Non puo' ottenere l'asilo politico chi incita alla lotta armata, mentre tale beneficio va riconosciuto a chi e' perseguitato in patria per le sue idee politiche.
Situazioni che devono essere ben vagliate dal giudice, anche se il richiedente e' stato raggiunto da un ordine di arresto per propaganda a favore di un'organizzazione terroristica nel Paese d'origine. La Cassazione fissa cosi' il principio entro il quale devono muoversi i magistrati chiamati a concedere o meno l'asilo politico a chi ne fa richiesta: "il giudice chiamato ad esaminare il ricorso avverso il diniego della protezione internazionale deve scrutinare la situazione di persecuzione addotta dall'interessato verificando in linea generale - si legge nella sentenza n. 17576 della sesta sezione civile - ed avvalendosi dei suoi poteri di indagine ed informazione, la situazione del Paese nel quale e' dato operare il rientro e deve considerare la posizione personale del richiedente protezione anche alla luce della documentata adozione di una misura cautelare giurisdizionale per propaganda a favore di organizzazione terroristica, al proposito scrutinando il fatto ascritto od accertato e la sua riconducibilita' alla area della legittima espressione del dissenso o a quella dell'incitamento vietato alla lotta armata".
La Suprema Corte ha per questo annullato con rinvio una sentenza della Corte d'appello di Milano che aveva rigettato il reclamo di un cittadino turco che si era visto negare l'asilo politico, da lui richiesto perche' perseguitato nel proprio Paese in quanto appartenente al movimento politico dell'etnia curda (Dtp). I giudici milanesi avevano rilevato come l'uomo fosse stato colpito da un ordine d'arresto in contumacia per aver fatto propaganda in favore di un'organizzazione terroristica: cio', secondo la Corte milanese, "comprovava la repressione in atto da parte dei militari verso un movimento di natura terroristica", analoga a quella adottata da Paesi europei, come la Spagna.
Con la sentenza depositata oggi, i giudici di piazza Cavour hanno rilevato "l'omessa indagine sui fatti addebitati" al richiedente asilo, e "l'evidente superficialita' dell'assunzione di argomenti afferenti l'azione condotta in Spagna contro la lotta armata del separatismo basco": la "persecuzione politica - osservano gli 'ermellini' - sussiste anche quando vengano legalmente adottate sanzioni penali all'esito di un regolare processo a carico di chi ha espresso opinioni politiche", mentre "non puo' essere considerata persecuzione la repressione adottata con sanzione penale dell'attivita' di incitamento alla violenza".
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