Cassazione: una 'causa persa' non giustifica il disinteresse dell'avvocato difensore
Svolgimento del processo
Con sentenza N° 1397/2005, depositata in data 11 agosto 2005, la Corte di appello di ...... ha confermato la sentenza con cui il Tribunale della stessa città ha condannato l'avv. AAAAAA ed il suo assicuratore, s.p.a. MEIE Assicurazioni, a pagare ad Antonio BBBBBB la somma di f 95.000.000, in risarcimento dei danni per responsabilità professionale.
La s.p.a. Aurora Assicurazioni, subentrata alla MEIE, propone due motivi di ricorso per cassazione.
Resiste il AAAAAA con controricorso. Il BBBBBB non ha depositato difese.
Motivi della decisione
1. Deve essere preliminarmente rigettata l'eccezione di inammissibilità del ricorso, proposta dal AAAAAA sul rilievo che la sentenza di primo grado sarebbe passata in giudicato, per l'erronea notificazione dell'atto di appello ad esso AAAAAA personalmente, anziché nel domicilio eletto presso il suo difensore, dovendosi ritenere irrilevante la rituale notificazione dell'atto di appello al danneggiato BBBBBB, non essendo configurabile litisconsorzio necessario fra le parti.
L'atto di appello risulta ritualmente notificato per posta, tramite raccomandata inviata al difensore costituito per il AAAAAA nel giudizio di primo grado, come da ricevuta di ritorno, allegata agli atti della ricorrente.
Va soggiunto, per completezza, che l'atto di appello è stato ritualmente notificato al BBBBBB, e che l'Aurora - chiamata in garanzia nel giudizio di primo grado - non si è limitata a contestare la sussistenza del rapporto assicurativo, né a porre altra questione meramente interna ai rapporti fra il responsabile ed il suo assicuratore, ma ha eccepito l'insussistenza della responsabilità dell'assicurato, assumendo così la posizione di litisconsorte necessaria processuale, quale titolare di rapporto dipendente da quello dedotto in giudizio, ai sensi dell'art. 331 cod. proc. civ.
L'atto di appello pertanto non sarebbe stato del tutto nullo, neppure se irritualmente notificato al AAAAAA (non costituito), ma avrebbe dovuto essere disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti di quest'ultimo (cfr. Cass. civ. Sez. 3, 6 novembre 2001 n. 13695; 26 gennaio 2010 n. 1535; 15 aprile 2010 n. 9046, fra le altre).
2. Con i due motivi di ricorso l'Aurora lamenta motivazione insufficlente e contraddittoria, nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto sussistere il nesso causale fra la negligenza dell' avv. AAAAAA, che non aveva svolto alcuna attività difensiva in favore del BBBBBB, omettendo di considerare che la causa era comunque perduta in partenza, non avendo il BBBBBB alcuna possibilità di difesa (egli aveva acquistato un' automobile Ferrari da un soggetto che non ne era proprietario e ne aveva subito l'evizione).
La motivazione della Corte di appello, secondo cui il difensore avrebbe potuto indurre il cliente a trovare una soluzione transattiva, sarebbe insufficiente, in quanto il difensore non ha l'obbligo di transigere, ciò che peraltro richiede la cooperazione della controparte.
La Corte avrebbe poi affermato senza alcuna prova che il mancato interessamento del difensore avrebbe fatto lievitare il danno da £ 55 milioni a £ 95 milioni, anche per effetto degli interessi. Al contrario, il mancato svolgimento dell'attività di difesa non ha allungato i tempi del processo, ma li ha se mai abbreviati.
3. I due motivi non sono fondati.
Va premesso che il giudizio circa la sussistenza o meno del nesso causale fra l'illecito e il danno attiene alle valutazioni di merito e non è suscettibile di censura in sede di legittimità se non sotto il profilo dell'insufficienza od illogicità del percorso argomentativo mediante il quale il giudice del merito è pervenuto alla sua decisione, restando irrilevanti le critiche alla soluzione di merito che sia correttamente e logicamente motivata.
Nella specie, la motivazione della Corte di appello appare congrua, sensata e condivisibile.
E' indubbio che - anche e soprattutto con riferimento alle c.d. "cause perse" (ammesso e non concesso che tale fosse quella di cui trattasi) - l'attività del difensore, se bene svolta, può essere preziosa, al fine di limitare o di escludere il pregiudizio insito nella posizione del cliente (se non altro sollevando le eccezioni relative ad eventuali errori di carattere sostanziale o processuale della controparte).
Il difensore può non accettare una causa che prevede di perdere, ma non può accettarla e poi disinteressarsene del tutto, con il pretesto che si tratta di causa persa.
Egli espone in tal modo il cliente all'incremento del pregiudizio iniziale, se non altro a causa delle spese processuali a cui va incontro, per la propria difesa e per quella della controparte.
Correttamente ha rilevato la Corte di appello che sarebbe stato onere del AAAAAA quanto meno quello di attivarsi per trovare una soluzione transattiva: comportamento che è da ritenere doveroso - contrariamente a quanto assume la ricorrente - ove si accetti di difendere una causa difficile e rischiosa per il proprio assistito.
Nè la ricorrente deduce e dimostra di avere tempestivamente eccepito, nelle competenti sedi di merito, che la somma liquidata al BBBBBB in risarcimento dei danni era eccessiva, ln relazione alla perdita che egli avrebbe comunque subito, a causa della difficoltà della sua situazione sostanziale e processuale.
Il tema risulta solo vagamente accennato nel ricorso, senza alcuna deduzione nè alcun richiamo specifico agli atti e alle prove in ipotesi dedotte sul punto, nei gradi di merito.
La ricorrente si limita a contestare in toto e genericamente il nesso causale fra il comportamento dell'avvocato e il danno lamentato dal cliente, in situazione di fatto in cui la colpa del difensore appare macroscopica ed il danno in gran parte in re ipsa.
4. Il ricorso deve essere rigettato. Le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in € 2.700,00, di cui € 200,00 per esborsi ed € 2.500,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese processuali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.
Cosi deciso in Roma, il 18 maggio 2010
http://www.avvocatoandreani.it/news-giuridiche/notizia.php?cassazione-una-causa-persa-non-giustifica-il-disinteresse-dell-avvocato-difensore
Cassazione Civile: fondamenti e limiti del giornalismo di inchiesta
Si potrebbe definire così la sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato la pronuncia con la quale la Corte d'appello aveva dichiarato di contenuto non diffamatorio gli articoli pubblicati da un quotidiano a seguito di una inchiesta promossa e svolta da alcuni giornalisti, che avevano presentato a laboratori della capitale campioni di tè per le opportune analisi, dichiarando trattarsi di urina, uno dei quali aveva "confermato" trattarsi di urina.
Vale la pena di seguire la parte centrale della motivazione.
"Deve, innanzitutto, rilevarsi che nel caso di specie si verte in tema di c.d. giornalismo di inchiesta, espressione più alta e nobile dell'attività di informazione; con tale tipologia di giornalismo, infatti, maggiormente si realizza il fine di detta attività quale prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale (attraverso gli organi di informazione, per sollecitare i cittadini ad acquisire conoscenza di tematiche meritevoli, per il rilievo pubblico delle stesse. Con il giornalismo di inchiesta l'acquisizione della notizia avviene "autonomamente", "direttamente" e "attivamente" da parte del professionista e non mediata da "fonti" esterne mediante la ricezione "passiva" di informazioni.
Il rilievo del giornalismo di inchiesta, anch'esso ovviamente espressione del diritto insopprimibile e fondamentale della libertà di informazione e di critica, corollario dell'art. 21 Cost. (secondo cui "tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione") nonché dell'art. 2 della legge professionale n. 69/1963 (dedicato alla deontologia del giornalista nell'ambito dell'Ordinamento della professione di giornalista), è stato, tra l'altro, riconosciuto dalla Corte di Strasburgo (che, in particolare, con sentenza 27.3.1996 ha riconosciuto il diritto di liberamente ricercare le notizie sia l'esigenza di protezione delle fonti giornalistiche) e dalla Carta dei doveri del giornalista (firmata a Roma 18 luglio 1993 dalla Fnsi e dall'Ordine nazionale dei giornalisti) che, tra i principi ispiratori, prevede testualmente che "il giornalista deve rispettare, coltivare e difendere il diritto all'informazione di tutti i cittadini; per questo ricerca e diffonde ogni notizia o informazione che ritenga di pubblico interesse, nel rispetto della verità e con la maggiore accuratezza possibile. Il giornalista ricerca e diffonde le notizie di pubblico interesse nonostante gli ostacoli che possono essere frapposti al suo lavoro e compie ogni sforzo per garantire al cittadino la conoscenza ed il controllo degli atti pubblici. La responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra. Il giornalista non può mai subordinarla ad interessi di altri e particolarmente a quelli dell'editore, del governo o di altri organismi dello Stato".
