Non risponde di diffamazione il cliente dell'avvocato che presenta un esposto all'ordine dove segnala un suo comportamento deontologicamente scorretto, anche se poi l'accusa si è rivelata falsa. E' quanto ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza 33994 depositata oggi, ha annullato la condanna inflitta dal tribunale di Napoli a una donna, rea di aver diffamato un avvocato attraverso un esposto inviato al consiglio dell'ordine degli avvocati. Nell'esposto la signora riportava che il suo legale, benché avesse ricevuto del denaro proveniente da una causa ormai conclusa, non le aveva versato nulla, senza però fare alcun riferimento a un eventuale utilizzo illegale dei soldi. L'avvocato, dal canto suo, aveva riferito al giudice di non aver ricevuto i compensi dovuti per l'attività professionale svolta. Date le evidenti divergenze tra i due, la donna si era rivolta all'ordine degli avvocati, esprimendo forti perplessità sulla correttezza della condotta del suo avvocato. Il consiglio dell'ordine ha ritenuto infondati i suo dubbi e ha archiviato il tutto. La quinta sezione penale ha respinto l'impostazione dei giudici di merito, e ha precisato che era nel pieno diritto della cliente "accertare se la divergenza fosse da ascrivere a una propria errata valutazione dei rapporti dare/avere con il professionista che l'aveva assistita o fossero da ascrivere a una errata valutazione di questi". La cassazione ha dunque concluso che l'interrogativo sulla correttezza professionale degli avvocati non può tradursi automaticamente in una reazione punitiva dello Stato, va quindi riconosciuto "l'esercizio di un diritto , anche nel caso della condotta di chi indirizzi un esposto contenente espressioni offensive a autorità disciplinare, in quanto ricorre la generale causa di giustificazione ex art. 51 c.p., quale esercizio di un diritto di critica costituzionalmente tutelato dall'art.21 della Carta Costituzionale che è da ritenere prevalente rispetto al bene della dignità personale".
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