Visualizzazione post con etichetta DIRITTO D'AUTORE. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta DIRITTO D'AUTORE. Mostra tutti i post

La tutela penale del brevetto decorre dalla presentazione della domanda.

In tema di contraffazione o alterazione di brevetti, disegni e modelli industriali ai sensi dell'articolo 473 cod. pen., la presentazione della domanda di brevetto, con la specificazione delle singole rivendicazioni e con la descrizione dei modelli, vale ad individuare l'oggetto materiale della tutela penale. Stretta della Cassazione sulla contraffazione. Il marchio è tutelato a partire dalla presentazione della domanda, e non dalla sua effettiva registrazione.
Lo ha stabilito la Suprema Corte che, con la sentenza 24214 del 23 Giugno 2010, ha respinto il ricorso di un cittadino cinese condannato per aver importato in Italia prodotti con marchi contraffatti. In sua difesa l'uomo sosteneva che il marchio era stato registrato solo tre mesi prima del suo arrivo in Italia e, dati i lunghi tempi di navigazione, la merce era partita in contemporanea alla registrazione del marchio, quando lui non poteva esserne a conoscenza. Ricostruzione smentita dai giudici di merito secondo i quali i comportamenti dell'imputato volti ad occultare la merce, non dichiarata alla dogana, dimostravano la sua consapevolezza dell'illecito. La seconda sezione penale ha respinto la tesi difensiva, ricordando un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale "in tema di contraffazione o alterazione di brevetti, disegni e modelli industriali ai sensi dell'articolo 473 cod. pen., la presentazione della domanda di brevetto, con la specificazione delle singole rivendicazioni e con la descrizione dei modelli, vale ad individuare l'oggetto materiale della tutela penale. Pertanto, dal momento della presentazione della domanda conoscibile dal pubblico diventa possibile l'illecita riproduzione del modello, sicché l'anticipazione dell'efficacia del brevetto al momento della presentazione della domanda ha una sua peculiare e specifica rilevanza proprio ai fini della tutela penale del modello".
cassazione.net

Cassazione Penale: ancora sul made in e sulla denominazione di origine

Con una articolata pronuncia in materia di indicazione del made in e di denominazione di origine, la Cassazione ha ribadito che "Pertanto, attualmente, un obbligo di indicazione della origine estera del prodotto sussiste soltanto nell'ipotesi di uso del marchio con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine italiana. Peraltro, anche in questo caso, non è indispensabile l'indicazione del paese di fabbricazione, essendo sufficienti altre indicazioni che evitino fraintendimenti del consumatore sull'effettiva origine del prodotto ovvero una attestazione sulle informazioni che verranno in seguito rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto."
Secondo la Cassazione: "Un obbligo del genere, inoltre, potrebbe, in contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost., portare ad una ingiustificata disparità di trattamento tra gli imprenditori nazionali e ad una compressione della libertà di iniziativa nei confronti di alcuni imprenditori nazionali. Ed invero, sarebbe consentito solo agli imprenditori nazionali che si rivolgono, per la realizzazione dei propri prodotti, ad altri produttori nazionali, di omettere la indicazione della origine e provenienza, mentre tale indicazione sarebbe obbligatoria -a prescindere da ogni incidenza sulla qualità del prodotto -qualora i prodotti fossero realizzati, a parità di condizioni qualitative, all'estero. Inoltre, poiché in ambito comunitario vige il principio che il prodotto legalmente commercializzato in uno Stato membro deve poter essere commercializzato negli altri Stati membri (a meno che non ricorrano esigenze imperative quali la tutela della salute, la lealtà dei rapporti commerciali, i diritti di privativa industriale, nella specie non configurabili) e poiché non risulta l'esistenza di norme comunitarie che impongano l'indicazione della origine e provenienza del prodotto in casi come quello in esame, potrebbe ipotizzarsi un caso di discriminazione alla rovescia. Invero, l'operatore nazionale potrebbe trovarsi discriminato a favore dell'operatore di altro Stato membro, perché ad esso sarebbe imposto l'obbligo di indicazione della origine della merce prodotta all'estero, mentre all'operatore di altro stato membro (ovviamente libero di commercializzare sul mercato italiano) tale obbligo non sarebbe imposto. Ulteriori profili di irrazionale disparità di trattamento potrebbero ravvisarsi nell'ipotesi che l'obbligo di indicazione della fabbricazione all'estero sussista solo per i prodotti cui sono apposti marchi o diciture italiane o che li facciano apparire come prodotti in Italia e non anche quando siano apposti marchi o diciture di altri Stati dell'Unione".
Nel caso di specie (sequestro di merce priva della etichetta «made in Italy», ma recante la sola etichetta con la dicitura «Prodotto e distribuito da FI Studio Srl Floreze Italy») la Corte ha stabilito che "in caso di sequestro probatorio, per disporre la revoca del sequestro è anche necessario che il giudice accerti che, nonostante la regolarizzazione, non permangano ancora le specifiche esigenze probatorie che avevano giustificato l'apposizione ed il mantenimento del vincolo. Nella specie l'ordinanza impugnata è totalmente priva di motivazione in proposito, sicché la stessa deve essere annullata con rinvio".
(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 25 maggio 2010, n.19746: Commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine - Sequestro probatorio - Requisiti)