In tale contesto, al giornalismo di inchiesta, quale species, deve essere riconosciuta ampia tutela ordinamentale, tale da comportare in relazione ai limiti regolatori, dell'attività di informazione, quale genus, già individuati dalla giurisprudenza di legittimità, una meno rigorosa e comunque diversa applicazione dell'attendibilità della fonte (su cui, tra le altre, Cass. n.1205/2007), fermi restando i limiti dell'interesse pubblico alla notizia (tra le altre, Cass. n. 7261/2008), e del linguaggio continente, ispirato ad una correttezza formale dell'esposizione (sul punto, tra le altre, Cass. n.2271/2005); è, infatti, evidente che nel giornalismo di inchiesta, viene meno l'esigenza di valutare l'attendibilità e la veridicità della provenienza della notizia, dovendosi ispirare il giornalista, nell' "attingere" direttamente l'informazione, principalmente ai criteri etici e deontologici della sua attività professionale, quali tra l'altro menzionati nell'ordinamento ex lege n.69/63 e nella sopra richiamata Carta dei doveri (con particolare riferimento alla Premessa). Ne consegue che detta modalità di fare informazione non comporta violazione all'onore e del prestigio di soggetti giuridici, con relativo discredito sociale, qualora ricorra l'oggettivo interesse a rendere consapevole l'opinione pubblica di fatti ed avvenimenti socialmente rilevanti; l'uso di un linguaggio non offensivo e la non violazione di correttezza professionale.
Inoltre, il giornalismo di inchiesta è da ritenersi legittimamente esercitato ove, oltre a rispettare la persona e la sua dignità, non ne leda la riservatezza per quanto in generale statuito dalle regole deontologiche in tema di trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica.
Viene dunque in evidenza un complessivo quadro disciplinare che rende l'attività di informazione chiaramente prevalente rispetto ai diritti personali della reputazione e della riservatezza, nel senso che questi ultimi, solo ove sussistano determinati presupposti, ne configurano un limite.
In particolare, è da considerare in proposito che, pur in presenza della rilevanza costituzionale della tutela della persona e della sua riservatezza, con specifico riferimento all'art. 15 Cost., detta prevalenza del fondamentale e insopprimibile diritto all'informazione si evince da un duplice ordine di considerazioni:
a) innanzitutto l'art. 1, 2° comma, Cost., nell'affermare che "la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione", presuppone quale imprescindibile condizione per un pieno, legittimo e corretto esercizio di detta sovranità che la stessa si realizzi mediante tutti gli strumenti democratici (art. 1, 1° comma, Cost.), a tal fine predisposti dall'ordinamento, tra cui un posto e una funzione preminenti spettano all'attività di informazione in questione (e quindi a maggior ragione, per quanto esposto); vale a dire che intanto il popolo può ritenersi costituzionalmente "sovrano" (nel senso rigorosamente tecnico-giuridico di tale termine) in quanto venga, al fine di un compiuto e incondizionato formarsi dell'opinione pubblica, senza limitazioni e restrizioni di alcun genere, pienamente informato di tutti i fatti, eventi e accadimenti valutabili come di interesse pubblico.
b) Inoltre non può non sottovalutarsi che lo stesso legislatore ordinario, sulla base dell'ampia normativa sopra richiamata, ha ricondotto reputazione e "privacy" nell'alveo delle "eccezioni" rispetto al generale principio della tutela dell'informazione tant'è vero che in proposito, nello stesso Codice deontologico dei giornalisti (relativo al trattamento dei dati personali) all'art. 6 si legge testualmente che "la divulgazione di notizie di rilevante in eresse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l'informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell'originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti. La sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica. Commenti o opinioni del giornalista appartengono alla libertà di informazione nonché alla libertà di parola e di pensiero costituzionalmente garantita a tutti"; come anche deve ricordarsi che con Risoluzione dell'assemblea n.1003 del là luglio 1993, relativa all'etica del giornalismo, il Consiglio d’Europa ha tra l’altro affermato che “i mezzi di comunicazione sociale assumono, rei confronti dei cittadini e della società, una responsabilità morale che deve essere sottolineata, segnatamente in un momento in cui l'informazione e la comunicazione rivestono una grande importanza sia per lo sviluppo della personalità dei cittadini, sia per l'evoluzione della società e della vita democratica".
http://www.filodiritto.com/index.php?azione=archivionews&idnotizia=2593
Il processo civile accorcia i tempi con l'ausiliario del giudici
L'ausiliario
La novità principale è senza dubbio l'ausiliario, scelto dal giudice tra i nomi inseriti in un apposito albo formato presso ogni tribunale, che avrà il compito di trattare i ricorsi ritenuti prioritari dal presidente del tribunale stesso. Nell'albo possono iscriversi magistrati onorari, avvocati con anzianità di almeno 5 anni, notai (anche a riposo), magistrati ordinari, amministrativi e contabili in pensione, avvocati dello stato in pensione, docenti o ricercatori universitari (anche a riposo). La procedura prevista è simile a quella della media-conciliazione (altro strumento a disposizione per deflazionare il contenzioso): entro 90 giorni dalla sua nomina, l'ausiliario deposita in cancelleria una «proposta di decisione» da comunicare alle parti in causa che hanno 30 giorni per accettarla. Anche qui scatta una norma contro le liti temerarie: nel caso la proposta non venga accettata e il successivo giudizio ordinario si chiuda con un risultato pari a quello della proposta, il giudice può condannare la parte, anche vittoriosa, al pagamento dell'indennità dovuta all'ausiliario e di nuovo al versamento del contributo unificato.
La prova in cancelleria
Una seconda novità riguarda la raccolta delle testimonianze, operazione che potrà essere assegnata al cancelliere. La deposizione potrà essere registrata, ma a spese della parte che ne fa richiesta. In questo caso, il cancelliere dovrà redigere un verbale sintetico da allegare alla registrazione. La trascrizione integrale, necessaria nella successiva udienza, sarà comunque depositata dalla parte che ha chiesto la registrazione.
La sentenza breve
Quadratura del cerchio delle misure è la motivazione breve della decisione presa dal giudice monocratico. Obiettivo è far scrivere al giudice per esteso le sole sentenze che saranno impugnate. Entro 30 giorni dal termine assegnato alle parti per depositare le comparse conclusionali, il giudice fissa con decreto la data di udienza per la pronuncia della sentenza con motivazione breve. Qui il giudice pronuncia la sentenza leggendo il dispositivo con la sommaria elencazione dei fatti più importanti e dei principi di diritto utilizzati. La pubblicazione si intende effettuata con la firma del giudice sul verbale. Chi vuole impugnare la decisione deve richiedere la motivazione estesa.
