottostante.
Si tratta dunque di un vaglia cambiario (e come esso va bollato nelle percentuali di legge) e la sua inclusione tra i titoli e valori mobiliari cui fa riferimento la norma si ricava anche dalla disposizione che istituisce l'eccezione (art.3 bis) allorché esclude l'applicazione dell'obbligo dichiarativo per i trasferimenti - appunto - di vaglia postali o cambiari tratti su od emessi da intermediari creditizi o poste italiane che rechino l'indicazione del nome del beneficiario e la clausola dell'intrasferibilità. Né dal testo normativo si ricava una volontà legislativa di assoggettare all'obbligo dichiarativo solo ipotesi di possesso correlato a cessioni di denaro o titoli da un soggetto all'altro, in altre parole a "fenomeni traslativi".
L'ampia e generica formula adottata prescinde da rapporti creditori e debitori in essere od in fieri all'evidente scopo di assoggettare all'obbligo il mero passaggio della linea doganale di denaro, titoli e valori diversi da quelli espressamente esclusi - con tassativa elencazione - da tale adempimento avente precipua funzione di "rilevazione globale" dei movimenti di capitale alle frontiere".
La Corte ha infine ricordato il proprio orientamento, secondo cui "l'adempimento prescritto non è volto ad evitare illeciti trasferimenti di somme ma solo preordinato a fini di '"monitoraggio valutario" che prescrive l'obbligo di specifica informativa senza imporre alcun onere finanziario a carico di chi la rende". Resta pertanto irrilevante al fine configurare, la circostanza che il trasferimento del titolo non sia idoneo a dare luogo a movimenti di capitali da uno Stato ad un altro (Cass.5248/08). Aggiungasi che questo tipo di infrazione valutaria che postula, sotto il profilo soggettivo, un comportamento cosciente e volontario, ancorché non preordinato a fini illeciti, o non consapevole dell'illiceità del fatto, richiede, sotto il profilo oggettivo, la sola l'idoneità di titoli siffatti alla successiva costituzione di rapporti obbligatori con i non residenti nello Stato: idoneità che è stata ravvisata persino in titoli mancanti della data, del luogo di emissione o della firma di girata ovvero in assegni postdatati o con data falsa, privi di copertura o non onorabili dalla banca".

(Corte di Cassazione - Sezione Tributaria Civile, Sentenza 18 novembre 2009, n.24315: Trasferimento di promissory note all'estero).

fonte http://www.filodiritto.com/index.php?azione=archivionews&idnotizia=2172

Calcolo del bollo auto in base alla targa dei veicolo. Tutte le novità sul calcolo del bollo auto

Il programma per il calcolo del bollo auto permette di calcolare l'importo della tassa automobilistica nel periodo di pagamento (che coincide con il mese successivo alla scadenza).
-Ad esempio: per i bolli che sono scaduti il 31/12/2008 il periodo di pagamento va dal 1/01/2009 al 2/02/2009 (il 31 gennaio è sabato).
Se il calcolo viene effettuato in una data successiva al periodo di pagamento, il servizio calcolerà anche le eventuali sanzioni ed interessi.
-Ad esempio: se il calcolo viene effettuato dal 1/01/2009 al 2/02/2009, per le tasse automobilistiche scadute il 31/12/2008, non saranno calcolati sanzioni ed interessi; se il calcolo viene effettuato dopo il al 2/02/2009 verranno calcolati invece sanzioni ed interessi.
Se invece, il calcolo viene effettuato prima del periodo di pagamento il programma farà riferimento alla scadenza dell’anno precedente e indicherà le maggiorazioni dovute.
fonte Agenzia Entrate

Iscrizione ipotecaria e fermi amministrativi nel processo tributario

La Commissione Tributaria provinciale di Massa Carrara ha annullato l’iscrizione ipotecaria che il concessionario per la riscossione aveva effettuato nonostante al contribuente, per gli stessi ruoli, fossero già stati emessi due fermi amministrativi su alcuni veicoli.
Secondo il giudice la tutela del diritto dell'Amministrazione finanziaria, conclude il giudice del merito, non può giungere al punto di ledere l'integrità patrimoniale del contribuente. Secondo il ragionamento della Corte, infatti, l’iscrizione ipotecaria può essere accomunata al sequestro conservativo: così come un eccesso nell’attuazione della garanzia da parte del creditore sequestrante legittima la richiesta del debitore di un provvedimento di riduzione, così un eccesso nell’attuazione della garanzia data all'Amministrazione (iscrizione di ipoteca o fermo) legittima la richiesta di cancellazione di un'iscrizione ipotecaria effettuata su beni immobili ad ulteriore garanzia di un credito già assistito dalla garanzia del fermo di beni mobili registrati, allorchè il debito del contribuente trovi già ampia garanzia in detto provvedimento di fermo.
fonte finanzaediritto

CASSAZIONE. Detrazione per figli a carico: vanno ripartite al 50% tra i genitori non legalmente ed effettivamente separati

