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Gli studi legali seguono i clienti e guardano alla Cina. In una mappa le principali sedi estere

Va' dove ti porta il business. È questo il motto degli studi legali italiani che negli ultimi anni hanno aperto sedi all'estero (guarda la mappa). La spinta viene dai clienti, il freno dalla lingua, dal diritto e dalla burocrazia.

«Ottenere la licenza per la sede in Cina è dura, e in India è del tutto impossibile – spiega l'avvocato Fulvio Pastore Alinante, segretario generale di Asla, l'associazione studi legali associati –. Nonostante queste difficoltà, però, gli studi italiani hanno fatto grandi passi in avanti negli ultimi 20 anni». La molla è quella del cliente, che sempre più ha necessità di essere seguito da vicino dai professionisti. «L'internazionalizzazione sta cambiando – racconta Pastore Alinante –: le prime sedi estere erano nelle principali piazze finanziarie, Londra, Parigi, New York. Era necessario esserci, e gli studi ci sono andati. Adesso, invece, le calamite sono la Cina, i paesi arabi e i paesi dell'Europa dell'Est». Asla ha attualmente 100 studi associati, un terzo dei quali ha almeno una sede all'estero.

Uno dei primi studi a superare la frontiera è stato Chiomenti, che nel 1991 ha inaugurato l'ufficio di Londra. Da allora le bandierine aggiunte sulla mappa sono aumentate anno dopo anno. «La spinta verso l'estero proviene da due direzioni, spiega l'avvocato Filippo Modulo, socio dello studio: da un lato siamo incentivati ad aprire sedi vicine ai soggetti stranieri che si muovono verso l'Italia e dall'altro abbiamo la necessità di seguire le imprese italiane che aprono all'estero». L'ultimo ufficio inaugurato è quello di Hong Kong. «Per aprire in Cina – racconta Modulo – è necessaria un'autorizzazione del ministero della Giustizia cinese. C'è voluto oltre un anno per ottenerla prima di poter inaugurare la sede di Pechino, e per quella di Shangai abbiamo dovuto aspettare ulteriormente». Il lavoro in Asia si concentra sul diritto societario e commerciale, su IP/IT, sul diritto dell'energia e sugli arbitrati internazionali.

«Andare all'estero non è necessario per sopravvivere – sottolinea l'avvocato dello studio Chiomenti – ma è indispensabile per crescere. E poi l'apertura di sedi è un grande stimolo soprattutto per i giovani, che da noi hanno la possibilità di trascorrere periodi all'estero».
La scelta di internazionalizzare la propria attività comporta notevoli sforzi di investimento, non tanto economico, quanto di acquisizione di know-how internazionale. «Gli italiani – spiega infatti Paola Parigi, avvocato che da 10 anni lavora per studi legali italiani e internazionali come consulente di marketing e comunicazione – hanno dovuto imparare le regole dei paesi e gli avvocati, oltre a imparare bene la lingua, si sono dovuti dotare di specifiche competenze di diritto straniero».

Gli studi italiani non hanno mai tirato la volata, piuttosto hanno fatto da gregari, prima alle banche che aprivano all'estero, poi alle aziende in cerca di nuovi mercati. «Siamo dei followers dei clienti, dei segugi – racconta Paolo Montironi, senior partner dello studio associato Nctm –. Abbiamo seguito le imprese in Gran Bretagna e a Bruxelles. Ma adesso guardiamo altrove». Da pochissimi giorni Nctm ha ricevuto il via libera dal ministero cinese. Un vero e proprio record, visto che l'ok è arrivato in soli quattro mesi. «La Cina è il futuro dei nostri clienti e di conseguenza il nostro», sottolinea. L'oriente non è l'unica terra promessa: alcuni studi si sono specializzati in rapporti con un solo paese, primi tra tutti il Brasile, l'Albania e la Spagna. E poi c'è chi guarda a Est, come lo studio legale Sutti che ha aperto uffici a Sofia, Zagabria, Belgrado e Bucarest.

Le politiche di sviluppo si fanno con un occhio al mappamondo: «Di recente – racconta Sara Moro, socia dello studio Lca – abbiamo rivolto la nostra attenzione alla Mongolia, paese con una classe dirigente e politica giovane e aperta all'innovazione e allo sviluppo, anche sfruttando la posizione strategica che rende la Mongolia una porta sia per la Cina sia per la federazione russa». Tuttavia, non è sempre strettamente necessario essere presenti in maniera diretta: «L'importante – sottolinea l'avvocato Moro – è disporre di un solido network di consulenti locali affidabili e competenti, non solo in ambito squisitamente legale. È anche in questo senso che a mio avviso dovrebbe evolversi il processo di internazionalizzazione degli studi legali».