http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2010-07-07/processo-civile-accorcia-tempi-180103.shtml?uuid=AYHzms5B
Il maltrattamento di animali non è più un delitto contro il patrimonio ma contro l'essere vivente
E' quanto ha stabilito la Suprema Corte che, con la sentenza 24734 di oggi, ha segnato una stretta contro le sevizie agli amici a quattro zampe, respingendo il ricorso di un uomo calabrese condannato a 200 euro di multa per aver seviziato il suo cane. L'uomo era stato condannato per il reato previsto dall'art. 638 c.p. che punisce chi uccide o danneggia animali altrui senza necessità. La Suprema Corte ha riformato la sentenza, confermando comunque la condanna, ritenendo che la condotta dell'uomo non integrasse il reato previsto dall'art. 638, ma il nuovo e più grave delitto ai sensi dell'art. 544 ter del codice penale, che sanziona chi sevizia gli animali senza motivo o con crudeltà. I giudici di legittimità hanno infatti chiarito che il reato di maltrattamenti di animali "si differenzia dal reato ex art. 638 c.p, rientrando tale disposizione tra i delitti contro il patrimonio, in cui il bene protetto è la proprietà privata dell'animale, sicché muta l'elemento soggettivo, costituito, nel reato di cui all'art. 638 c.p., dalla coscienza e volontà di produrre, senza necessità, il deterioramento, il danneggiamento o l'uccisione di un animale altrui e nel quale, diversamente dal delitto di cui all'art. 544 ter c.p., che tutela il sentimento per gli animali". Se prima l'animale era tutelato in quanto "oggetto" di proprietà di qualcuno, oggi invece l'ordinamento lo tutela come essere vivente.
cassazione.net
Per l'attività giudiziale prestata dal legale. Liquidazione della parcella, va verificata l'attività svolta
Quadro normativo
Con riferimento alla determinazione della parcella del legale, il secondo comma dell’art. 6 del D.M. n. 585/1994 stabilisce che la liquidazione del compenso deve essere parametrata al valore effettivo della controversia, qualora tale valore sia manifestamente diverso da quello presunto a norma dell’art. 1703 c.c..
Il ricorso
Nel caso concreto, il Tribunale di Napoli aveva condannato il contribuente (di seguito anche parte soccombente) al pagamento delle spese dovute per l’attività giudiziale prestata dal proprio avvocato in sede di costituzione in giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
Tali spese erano state calcolate sulla base dei dettami di cui al citato art. 6, prendendo a riferimento sia il valore indicato nell’originaria domanda di liquidazione delle spese sia quello indicato nella domanda riconvenzionale presentata successivamente.
La parte soccombente aveva promosso ricorso in Cassazione avverso l’an e il quantum debeatur deciso dal Tribunale di Napoli.
In particolare, veniva lamentata violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del D.M. n. 585/1994, poiché nel determinare le spese di giudizio non si era fatto riferimento al valore effettivo della controversia, né tantomeno all’art. 1703 c.c., il quale prevede che il compenso deve essere calcolato in base al risultato conseguito e alla diligenza del mandatario nell’esecuzione del mandato.
La decisione della Cassazione
Con la sentenza n. 13229 del 31 maggio 2010, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dal contribuente, affermando che il processo logico seguito dal giudice del Tribunale di Napoli per determinare il valore delle spese processuali, non ha fondamento.
I giudici di legittimità, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite n. 19014 del 2007, hanno specificato che il valore della controversia si determina con riferimento al momento in cui viene presentata la domanda di liquidazione delle spese, senza tuttavia prendere in considerazione gli importi per interessi, rivalutazioni monetarie e danni maturati successivamente.
Inoltre, si deve aver riguardo al valore dei diversi interessi perseguiti dalle parti che stanno in giudizio.
Premesso ciò, la Corte ha sottolineato che i giudici, nel liquidare la parcella del legale che ha prestato l’attività giudiziale, sono chiamati a verificare l’attività svolta dallo stesso, in relazione alle caratteristiche peculiari del caso esaminato, al fine di stabilire se l’importo oggetto della domanda di liquidazione possa costituire un parametro di riferimento idoneo, rispetto all’effettivo valore della controversia pendente.
Nel caso in cui il compenso richiesto si rilevi totalmente inadeguato e sproporzionato rispetto al valore della causa, il legale può essere passibile di un’eventuale azione di responsabilità.
Nel caso concreto la seconda sezione civile della Corte di Cassazione, chiarendo quali siano gli onorari d'avvocato da porre a carico della parte soccombente e quali siano invece quelli che possono essere richiesti al proprio cliente, ha altresì espresso il seguente principio di diritto: "Qualora sia accolta l'opposizione a decreto ingiuntivo proposta ai sensi dell'art. 645 c.p.c., il compenso dovuto al legale del creditore che aveva chiesto il decreto ingiuntivo opposto deve essere determinato tenendo conto, ai fini del valore della controversia, della domanda originaria, non potendo a tal fine operare il cumulo con la domanda successivamente proposta dall'opposto in sede di costituzione nel giudizio di opposizione".
(Cassazione civile Sentenza, Sez. II, 31/05/2010, n. 13229)
Inaspriti i presupposti medico-legali dell’assegno di invalidità
In seguito il D.Lgs. n.509/88 ha innalzato la percentuale di invalidità richiesta al 74%.
L’art.10 DL n.78/10, però, ha ulteriormente inasprito la percentuale di invalidità richiesta per la prestazione dell’assegno portandola fino all’85%.
La nuova disposizione, però, troverà applicazione soltanto per coloro che hanno presentato la richiesta dell’assegno in data pari o successiva al 1 Giugno 2010.
Il DL 78/10 ha anche esteso della “rettifica per errore” a tutte le prestazioni previdenziali e assistenziali erogate dall’INPS che, in caso di errore, potrà rettificare le prestazioni entro 10 anni dalla data di comunicazione del provvedimento oggetto di rettifica.
L’istituto non potrà comunque procedere al recupero delle somme corrisposte per errore (salvo il dolo dell’interessato).
http://www.studiodiruggiero.it/inaspriti-presupposti-medico-legali-assegno-invalidita/
Dal 1 Luglio 2010 cambia la registrazione del contratto di affitto.
Dal 1°luglio diventa obbligatoria l'indicazione dei dati catastali degli immobili nelle richieste di registrazione di contratti di locazione e affitto di beni immobili. L'obbligo scatta pure per le relative cessioni, risoluzioni e proroghe, anche tacite, come pure, per i contratti di comodato. La previsione è contenuta nella manovra da 24,9 miliardi, all'articolo 19, comma 15, che, come ricorda Confedilizia, è diventata "operativa" con l'approvazione della nuova modulistica da parte dell'agenzia delle Entrate.
Sarà quindi più difficile registrare contratti relativi a immobili non iscritti al catasto, e cioè "fantasma". Nel modello 69, per la richiesta di registrazione, oltre a nuove istruzioni e modifiche grafiche, troverà spazio il "Quadro D", predisposto appositamente dal Fisco per ospitare i "Dati degli immobili" per i quali si chiede la registrazione.
A questa novità si lega anche il debutto del Modello CDC, da utilizzare soltanto per la comunicazione dei dati catastali relativi a beni immobili oggetto di cessione, risoluzione e proroga di contratti di locazione o affitto già registrati al 1 luglio 2010. Il Modello 69 va presentato all'Agenzia delle entrate per le richieste di registrazione, effettuate a partire dal 1° luglio 2010, dei seguenti contratti: di locazione, affitto e comodato di beni immobili. Nei casi, invece, relativi a eventuali cessioni, risoluzioni e proroghe di contratti di locazione o affitto già registrati al 1° luglio 2010, il Modello CDC a regime potrà essere presentato sia in forma cartacea che in via telematica, nel termine di 20 giorni, dalla data del versamento attestante la cessione, risoluzione e proroga dei contratti di locazione o affitto di beni immobili.
Si ricorda che il Modello CDC va presentato una sola volta. Per quanto riguarda la modalità telematica, le Entrate hanno provveduto ad approvare le nuove «specifiche tecniche», al fine di consentire l'inserimento dei dati catastali dell'immobile anche nel programma informatico per gli adempimenti di registrazione. Attenzione a rispettare i nuovi adempimenti. La mancata o errata indicazione dei dati catastali nelle richieste di registrazione è punita con una sanzione che va da un minimo del 120% a un massimo del 240% dell'imposta di registro dovuta.
