Torna agli onori della cronaca l'articolo 4 dello statuto dei lavoratori sull'uso degli impianti audiovisivi all'interno dei luoghi di lavoro. Il garante per la protezione dei dati personali, con provvedimento del 10 giugno scorso, in virtù all'asserita violazione della disposizione ha infatti disposto il blocco di un apparato di videosorveglianza sui lavoratori.
L'articolo 4 dello statuto, in effetti, ammette gli impianti e le apparecchiature dai quali derivi la possibilità di controllo a distanza sull'attività dei lavoratori, solo se richiesti da esigenze organizzative e produttive o dalla sicurezza del lavoro. Oltre alla presenza di queste esigenze è però necessario, perché possa essere realizzato questo tipo di controlli, che l'installazione della strumentazione per effettuarli sia preceduta da un accordo con il sindacato o, in mancanza di intesa, da un'autorizzazione della direzione provinciale del lavoro.
La questione dell'eventuale assoggettamento a questa norma si pone per qualsiasi tipo di controllo elettronico: dalla videosorveglianza ai software per la valutazione della produttività installati sui computer utilizzati dai dipendenti, a quelli che ne controllano la navigazione in internet e l'impiego della posta elettronica, al controllo biometrico (ossia mediante le impronte), a quello delle telefonate.
Ulteriore controllo è quello della localizzazione degli spostamenti del dipendente attraverso un software inserito nel suo computer portatile o mediante il (più tradizionale) monitoraggio del badge aziendale. Nonostante riguardi i controlli elettronici sui lavoratori, e cioè un campo intrinsecamente esposto a un alto tasso di innovazione tecnologica, questa disposizione continua a essere il punto di riferimento esclusivo, nella sua materia. Esclusivo, ma di interpretazione giurisprudenziale multiforme.
Di conseguenza, per le aziende, quella sui controlli elettronici è come una partita da tripla in schedina. Nelle controversie sul tema, per i datori di lavoro il pronostico è tendenzialmente favorevole in Cassazione, incerto dinanzi al giudice del merito, assolutamente negativo davanti al garante per la protezione dei dati personali. L'ulteriore problema delle aziende è che, quando si gioca davanti all'authority, la partita rischia di finire ai supplementari, di fronte al giudice penale. Il giudizio dinanzi al garante ha infatti la sua naturale conclusione in un successivo procedimento dal giudice penale, al quale il garante rimette gli atti per le valutazioni di sua competenza.
Passando dalla insoluta questione penale a quella giuslavoristica, il garante della privacy, con il citato provvedimento, su segnalazione di un ex dipendente del datore di lavoro chiamato in causa, ha disposto il blocco del trattamento dei dati effettuato mediante un apparato di videosorveglianza in un negozio, per inosservanza dei requisiti imposti dall'articolo 4 dello statuto. Nella stessa deliberazione, inoltre, il garante non ha invece preso provvedimenti nei confronti di un altro apparato di videosorveglianza installato dallo stesso datore di lavoro in un altro negozio, ma non in funzione, ritenendo che «in mancanza di un effettivo (e, allo stato, non comprovato) trattamento di dati personali, non sussistono i presupposti per l'emanazione di un provvedimento da parte di questa autorità».
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