L'art. 12 del Tuir stabilisce che la detrazione per i figli a carico è ripartita nella misura del 50% tra i genitori ovvero, previo accordo tra gli stessi, spetta al genitore che possiede un reddito complessivo di ammontare più elevato. Si chiede qualora uno dei due genitori possieda solo redditi soggetti ad imposta sostitutiva (contribuente minimo art. 1, comma 100, legge n. 244 del 24/12/2007) può l'altro genitore usufruire della detrazione al 100% per i figli a carico anche se possiede un reddito complessivo inferiore? Qualora i due genitori fossero semplicemente conviventi, e si trovassero nelle condizioni di cui sopra, come bisogna comportarsi?
Le detrazioni per i figli non si possono ripartire liberamente tra i genitori ma devono essere ripartite al 50% tra i genitori non legalmente ed effettivamente separati.
In alternativa, e se c'è accordo tra le parti, si può scegliere di attribuire tutta la detrazione al genitore che possiede il reddito più elevato.
Questa facoltà consente a quest'ultimo il godimento per intero delle detrazioni, in caso, per esempio, di incapienza del genitore con reddito più basso. L'incapienza si verifica quando tutte le detrazioni di cui un contribuente può beneficiare sono superiori all'imposta lorda.
In queste situazioni, l'importo eccedente non può essere chiesto a rimborso o a compensazione di altri tributi, né è possibile riportarlo nella successiva dichiarazione dei redditi. In sostanza, parte delle detrazioni spettanti andrebbero perdute.
Passando al caso del quesito, va ricordato che come previsto dall'art. 9 comma 1 e 2 del DM 2 gennaio 2008 e dalla circolare Agenzia delle Entrate 21 dicembre 2007, n. 73, par. 4.1, il reddito dell'attività soggetta al regime dei contribuenti minimi:
* non rileva ai fini del riconoscimento delle detrazioni per lavoro di cui all'art. 13 del TUIR;
* insieme al reddito complessivo di tali soggetti, rileva ai fini del limite di 2.840,51 euro per il riconoscimento delle detrazioni per carichi di famiglia (art. 12 comma 2 del TUIR).
Quindi per il solo reddito conseguito in regime agevolato al contribuente non spettano le detrazioni per carichi di famiglia ma se il contribuente, in aggiunta a tale reddito, ne consegue altri tassati in via ordinaria, le detrazioni per carichi di famiglia spettano per ridurre la tassazione riferita a tali redditi, ma sono determinate in funzione del reddito risultante dalla somma di quello complessivo dichiarato in via ordinaria ai fini Irpef maggiorato di quello dell'attività soggetta al regime dei contribuenti minimi.
Nel caso in cui il contribuente "minimo", come prospettato, non ha altri redditi, ma il suo reddito è più alto di quello dell'altro coniuge, si pone dunque il problema se a quest'ultimo possa spettare la detrazione complessiva (quindi, comprensiva anche della quota "persa" dal contribuente "minimo").
Non ci sono, però, chiarimenti ufficiali in merito. E' possibile, comunque, rispondere in senso positivo partendo dal presupposto che, essendo il reddito minimo soggetto a tassazione sostitutiva, non rileva ai fini Irpef e quindi, non può essere considerato ai fini del raffronto con quello dell'altro coniuge, per stabilire qual è il maggiore (e dunque a chi, teoricamente, spetti l'intera detrazione).
Con riferimento ai genitori non coniugati, tenuto conto che la legge n. 54 del 2006, concernente disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli, stabilisce all'articolo 4, comma 2, che le disposizioni della menzionata legge n. 54/2006 si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, la circolare dell'Agenzia delle entrate 16 marzo 2007, n. 15/E ritiene che trovi applicazione la medesima disciplina delle detrazioni prevista per i figli a carico con riferimento ai genitori separati, qualora siano presenti provvedimenti di affidamento relativi ai figli.
In altre parole, la detrazione spetta, in mancanza di accordo, al genitore affidatario. Nel caso di affidamento congiunto o condiviso la detrazione è ripartita, in mancanza di accordo, nella misura del 50% tra i genitori. Ove il genitore affidatario ovvero, in caso di affidamento congiunto, uno dei genitori affidatari non possa usufruire in tutto o in parte della detrazione, per limiti di reddito, la detrazione è assegnata per intero al secondo genitore. Quest'ultimo, salvo diverso accordo tra le parti, è tenuto a riversare all'altro genitore affidatario un importo pari all'intera detrazione ovvero, in caso di affidamento congiunto, pari al 50% della detrazione stessa.
In assenza di detti provvedimenti di affidamento, la detrazione va ripartita al 50% tra i genitori, salvo accordo per attribuire la detrazione a quello dei due con il reddito più elevato.
Anche in tal caso valgono le considerazioni sopra espresse, anche se, si sottolinea ancora una volta, non sono supportate da una presa di posizione ufficiale da parte dell'Amministrazione finanziaria.
fonte Il Quotidiano Ipsoa

CASSAZIONE: Le piccole aziende sfuggono agli studi sul ricarico se hanno la contabilità regolare

Più chance per le piccole aziende di sfuggire agli studi di settore. Infatti non è legittimo l’accertamento induttivo basato esclusivamente sulla percentuale di ricarico applicata se questa è diversa rispetto a quella “risultante dallo studio di settore”.
È quanto affermato dalla Corte di cassazione che, con la sentenza n. 19632 dell’11 settembre 2009, ha bocciato il ricorso del fisco, scagionando una piccola impresa che aveva una contabilità formalmente regolare.
In particolare la sezione tributaria ha bocciato tutti i motivi del ricorso presentato dall’amministrazione finanziaria spiegando che “in tema di imposte sui redditi di impresa minore, perché sia legittima l’adozione, da parte dell’ufficio tributario, ai fini dell’accertamento di maggior redditi di impresa, del criterio induttivo di cui al dpr n. 600 del 1973, non basta il solo rilievo dell’applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa da quella risultante da uno studio di settore ma occorre che risulti qualche elemento ulteriore incidente sull’attendibilità complessiva della dichiarazione”.
fonte cassazione.net