Restano invariate le altre sanzioni previste, e cioè dal 100% al 200% dell'imposta dovuta per insufficiente dichiarazione di valore, che sale però dal 200 al 400% in caso di occultamento del corrispettivo. Le sanzioni per l'omessa registrazione sono ridotte in caso di ravvedimento operoso al 10% dell'imposta dovuta, se l'omessa registrazione avviene entro 90 giorni dalla scadenza, e al 12% se avviene entro un anno. Le sanzioni per il mancato pagamento, invece, sono pari al 2,5% del l'imposta (30 giorni dalla scadenza) e al 3% dell'imposta (entro un anno). A parte sono dovuti gli interessi.
http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2010-06-28/luglio-cambia-registrazione-contratto-171133.shtml?uuid=AY5FpB3B
Per l'iscrizione nel casellario non serve una specifica motivazione
Per l'iscrizione nel casellario informatico del provvedimento di esclusione dalla gara di appalto per collegamento sostanziale, non occorre una particolare motivazione che specifichi la valutazione di utilità della notizia, dato che il motivo dell'iscrizione di una esclusione da una gara è in re ipsa: segnala una circostanza di estrema rilevanza per la corretta conduzione delle procedure di affidamento dei lavori pubblici.
In tema di garanzie partecipative, riferite al procedimento di iscrizione nel casellario informatico, esse sono, in linea di principio, sempre dovute, salvo ad ammettere equipollenti quando la segnalazione da parte della stazione appaltante e la conseguente iscrizione sono un atto dovuto. Pertanto sull'avvio del procedimento di iscrizione presso l'Autorità di vigilanza deve essere informato l'interessato, anche quando la trasmissione degli atti, da parte delle stazioni appaltanti, è eseguita in adempimento a disposizioni di legge, viste le conseguenze rilevanti che derivano da tale iscrizione e l'indubbio interesse del soggetto all'esattezza delle iscrizioni. Questi sono i due interessanti principi espressi dal Consiglio di Stato con la decisione n. 3754 del 15 giugno.
http://www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com/ContentGuidaDiritto/Viewer.aspx?cmd=gdconsigliostato&IdDocumento=11750945&IdFonteDocumentale=13
Sanzionata per pratica commerciale scorretta la banca che non estingue l'ipoteca alla chiusura del mutuo
Lo ha deciso il Tar del Lazio nella sentenza 12283 del 19 maggio 2010, respingendo il ricorso di una nota banca italiana contro la sanzione stabilita nei suoi confronti dall'Autorità garante della concorrenza. In seguito all'approvazione del c.d. "decreto Bersani bis", risalente al 2007, che ha introdotto una serie di norme a tutela dei consumatori, è in vigore una disposizione in base alla quale l'ipoteca posta a garanzia del mutuo si estingue automaticamente in seguito all'estinzione del mutuo stesso. Si tratta quindi di un estinzione "ex lege", non essendo necessario il consenso del creditore, la banca creditrice non può quindi ostacolare il consumatore che intende liberare l'immobile dall'ipoteca. La banca sanzionata dall'AGCM aveva invece attuato comportamenti dilatori che avevano causato ritardi significativi e ingiustificati nelle procedure di estinzione dell'obbligazione. L'Autorità l'aveva dunque punita con una sanzione pari a 180.000 euro, poi impugnata dall'istituto bancario. I giudici di Roma hanno invece confermato la legittimità della misura, pur riducendone l'entità, concludendo che "la banca che non predispone un sistema operativo e di monitoraggio idoneo a consentire il tempestivo adempimento della normativa di cui al d.l. n. 7/2007 (c.d. "Bersani bis"), in base al quale l'estinzione a tutti gli effetti dell'ipoteca avviene ex lege, a seguito dell'estinzione dell'obbligazione garantita, non essendo più richiesto il consenso del creditore, è responsabile di pratica commerciale scorretta."
http://www.telediritto.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1911:sanzionata-per-pratica-commerciale-scorretta-la-banca-che-non-estingue-lipoteca-alla-chiusura-del-mutuo&catid=53:giurisprudenza-dir-civile&Itemid=24
Disconoscimento di scrittura privata, istanza di verificazione, termini processuali Tribunale Lucera, sentenza 21.02.2010
S. proponeva opposizione innanzi al Tribunale di Lucera assumendo in particolare di non aver mai sottoscritto un contratto di fornitura con la F.S. Spa e di non aver mai rilasciato alcuna garanzia personale per i pagamenti assunti dalla P. Costruzioni Srl, non essendo la relativa commissione a firma del S. e comunque non essendo S. legale rappresentante della P. Costruzioni Srl all'epoca dei fatti. Chiedeva pertanto dichiararsi nullo e inefficace il decreto ingiuntivo opposto, con condanna dell'opposta al risarcimento danni ex art. 96 c.p.c..
La F.S. Spa si costituiva deducendo fra l'altro la genericità e quindi la non idoneità delle contestazioni di S. a integrare un disconoscimento di firma ex art. 214 c.p.c., asserendo che sul retro del contestato documento di commissione vi fosse la firma del S. per avallo e garanzia dei pagamenti assunti dalla P. Costruzioni Srl.
Alla prima udienza di trattazione la difesa dell'opponente S. ribadiva “il disconoscimento della sottoscrizione “S...M...” apposta sul contratto di fornitura per avallo e garanza”, mentre la difesa della società opposta insisteva sulla irritualità del disconoscimento di firma, proponendo, solo con la memoria di replica ex art. 190 c.p.c., in via gradata, istanza di verificazione della sottoscrizione ex art. 216 c.p.c..
Nelle motivazioni di cui all'esaminata sentenza, il Giudice si sofferma preliminarmente sulla ritualità del disconoscimento della sottoscrizione di garanzia, evidenziando che, per costante giurisprudenza di legittimità, il disconoscimento della scrittura o della sottoscrizione ai sensi dell'art. 214 c.p.c., pur non richiedendo formule sacramentali, deve essere chiara e inequivoca, ovvero specifica e determinata. E pertanto non può configurare un disconoscimento, ex art. 214 c.p.c., la contestazione, evidentemente generica, “di tutto quanto dedotto e prodotto da controparte in comparsa di costituzione” (Cass. 13384/05), o ancora un disconoscimento rivolto in modo generico ad una pluralità di atti prodotti in giudizio (Cass. 11911/03).
Più in generale pare utile evidenziare che, a seguito della novella dell' art. 115 c.p.c. ad opera della legge n. 69/2009, il giudice oggi (recte, per i giudizi instaurati dopo l'entrata in vigore della legge) deve porre a fondamento della domanda i fatti non contestati in modo specifico, motivo per il quale la contestazione generica dei fatti (con il ricorso a note formule di stile quali la contestazione appunto “di tutto quanto ex adverso dedotto”) equivale in sostanza ad una mancata contestazione.
In ogni caso, nella vicenda che ci occupa, il Giudice rileva come l'opponente S. avesse chiaramente disconosciuto, sin dal primo scritto difensivo, tanto la sottoscrizione relativa al contratto di fornitura (“non ha mai sottoscritto alcun contratto di fornitura con la detta società”) quanto a quella relativa all'assunzione di garanzia personale (“nè ha mai rilasciato alcuna garanzia personale atteso che la commissione n. 27585 del 28.11.2003 non è a firma dello stesso”), ribadendo poi, al verbale della prima udienza di trattazione “il disconoscimento della sottoscrizione “S..M..” apposta sul contratto di fornitura per avallo e garanzia”. Accertato pertanto il rituale disconoscimento della sottoscrizione ad opera del S., il Giudice si sofferma sull'istanza di verificazione ex art. 216 c.p.c. proposta dalla parte opposta successivamente all'udienza di precisazione delle conclusioni, con memoria di replica, evidenziando come, pur non volendo considerare l'atteggiamento difensivo dell'opposta incompatibile con l'istanza di verificazione (avendo sempre sostenuto l'irritualità del disconoscimento operato dall'opponente S. e quindi rinunciando implicitamente all'istanza di verificazione, cfr. Cass. 6968/06), la detta istanza fosse stata proposta tardivamente. Difatti, osserva il Giudice, pur se l'art. 216 c.p.c. non pone esplicitamente alcun limite temporale per la proposizione dell'istanza di verificazione, va rilevato che il giudizio di verificazione, proposto in corso di causa, è finalizzato all'assunzione di un documento probatorio, motivo per il quale la detta istanza, configurandosi quale richiesta istruttoria, è soggetta ai medesimi sbarramenti processuali di cui agli artt. 183, VI comma, sub 2) e 3), e 345 c.p.c. (cfr. Cass. 2411/2005); di conseguenza, parte opponente, avendo proposto l'istanza di verificazione oltre l'udienza di precisazione delle conclusioni, è decaduta da tale facoltà processuale.