Cassazione: mano pesante sui siti che violano il diritto d'autore

Mano pesante della Cassazione - e il primo a farne le spese potrebbe essere il sito svedese "Pirate Bay", leader nel libero scambio di file audio e video - sui siti web che forniscono agli utenti la possibilità di scaricare gratuitamente da Internet, tramite la messa a disposizione di chiavi di accesso, opere complete protette dal diritto d'autore come film e cd. La Corte, con la sentenza n. 49437 depositata ieri e destinata a costituire un punto di riferimento nella delicata materia del diritto penale del web, ha annullato l'ordinanza, favorevole a «Pirate Bay» con la quale il tribunale del riesame di Bergamo aveva cancellato la pronuncia del Gip che da una parte aveva stabilito il sequestro del sito svedese e aveva, dall'altra, imposto ai provider italiani di bloccarne l'accesso.
La Cassazione adesso ha rinviato la questione di nuovo al tribunale di Bergamo che dovrà decidere tenendo conto di questo principio di diritto: «sussistendo gli elementi del reato di cui all'articolo 171 ter comma 2 lettera a-bis) legge 633/41, il giudice può disporre il sequestro preventivo del sito web il cui gestore concorra nell'attività penalmente illecita di diffusione nella rete internet di opere coperte da diritto d'autore, senza averne diritto, richiedendo contestualmente che i provider del servizio di connessione internet escludano l'accesso al sito al limitato fine di precludere l'attività di illecita diffusione di tali opere».
La sentenza sottolinea innanzitutto le modalità con le quali è avvenuta la (presunta, per ora, visto che si tratta di confermare o meno una misura cautelare come il sequestro) violazione del diritto d'autore. La Corte precisa così che, nel caso di «Pirate Bay», la diffusione dell'opera coperta dal diritto d'autore non avviene dal centro (il sito web) alla periferia (gli utenti) che riceve i file per via telematica, pratica di downloading, «ma da utente (che effettua l'uploading) ad utenti che lo ricevono». Quindi da pari a pari, peer to peer, non essendoci un centro che possiede l'opera e la trasferisce agli utenti che accedono al sito.
Il problema che allora si pone è quello della responsabilità del titolare del sito che mette in comunicazione gli utenti che commettono l'illecito con l'attività di uploading. La Corte osserva che se il sito web si limitasse a mettere a disposizione il protocollo di comunicazione, come quello peer to peer, per permettere la condivisione di file contenenti l'opera coperta da diritto d'autore, ed il loro trasferimento tra utenti, il titolare non sarebbe responsabile. Discorso diverso se vengono indicizzate le informazioni che arrivano dagli utenti, tutti potenziali autori di uploading, in maniera tale che queste informazioni «anche se ridotte al minimo ma pur sempre essenziali perché gli utenti possano orientarsi chiedendo il downloading di quell'opera piuttosto che un'altra sono in tal modo elaborate e rese disponibili nel sito, ad esempio attraverso un motore di ricerca».
L'attività di trasporto, a quel punto, non è più «agnostica», ma si caratterizza come trasporto di dati contenenti materiale coperto da diritto d'autore. Ed allora è vero che lo scambio dei file avviene da utente a utente, ma l'attività del sito web è quella che permette lo svolgimento di tutte le operazioni e, per questo nella lettura della Cassazione, esiste un apporto causale alla condotta illecita che può essere inquadrato giuridicamente nel concorso di persone, in base al quale l'attività di concorso nel reato può essere rappresentata da qualsiasi forma di compartecipazione o contributo, di ordine materiale o psicologico, a tutte o solo alcune della fasi dell'illecito. Nessun decentramento così, malgrado la tecnologia peer to peer, della condotta illegale di diffusione di opera coperta da copyright.

fonte http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Norme%20e%20Tributi/2009/12/cassazone-sentenza-diritto-autore.shtml?uuid=e9a9b64e-f000-11de-b4be-a6cf520e4afe&DocRulesView=Libero