È possibile segnalare l'apertura negli ultimi anni di una sede all'estero all'indirizzo e-mail sediestere@ilsole24ore.com.

http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2010-08-03/studi-legali-seguono-clienti-224302.shtml?uuid=AYaZEsDC

CASSAZIONE : ANCHE CONTRAFFAZIONE GROSSOLANA INGANNA

Niente scuse per chi vende borse e altri oggetti contraffatti. Anche se l'imitazione di marchi conosciuti è grossolana, questa può comunque ingannare il consumatore. Lo ribadisce la Cassazione nella sentenza numero 29016.
Il caso riguarda due venditori ambulanti napoletani condannati dalla Corte d'Appello a un anno di carcere perchè colpevoli di 'ricettazione di oggetti provento del reato di contraffazione di marchi'. I due hanno fatto ricorso alla Suprema Corte sostenendo che non ci poteva essere reato per l'evidente grossolanità con la quale erano stati modellati gli oggetti venduti, tale da non poter certo ingannare i clienti. Il ricorso è stato respinto dalla seconda sezione penale della Cassazione. 'Il reato di introduzione nello stato e commercio di prodotti con segni falsi - scrivono i supremi giudici - è volto a tutelare non la libera determinazione dell'acquirente, ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei consumatori nei marchi, quali segni distintivi della particolare qualità e originalità dei prodotti messi in circolazione'. Pertanto secondo i giudici 'non può parlarsi di reato impossibile per il solo fatto che la grossolanità della contraffazione sia riconoscibile dall'acquirente in ragione delle modalità della vendita (prezzo eccessivamente basso rispetto a quello dei prodotti originali, vendita effettuata in mercatini rionali o ambulanti) in quanto l'attitudine della falsificazione ad ingenerare confusione deve essere valutata non come riferimento al momento dell'acquisto ma in relazione alla visione degli oggetti nella loro successiva utilizzazione'. Quindi, non si puo' parlare di mancanza di reato in caso di grossolanita' della contraffazione 'dal momento che occorre aver riguardo alla potenzialita' lesiva del marchio connaturata all'azione di diffusione in riferimento a un numero indeterminato di destinatari'.

http://www.imgpress.it/notizia.asp?idnotizia=53778&idsezione=1

Il venditore risarcisce il danneggiato se non prova che il soggetto da lui indicato è il vero produttore della merce difettosa

Il fornitore non è esonerato fino a che non si individua chi ha fabbricato il prodotto. Quando il consumatore non ha chiesto informazioni prima della causa, paga (eventualmente) le spese di giudizio al negoziante. Esclusa la decadenza ex articolo 1495 Cc (Sezione terza, sentenza n. 13432/10; depositata l' 1 giugno)

Cambiali: il possesso in originale da parte del debitore è prova dell'avvenuto pagamento

Si tratta di una presunzione "juris tantum" di pagamento superabile con la prova contraria del creditore: quest'ultimo deve dimostrare che il pagamento, in realtà, non è avvenuto e che il possesso del titolo è dovuto ad altra causa
(Sezione prima, sentenza n. 13462/10; depositata il 3 giugno)
http://www.dirittoegiustizia.it/Default.aspx?tabid=1

Cassazione: anche per i negozi virtuali occorre la licenza dal comune

La licenza di commercio rilasciata dal comune non puo' mancare nemmeno nei negozi virtuali in Internet.
La vendita di prodotti on line segue le stesse regole di quella "dal vivo". E il proprietario della vetrina telematica deve essere autorizzato dall'amministrazione del comune di residenza proprio come se aprisse un negozio "fronte strada". Anche se la merce viene offerta agli internauti da una società regolarmente registrata alla Camera di commercio. Altrimenti la sanzione amministrativa della polizia municipale non la toglie nessuno.
Nemmeno la Cassazione che infatti ha confermato la sentenza del giudice di pace di Vallo della Lucania, un comune del cilento a sud di Salerno, che a sua volta aveva respinto il ricorso del titolare di un sito web al quale è stata notificata un'ingiunzione di pagamento perche'‚ attraverso la vetrina telematica era possibile acquistare prodotti tipici locali confezionati dalla società del figlio del proprietario del dominio Internet.
La Cassazione ha anche confermato che la multa deve pagarla il proprietario del sito anche se i prodotti reclamizzati on line non sono suoi. Ció che conta infatti, in nome della legge sul commercio, è la proprietà del negozio. Tradizionale o virtuale non ha alcuna importanza. La sentenza 12355 della seconda sezione civile della Suprema Corte ha stabilito che il titolare del punto vendita on line "è obbligato a comunicare preventivamente l'avvio dell'attività all'amministrazione competente" che dovrà "verificare il possesso dei requisiti previsti dalla disciplina del commercio". Insomma, tra la piazza telematica e la piazza del paese c'è sempre meno differenza.
fonte aduc