Il Giudice pertanto, rilevando da parte del S. il difetto della prova dell'assunzione di garanzia dell'obbligazione di pagamento assunta dalla P. Costruzioni Srl, dichiara la nullità del decreto ingiuntivo opposto limitatamente alla condanna in solido del S. al pagamento della somma ingiunta, condannando la soccombente F.S. Spa al pagamento delle spese di lite. Rigetta invece la domanda di risarcimento per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. avendo accolto la domanda di opposizione del S. per ragioni processuali.
Tribunale di Lucera
Sentenza 21 febbraio 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Lucera, in persona del dr. Michele De Palma, in funzione di giudice unico,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta sul ruolo generale affari contenziosi sotto il numero d’ordine 497 dell’anno 2008
TRA
la F.S. s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Lucera presso lo studio dell’Avv. M. F. che la rappresenta e difende unitamente all’Avv. F. F.,
- OPPOSTO -
CONTRO
S.M., rappresentato e difeso dall’Avv. M. P. ed elettivamente domiciliato in Cancelleria,
- OPPONENTE -
- CONCLUSIONI –
All’udienza di precisazione delle conclusioni dell’11.11.2009 i difensori delle parti hanno concluso riportandosi alle conclusioni già rassegnate nei propri atti difensivi. Segnatamente, la difesa di parte opponente ha chiesto: dichiararsi nullo e inefficace il decreto ingiuntivo n. 41/08 del 26.2.2008 nella parte in cui ingiunge al S. di pagare immediatamente la somma di euro 82.225,41, oltre interessi, in favore della società F.S. e condannarsi quest’ultima al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c., con vittoria delle spese di giudizio; la difesa di parte opposta ha invece richiesto il rigetto dell’opposizione e la conferma del decreto opposto, con vittoria delle spese di giudizio.
- RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO -
Con il decreto ingiuntivo opposto dal S. egli e la P. Costruzioni s.r.l. sono stati condannati, in solido, al pagamento della somma di euro 82.225,41, oltre interessi di mora per la fornitura di materiale, riportata nelle fatture prodotte in atti (la suddetta società a fronte di tale obbligazione emetteva cinque assegni insoluti e protestati).
Nell’atto di opposizione il S. assume di non aver mai sottoscritto con la suddetta società un contratto di fornitura e di non aver mai rilasciato alcuna garanzia personale in suo favore. La società opposta, costituendosi ha, tra l’altro, contestato la genericità delle doglianze di controparte che non possono integrare un disconoscimento di firma ex art. 214 c.p.c. ed ha asserito che il S. aveva firmato, sul retro del documento di commissione, per avallo e garanzia dei pagamenti assunti dalla società Palladio Costruzioni.
Preliminarmente occorre verificare se il disconoscimento di tale ultima sottoscrizione sia avvenuto ritualmente.
In tesi generale, la giurisprudenza di legittimità ritiene costantemente che il disconoscimento della scrittura o della sottoscrizione ex art. 214 c.p.c. pur non richiedendo formule sacramentali, esige un'impugnazione chiara ed in equivoca (tra le altre, Cass. n. 11911/03) ovvero specifica e determinata (tra le altre, Cass. n. 13384/2005; n. 1591/2002).
Questa chiarezza deve desumersi non solo dalla forma assunta dalla manifestazione del pensiero (come certezza in ordine alla negazione dell’autenticità della sottoscrizione: certezza che non sussiste ove la dichiarazione della parte riveli solo un'agnostica posizione d'attesa inidonea ad assumere il significato d'un disconoscimento: Cass. n. 1744/1972), ma anche dall'oggetto, dovendo essere indicata la specifica sottoscrizione di cui si nega l'autenticità (così, Cass. n. 11911/03 cit.).
Dall’esame delle fattispecie poste alla base delle decisioni di legittimità che si sono pronunciate sul carattere chiaro ed inequivoco o meno della volontà e dell’oggetto del disconoscimento, si evince che la genericità di questo, e quindi la sua irritualità, ricorre solo in ipotesi di contestazione dell’autenticità della scrittura o della sottoscrizione vaghe, che non hanno messo cioè in condizione la controparte di comprendere la reale volontà processuale o comunque quale fosse la scrittura o la sottoscrizione contestata (si pensi, a Cass. n. 3474/2008, la quale ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso potesse configurare disconoscimento la contestazione, proveniente dalla parte contro la quale la scrittura era stata prodotta, di "tutto quanto dedotto e prodotto da controparte in comparsa di costituzione"; a Cass. n. 13384/2005 cit. e n. 9543/2002 che hanno ritenuto insufficiente ad integrare il disconoscimento l'affermazione dell'inesistenza o la contestazione del fatto costitutivo contenuto nella scrittura; o ancora a Cass. n. 11911/03 cit. che ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto non rituale un disconoscimento rivolto genericamente ad una pluralità di atti sottoscritti e prodotti in giudizio).
Venendo al caso di specie, deve osservarsi che nell’atto di opposizione introduttivo parte opponente ha dedotto che “L’azione monitoria proposta nei confronti del sig. M… S… è del tutto destituita di fondamento in quanto lo stesso non ha mai sottoscritto alcun contratto di fornitura con la detta società né ha mai rilasciato alcuna garanzia personale atteso che la commissione n. 27585 del 28.11.2003 non è a firma dello stesso. E ciò risulta del tutto ovvio sol considerando che, al momento della sottoscrizione della commissione il sig. M…S…non era affatto il legale rappresentante della Palladio Costruzioni avendo assunto tale carica in data 9.10.2006 ben tre anni dopo la data della commissione …”
Con questa formula l’opponente ha chiaramente disconosciuto non solo la firma posta per accettazione della fornitura sul documento di commissione (“non ha mai sottoscritto alcun contratto di fornitura con la detta società”) ma, per quanto qui maggiormente rileva, fondandosi la pretesa monitoria sulla posizione di garante del S., la firma relativa alla garanzia personale (“né ha mai rilasciato alcuna garanzia personale”).
Ciò risulta evidente, in primo luogo, dalla lettera dell’atto difensivo, visto che si giustifica l’omessa sottoscrizione della fornitura e della garanzia assumendo che “la commissione n. 27585 del 28.11.2003 non è a firma dello stesso”. Al di là dell’uso del singolare “firma” e non “firme”, il precedente ed immediato richiamo al contratto di fornitura ed alla garanzia, portati in un unico documento (la commissione appunto), manifesta la in equivoca volontà di disconoscere tutte e tre le firme apposte su quel documento (quelle cioè afferenti alla conclusione del contratto: quella per accettazione del medesimo e quella per adesione delle clausole c.d. vessatorie, nonché quella per avallo).
In secondo luogo, il fatto che si sia trattato di un disconoscimento espresso di tutte e tre le firme, emerge chiaramente dalla circostanza che parte opponente ha subito giustificato che il S. non avrebbe potuto sottoscrivere quegli atti poiché all’epoca della conclusione della commissione il S. stesso non era rappresentante legale della società P. Costruzioni. Ciò dimostra, stando alla prospettazione difensiva, che non poteva essere lui ad aver apposto quelle firme, riconosciute nel prosieguo dell’atto di opposizione come identiche, ad ulteriore dimostrazione che furono apposte dalla stessa mano, di un terzo però, non del S.
Quanto fin qui esposto è sufficiente per ritenere che con l’atto di opposizione l’opponente aveva già tempestivamente disconosciuto le sottoscrizioni apposte sul documento contrattuale in questione. Va però ulteriormente evidenziato che alla prima udienza di trattazione, destinata, tra l’altro, alla precisazione delle asserzioni difensive, in apertura di verbale la difesa del S. ha ribadito “il disconoscimento della sottoscrizione “S…M..” apposta sul contratto di fornitura per avallo e garanzia”, ma a fronte di tale affermazione la difesa della società opposta ha insistito sulla irritualità del disconoscimento.
Deve pertanto concludersi nel senso che fin dall’atto di opposizione parte opponente ha disconosciuto la sottoscrizione apposta nel riquadro “per avallo e garanzie dei pagamenti”.
