È giusta la compensazione delle spese del giudizio nel caso in cui l'Amministrazione annulli in autotutela l'atto impugnato e lo sostituisca con un altro accertamento privo del vizio denunciato con ricorso. È quanto ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 19947 depositata il 21 settembre scorso.
Una società ha impugnato un accertamento denunciando, tra l'altro, assoluta mancanza di motivazione. Con memoria l'ufficio ha dato atto di aver constatato il vizio e di aver provveduto, nell'ambito del potere di autotutela, ad annullare l'atto viziato, sostituendolo con altro avviso di accertamento in corso di notifica. Il Presidente della Ctp ha dichiarato, con decreto, l'estinzione del giudizio per cessata materia del contendere con compensazione delle spese in base all'articolo 46 del decreto 546/92. Avverso tale decreto la società ha proposto reclamo limitatamente alla compensazione delle spese processuali ritenendo che non sussistevano i presupposti della cessazione della materia del contendere, quanto piuttosto quelli della rinuncia processuale con conseguente condanna del rinunciante. La Ctp ha confermato la pronuncia rilevando che l'annullamento di un atto impugnato in autotutela, determina la cessazione della materia del contendere con conseguente applicazione del comma 3, articolo 46 del decreto 546/92 (le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate).
Poiché la Ctr ha respinto l'appello proposto dalla società, quest'ultima ha fatto ricorso in Cassazione sollevando due questioni: se poteva applicarsi l'articolo 46 nel caso in cui l'atto impugnato era annullato in autotutela e contestualmente sostituito con altro identico; se il medesimo articolo 46 era applicabile nel caso in cui, già nel precedente grado del giudizio, la parte avesse invocato il principio della soccombenza (articolo 15, decreto 546/92). La Cassazione ha rigettato il ricorso. In particolare ha ritenuto rilevante la compensazione delle spese. Nel caso di specie, l'autotutela ha riguardato un motivo preliminare che sarebbe stato riscontrato anche dal giudice e che avrebbe comunque impedito lo scrutinio delle altre eccezioni subordinate relative al merito della pretesa. Per la Cassazione il ricorrente avrebbe dovuto dedurre e dimostrare l'esistenza di ragioni sia giuridiche sia di fatto tali da escludere la compensazione.
In realtà il problema che emerge dalla sentenza è l'eliminazione di un atto illegittimo, che dovrebbe comportare - per la parte che lo ha posto in essere - almeno la soccombenza delle spese processuali. Il contribuente, in concreto, non aveva alcuna alternativa per far ritirare l'atto e ha dovuto necessariamente proporre ricorso con conseguenti spese. Resta poi aperta la vicenda, non affrontata dalla sentenza, sulla legittimità dell'emissione di un altro accertamento, previo annullamento di quello errato, sulla base del ricorso del contribuente che, in concreto, vanifica l'impugnativa e la difesa.
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