Parte opposta nella memoria di replica ha proposto, in via gradata, istanza di verificazione ex art. 216 c.p.c. rispetto a tale ultima sottoscrizione. In realtà, la parte in precedenza ha tacitamente rinunciato a tale istanza, essendo la stessa incompatibile con l’atteggiamento difensivo assunto fino al deposito della memoria di replica. Invero, sia nella prima udienza di trattazione che in quella del 10.12.2008, in cui ha richiesto il rinvio della causa per la precisazione delle conclusioni, ha addotto la irritualità del disconoscimento della sottoscrizione di controparte e la non necessità della verificazione della medesima (del resto, in una situazione analoga, la Suprema Corte ha sostenuto che la proposizione dell'istanza di verificazione della scrittura privata non è compatibile con la volontà di far valere la decadenza della controparte dalla facoltà di disconoscerla, sicché una volta formulata la suddetta istanza si verifica una rinuncia tacita all'eccezione che non può più essere revocata; Cass. n. 6968/2006).
In ogni caso, pur volendo negare tale rinuncia implicita, deve ritenersi che parte opposta è decaduta dalla facoltà processuale di proporre l’istanza di verificazione.
Sebbene questo giudice sia consapevole che è discusso il regime di decadenza dell’istanza di verificazione, atteso che l’art. 216 c.p.c. non indica alcun termine di decadenza ed è rimasto invariato pur a seguito delle novelle legislative succedutesi nel tempo, ritiene che tale istanza incontri il limite temporale di tutte le altra istanze probatorie.
Invero, il giudizio di verificazione proposto in corso di causa dà luogo ad un procedimento incidentale, finalizzato all’utilizzazione nel processo della prova documentale. In altri termini, il giudizio de quo si risolve nel produrre l’effetto istruttorio delle utilizzabilità del documento come mezzo di prova e non è dunque altro che un episodio o un incidente istruttorio. Ne deriva che la relativa istanza rientra nell’attività istruttoria delle parti e perciò, malgrado il mancato coordinamento tra l’art. 216 c.p.c. con gli artt. 183, comma 6, nn. 2) e 3), e 345 c.p.c., soggiace ai medesimi sbarramenti temporali delle altre richieste istruttorie.
D’altronde, a parte l’inconveniente pratico dato dal permanere dell’incertezza dell’efficacia probatoria del documento disconosciuto, la verificazione mira appunto a far acquistare al documento tale efficacia, vanificata dal disconoscimento, talché la parte che intende valersene è gravata da un onere probatorio analogo a quello cui aveva inteso assolvere con l’originaria produzione.
In questo senso si è pure espressa la Suprema Corte (Cass. n. 2411/2005), osservando che il procedimento incidentale di verificazione di scrittura privata disconosciuta ha, diversamente da quello proposto in via principale, funzione strumentale e finalità istruttorie, inquadrandosi nell'ambito dell'attività probatoria delle parti, in quanto esso non risulta fine a sé stesso, bensì preordinato all'utilizzazione, nel processo, della prova documentale. Ne discende che la parte che intenda avvalersi di una scrittura privata disconosciuta deve presentare l'istanza di verificazione, in modo non equivoco, entro il termine perentorio previsto per le deduzioni istruttorie delle parti (entro il termine, cioè, entro il quale è possibile la produzione del documento).
Nel caso di specie, non solo l’istanza di verificazione non è stata proposta entro i concessi termini per la formulazione dei messi istruttori, ma, come visto, è stata avanzata solo, in via subordinata, con la memoria di replica, quindi oltre l’udienza di precisazione delle conclusioni che, com’è noto, segna l’estremo limite di ogni preclusione.
In conclusione, atteso il disconoscimento della sottoscrizione apposta nel riquadro “per avallo e garanzie dei pagamenti” da parte del S. e la rinuncia alla verificazione ovvero la mancata proposizione dell’istanza di verificazione da parte della società opposta, deve ritenersi che difetta in atti la prova dell’assunzione da parte di quest’ultimo della garanzia in questione (il documento recante l’avallo non può provare infatti il rapporto di garanzia), con la conseguenza che deve dichiararsi che il S. non è personalmente obbligato, nella qualità di garante, nei confronti della F.S. s.p.a., il che comporta la nullità del decreto ingiuntivo opposto limitatamente alla parte in cui condanna, in solido, il S. al pagamento della somma ivi indicata, relativa al rapporto di fornitura, nonché al pagamento delle spese processuali.
Va invece rigettata la domanda risarcitoria ex art. 96 c.p.c. dal momento che non sussitono elementi in atti per poter ritenete la temerarietà della domanda monitoria nei conforti del S., atteso che il giudizio di opposizione si è concluso in favore dell’opponente per ragioni eminentemente processuali.
Le spese del giudizio di opposizione seguono la soccombenza e vanno liquidate così come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Lucera, disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, definitivamente decidendo sulla opposizione a decreto ingiuntivo proposta da S.M. nei confronti della F.S. s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., così provvede:
1) dichiara che il S. non è personalmente obbligato, nella qualità di garante, nei confronti della F.S. s.p.a. e, per l’effetto, dichiara la nullità del decreto ingiuntivo opposto limitatamente alla parte in cui condanna, in solido, il S. al pagamento della somma di euro 82.225,41, oltre interessi moratori, nonché al pagamento delle spese processuali;
2) condanna la F.S. s.p.a. al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di opposizione in favore del S. che liquida in complessivi euro 4.037,00, di cui euro 280,00 per esborsi, euro 1.657,00 per diritti ed euro 2.100,00 per onorario, oltre IVA e CAP come per legge, e rimborso forfettario sulle spese generali in ragione del 12,50% sull’importo degli onorari e dei diritti.
Così deciso in Lucera, il 21.2.2010.
IL GIUDICE
dr. Michele De Palma
Studi legali di piccole dimensioni: marketing e organizzazione
Lo scenario economico, politico, legislativo e
sociale nel quale si muovono le professioni - e in particolare gli avvocati
- sta registrando da diversi anni a questa parte tutta una serie di mutamenti
che sta con crescente forza spingendo verso una più intensa competitività del
mercato. Tali mutamenti si riferiscono ad una crisi ormai consolidata del
modello ordinistico, all'abolizione delle tariffe minime, all'introduzione del
patto quota lite, all'apertura a società multiscipilnari di professionisti (per
citarne alcuni) che, insieme ad una crescita esponenziale del numero degli
avvocati, alla presenza sempre più diffusa di studi internazionali sul nostro
territorio, alla concorrenza perpetrata anche da altre figure professionali su
alcune tematiche (un esempio su tutti, il commercialista nella tutela in sede di
contenzioso tributario), ed insieme anche ad una maggiore complessità delle
prestazioni richieste dai clienti e ad un cliente oggi più preparato, più
consapevole, più esigente e, se vogliamo, anche più spregiudicato (disinvolto)
(rispetto anche alla percezione sociale della figura dell'avvocato) impone
agli studi legali di affiancare alla professionalità e alla competenza giuridica
dell'avvocato una capacità di organizzare, gestire e strutturare lo studio
legale affinché questi possa non solo raggiungere obiettivi di efficacia (la
soddisfazione del cliente) ma anche obiettivi di efficienza, in termini non solo
di contenimento dei costi ma anche di gestione del know how. La
questione è: come stabilire il giusto equilibrio tra la massimizzazione della
soddisfazione del cliente e (per quanto inelegante possa apparire a taluni), la
massimizzazione del profitto dello studio legale.
Queste considerazioni non valgono naturalmente solo per gli studi legali di
grandi dimensioni che evidentemente hanno maggiori risorse e maggiori capacità
di spesa che consentono loro non solo di potersi rivolgere ad una consulenza
specializzata ma anche, in molti casi, di assegnare ad una figura interna allo
studio il ruolo di responsabile di marketing a tempo pieno o di managing
partner. Quanto detto vale anche, fatte le opportune proporzioni, per gli
studi di piccole dimensioni che in effetti costituiscono la fascia più numerosa
del mercato degli studi legali italiani.
L'organizzazione dello studio legale
È evidente che per far funzionare un qualsiasi tipo di organizzazione
(sia essa un'azienda, una comunità, uno studio professionale) è indispensabile
che processi, azioni e persone siano ben coordinati tra loro. Per fare
questo abbiamo bisogno di stabilire delle precise regole di funzionamento e poi
vigilare sulla corretta applicazione di queste regole. È necessario quindi
immaginare una soluzione, una strategia organizzativa che coniughi l'obiettivo
finale della soddisfazione del cliente, che rimane la principale ragion d'essere
dello studio, con gli obiettivi di efficienza e di economicità dello studio in
una logica di coordinamento di tutte quelle attività che concorrono alla
realizzazione della prestazione finale e di misurazione dei risultati prodotti.
Tale soluzione organizzativa è ben rappresentata da una gestione dello studio
secondo la logica dell'approccio per processi. Una gestione per processi
consente una sistematica pianificazione, attuazione, verifica
e correzione o consolidamento delle attività eseguite all'interno
di ciascun processo e quindi permette al titolare dello studio di presidiare,
gestire e monitorare costantemente i fattori critici e di successo che
interessano trasversalmente tutte le aree operative coinvolte nella
realizzazione e nell'erogazione della prestazione professionale finale.
Innanzitutto occorre precisare che per definire una qualunque metodologia
organizzativa è necessario avere ben chiaro “ciò che si fa” ossia individuare
quei processi su cui si fonda l'operatività dello studio per poter poi
individuare quali sono i cambiamenti che è possibile e opportuno introdurre. Una
volta chiara la mappa dei processi dello studio, questi dovranno essere
descritti nei loro elementi caratterizzanti. Si tratta in estrema sintesi di
stabilire, per ognuno dei processi individuati:
- cosa si fa
- chi lo fa
- come lo si fa
- (entro) quando lo si fa
I benefici di un approccio per processi sono
fruibili anche da uno studio legale di piccole dimensioni nel quale
evidentemente tanto i processi cosiddetti primari (di realizzazione del
servizio) quanto quelli secondari (di supporto alla realizzazione del servizio,
come l'attività di reception/accoglienza cliente, la gestione degli
archivi informatici e cartacei della pratica, l'attività di parcellazione, e
via di seguito), in tutto o in parte, fanno sempre capo al titolare.
Organizzare uno studio significa infatti formalizzare le regole organizzative e
operative necessarie a gestire in forma controllata e non improvvisata le
attività di studio e a identificare in tempo utile eventuali criticità, carenze,
inefficienze per apportare gli opportuni correttivi.
Questa rivisitazione in chiave strategica della struttura organizzativa dello
studio non richiede significativi investimenti se non in termini di impegno e
fiducia nel progetto da parte del titolare al quale è richiesta una riflessione
su come intende governare le proprie attività non solo in termini di esecuzione
del mandato ma anche di maggiore efficienza ed economicità dell'organizzazione
del proprio lavoro.
Il marketing legale
Lo studio legale dovrebbe riflettere inoltre sull'opportunità di adottare
adeguate strategie di marketing, al fine di evitare di trovarsi, in un
futuro ormai prossimo, impreparati a sfide del mercato sempre più stringenti sul
piano della concorrenza.
Sul tema, storicamente nella cultura dell'avvocato - ma potremmo dire delle
libere professioni in genere - si è stratificata una serie di pregiudizi
rispetto all'applicabilità di concetti di natura aziendalistica alla realtà
professionale. Non solo, nel suo percorso di studi non sono contemplate materie
di stampo manageriale o aziendale che gli abbiano fornito le nozioni e gli
strumenti per affrontare con familiarità la materia.
Volendo dare una definizione sintetica di marketing applicato alla professioni
forense, potremmo affermare che per marketing legale intendiamo una
disciplina che pone al centro il cliente e che, sia sul piano strategico che
operativo, orienta in maniera consapevole e strutturata le decisioni e gli
obiettivi di permanenza o crescita sul mercato cui si rivolge lo dello studio.
E' parte di una strategia di mercato che può definirsi proattiva, che induce lo
studio ad abbandonare un approccio passivo in favore di un ruolo propositivo nei
confronti dei bisogni del mercato.
La pianificazione di marketing passa attraverso fasi distinte e consequenziali
che qualsiasi studio, anche lo studio di dimensioni ridotte che può contare su
risorse, umane ed economiche, limitate può affrontare. Vediamole nel dettaglio.
L'analisi di mercato
In una prima fase, lo studio legale dovrà provvedere alla raccolta di dati
e informazioni che gli consentano di definire le caratteristiche del mercato nel
quale opera, di identificarne le tendenze predominati e di decifrare i
comportamenti dei soggetti che a vario titolo vi partecipano.
Uno studio di piccole dimensioni che non ha le risorse per affrontare una
ricerca di mercato complessa, potrà basare le proprie riflessioni sui
riflessi delle tendenze sociali (aumento dell'immigrazione, per esempio),
economici (crisi di un certo settore), demografici (l'invecchiamento della
popolazione, ad esempio) e politici (riforme della giustizia, per esempio)
rilevabili, banalmente, da riviste di settore (proprio o dei propri clienti).
In un secondo momento dovrà procedere all'analisi della concorrenza, il
cui scopo è quello di capire chi sono i propri concorrenti, quali
caratteristiche li caratterizzano, quale grado di visibilità hanno, che tipo di
approccio praticano in termini di tariffe applicate, ecc. Anche in questo caso,
non è indispensabile ricorrere a strumenti particolarmente sofisticati per
raccogliere questo genere di informazioni, è sufficiente verificare quanto
compiuto dai propri concorrenti in termini, ad esempio, di partecipazione a
seminari e convegni, di localizzazione e di arredo dello studio, di modalità di
risposta al telefono, di grafica della documentazione in uscita, di
presenza/assenza di un sito web, ecc. Per quanto banali possano sembrare, sono
comunque informazioni sulle quali è possibile fare utili riflessioni in termini
di differenziazione.
L'analisi della domanda
L'attenzione a questo punto va quindi spostata sull'analisi dei
bisogni, delle aspettative e delle esigenze dei clienti (attuali e potenziali).
Si tratta di indagare i comportamenti cosiddetti di acquisto
delle prestazioni professionali da parte dei clienti, di comprendere quindi i
meccanismi che inducono questi a rivolgersi a quello o a quell'altro avvocato.
Lo sguardo va indirizzato tanto all'esterno dello studio quanto all'interno.
Nel primo caso si tratta di capire quali sono le principali tendenze di mercato
mentre per quanto riguarda i clienti attuali dello studio, sui quali ci
soffermeremo con maggiore dettaglio, due sono gli strumenti più facilmente
praticabili: l'analisi della percezione del cliente rispetto alla
capacità dello studio di soddisfare le sue aspettative (che non si esauriscono
nella vincita della causa) e l'analisi di alcuni dati interni che
qualunque studio può reperire dalla propria contabilità. Per quanto riguarda il
primo aspetto, non è affatto necessario ricorrere a metodologie eccessivamente
complesse o costose, è sufficiente un breve colloquio con il singolo cliente,
anche al termine della singola causa, per raccogliere le informazioni
necessarie a comprendere in quale misura il cliente si ritiene soddisfatto e
quali sono gli aspetti rispetto ai quali ritiene deluse le sue aspettative. Gli
aspetti che dovranno essere indagati in questa fase potrebbero essere la
fedeltà (il cliente si rivolgerà allo studio per altri incarichi?), il
passaparola (il cliente consiglierà lo studio ad altri soggetti?), quali sono
gli aspetti che migliorerebbe?. Una attenta riflessione andrà fatta sul numero e
sulla tipologia di clienti da intervistare: tutti i clienti? i clienti migliori
in termini di partecipazione al fatturato? i nuovi clienti acquisiti nell'ultimo
anno? i clienti persi? Va rilevato che l'indagine porterà con sé non solo dati
utili allo studio per impostare una strategia di marketing ma anche un'opportunità
di rafforzamento della relazione con il cliente che apprezzerà l'interesse
rivoltogli dal suo avvocato.
Ulteriori analisi possono essere fatte sulle informazioni di cui lo studio è già
in possesso. Sotto il profilo economico, per esempio, potrebbe essere
interessante analizzare il fatturato: quali sono i clienti che apportano
maggiore fatturato allo studio? in quale misura lo studio dipende da quel
cliente o da quell'area di affari, sempre in termini di fatturato? qual è il
tempo medio di incasso per cliente? quante ore sono state dedicate a quel
cliente e quante sono state le ore effettivamente fatturate? O ancora, quali
sono i tempi di incasso effettivi, la puntualità dei pagamenti o la differenza
tra quanto è stato notulato e poi effettivamente incassato? Da queste
informazioni è possibile trarre alcune dati utili circa la praticabilità e la
convenienza di operare alcune scelte strategiche a discapito di altre.
Un ulteriore area d'indagine può essere rappresentata dal settore al
quale i clienti dello studio appartengono o dall'area geografica
maggiormente servita: è un dato sul quale è possibile fare delle riflessioni, ad
esempio rispetto alla presenza di altri competitor o rispetto alla convenienza
ad indirizzare o meno in quella direzione le proprie energie e le proprie
risorse.
E' evidente che reperire dati di questo tipo è un'operazione alla portata di
qualunque studio, a prescindere dalle dimensioni o dalla inclinazione del
singolo a materie economiche o manageriali.
I dati così raccolti potrebbero utilmente essere
rappresentati in una tabella che si propone di seguito.
| Nome e Cognome | Area geografica | Professione/ settore | Prestazione erogata | Fatturato annuo | % fatturato sul | tempi medi di | Reclami |
1 |
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2 |
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3 |
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4 |
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A questo punto lo studio dovrebbe passare ad indagine auto conoscitiva,
ossia un'analisi delle proprie risorse, in termini di personale, disponibilità
finanziarie, struttura e di competenze specifiche. Lo scopo è quello di valutare
i punti di forza e di debolezza dello studio attuali e di adoperarsi, in
maniera consapevole, per potenziare i vantaggi differenziali e trasformare i
difetti in un'occasione di miglioramento.
PUNTI DI FORZA | PUNTI DI DEBOLEZZA | ||
Risorse umane | Esperienza |
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Puntualità |
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Spirito di squadra |
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Fedeltà allo studio |
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..... |
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Competenze specifiche | Diritto societario
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Arbitrati |
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Diritto fallimentare |
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Diritto tributario |
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....... |
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Uffici | Posizione |
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Arredamento |
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Orario di apertura |
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Organizzazione | Comunicazione interna |
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Distribuzione carichi di lavoro |
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Tecnologia |
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....... |
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Risorse economiche | Margini di profitto |
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........... |
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Clientela | Fidelizzazione |
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Passaparola |
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..... |
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Segmentazione - Targeting - Posizionamento
Sulla base delle analisi svolte e delle considerazioni che ne sono
conseguite, lo studio deve identificare a quali clienti
intende rivolgersi e quali servizi proporre. La prima fase di questo processo
consiste nel segmentare il mercato di riferimento, ossia nel suddividere
l'universo dei propri clienti (o potenziali tali) in gruppi di persone, ognuno
dei quali accoglie soggetti accomunati da una o più caratteristiche.
Per esempio, è possibile segmentare per età, professione, zona geografica,
tipologia di benefici richiesti dal cliente. Anche in questo caso non è
necessario ricorrere ad analisi particolarmente complesse o a rappresentazioni
grafiche particolarmente sofisticate, potrebbe essere sufficiente predisporre un
elenco delle categorie di clienti sulla base di criteri considerati d'interesse
per lo studio:
| Beneficio richiesto dal cliente | Servizio dello studio | Settore/ professione | Fascia di età | Ara geografica | Reddito |
Segmento A | Consulenza presso la propria sede | Area diritto tributario | Imprenditore | 40 - 55 anni | Veneto | > 500.000 |
Segmento B | Cura della relazione umana | Area diritto di famiglia | Donne | > 50 anni | Milano | < 50.000 |
Segmento C | .... | .... | .... | .... | .... | .... |
Le informazioni possono essere reperite dai dati storici dello studio facenti
riferimento ad un determinato arco temporale (ad esempio, gli ultimi 10 anni).
Pur non avendo una rilevanza statistica significativa può comunque offrire
spunti di riflessioni utili su quanto è già stato fatto dallo studio e su quanto
è possibile/conveniente fare in futuro per ottimizzare le proprie risorse.
Fatto questo, il passo successivo consiste nel selezionare quei segmenti di
mercato ai quali lo studio ritiene opportuno rivolgersi date le potenzialità di
quella fetta di mercato e date le effettive capacità dello studio di poterne
soddisfare le esigenze (ossia definire il proprio target). Ad esempio, il
segmento delle PMI della regione Veneto. La scelta di un target, che avvenga in
funzione delle prestazioni professionali che intende offrire e delle effettive
capacità, è indispensabile per lo studio di dimensioni ridotte perché consente
di non disperdere le proprie energie e le proprie risorse in un mercato
indifferenziato nel quale far fronte alla concorrenza diventa pressoché
impossibile.
Infine, lo studio dovrà definire il proprio posizionamento, ossia dovrà
scegliere come porsi affinché il cliente lo distingua dagli altri studi
legali già presenti su quel segmento. Si tratta insomma di far capire chi si è
(la propria storia, la propria cultura, il proprio approccio alla relazione con
il cliente) di che cosa lo studio si occupa (quali servizi si presta), a quali
clienti ci si rivolge (per area professionale, per area geografica, per
dimensione), quali sono i vantaggi che i propri servizi sono in grado di
garantire.
Le strategie saranno formulate secondo il tipo di vantaggio competitivo
che si intende perseguire: potrà dunque trattarsi di una strategia di leadership
di costo (offrire servizi standard a prezzi bassi), di differenziazione
(garantire un'attenzione accurata ad una certa componente del servizio - ad
esempio la tempestività di risposta- che altri non possono garantire) o di
focalizzazione (rivolgere i propri servizi ad un unico segmento del mercato, ad
esempio specializzarsi nel diritto di famiglia).
Implementazione
A questo punto è giunto il momento di nel mettere in atto quanto stabilito.
Si tratta insomma di mettere in pratica quanto stabilito per conseguire gli
obiettivi stabiliti, di scegliere le azioni e gli strumenti più opportuni e che
dovranno riguardare la composizione del proprio portafoglio-servizi e i
contenuti della prestazione, la politica dei prezzi, le modalità di erogazione
del servizio (che comprende tanto lo spazio fisico quanto la relazione con il
cliente) e le modalità di comunicazione (che insieme costituiscono il cosiddetto
marketing mix).
Nulla di complicato nemmeno in questo caso. Riportiamo di seguito un esempio di
un piano di attuazione della strategia di marketing che potrà essere adattato a
seconda delle risorse e dei tempi effettivamente disponibili.
Obiettivo | Azione | Costo atteso | Redemption attesa | Data limite per | Risultato |
Maggiore visibilità sul mercato giovane | Realizzazione di un sito web interattivo | Da preventivo tecnico | Aumento del 20% della richiesta di | entro l'anno |
|
Comunicare la propria area / | Partecipazione incontri di settore del cliente | Costo opportunità del tempo dedicato | Un cliente nuovo per incontro | entro l'anno |
|
Migliorare l' immagine dello studio | Definizione della grafica e dello stile dei documenti (carta intestata, buste, biglietti da visita, brochure, ...) | Da preventivo tecnico | Maggiore soddisfazione espressa dai | entro l'anno |
|
..... | ..... | ..... | ..... | ..... | ..... |
Abbiamo in questa sede voluto proporre una panoramica generale dei concetti
relativi all'organizzazione e al marketing nell'ambito di uno studio legale,
fornendo alcuni esempi di come possano trovare applicazione alcuni di questi
concetti in studi che, per le dimensioni e le conseguenti ridotte capacità di
investimento sul progetti particolarmente complessi, non hanno ritenuto di
avvicinarsi alla materia. In un prossimo intervento ci proponiamo di entrare con
maggiore dettaglio nelle problematiche tipiche e più ricorrenti di uno studio
legale e di fornire alcune indicazioni pratiche per la loro risoluzione e
quantomeno per il loro contenimento.
fonte http://avvocati24.ilsole24ore.com/EsplosoIntervista.aspx?Identificativo=11640879&IdFonteDocumentale=5