L’art. 840 c.c. ha per oggetto la proprietà immobiliare o fondiaria, secondo l’espressione utilizzata dal Codice civile, e prevede che essa si estende al sottosuolo, con tutto ciò che vi si contiene, e allo spazio aereo sovrastante, fino alla profondità e all’altezza entro cui la proprietà stessa può essere utilmente esercitata.
Il proprietario del suolo, dunque, fatti salvi i limiti imposti dalla legge, può godere e disporre pienamente del sottosuolo, realizzando escavazioni od opere, purché queste non rechino danno all’altrui proprietà.
Ci si chiede se, ed in che misura, questo principio generale valga anche riguardo al suolo su cui sorge l’edificio condominiale ed allo spazio ad esso sottostante, dal momento che l’art. 1117 c.c., nell’individuare le parti comuni del condominio, dispone, tra l’altro, che il suolo su cui sorge l’edificio è oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piano dell’edificio condominiale, salvo che non risulti diversamente dal titolo.
Problemi si sono posti, in particolare, circa la legittimità di eventuali lavori di ampliamento realizzati dal condomino proprietario del piano più basso (cantina, seminterrato, ecc.).
Si pensi, ad esempio, al condomino che decida di realizzare dei lavori di abbassamento della pavimentazione, al fine di ottenere un ampliamento del piano: tali lavori possono classificarsi come atti di utilizzo legittimo della cosa comune o, al contrario, devono considerarsi illegittimi perché eseguiti in violazione dell’art. 1102 c.c.?
Secondo un primo orientamento, al quesito potrebbe darsi risposta positiva, atteso che l’art. 840 c.c. va riferito non solo alle proprietà solitarie, ma anche alle proprietà in comunione, dunque anche a quella particolare forma di comunione che è il condominio.
Parte della dottrina osserva, peraltro, che con l’espressione “suolo su cui sorge l’edificio” di cui all’art. 1117 c.c., il legislatore ha inteso riferirsi non al piano su cui poggia la pavimentazione del più basso dei piani condominiali, bensì alla base, posta nel sottosuolo, sulla quale poggiano le fondamenta dell’edificio.
Seguendo questa chiave di lettura, la porzione di suolo sottostante il condominio, delimitata, verso l’alto, dalla superficie pavimentata del piano più basso e, verso il basso, dal piano su cui insistono le strutture portanti del fabbricato, rientrerebbe nella proprietà esclusiva del titolare dell’appartamento più basso e, dunque, quest’ultimo può legittimamente disporne secondo le proprie esigenze ai sensi dell’art. 840 c.c; la parte comune di suolo ex art. 1117 c.c., invece, andrebbe individuata nella parte di sottosuolo che si proietta al di sotto delle fondamenta dell’edificio condominiale.
Secondo una diversa impostazione, invece, l’art. 840 c.c. non può trovare applicazione con riguardo al suolo condominiale, riferendosi tale norma alle sole proprietà esclusive, e non anche alle proprietà in comunione.
Si afferma, inoltre, che per “suolo su cui sorge l’edificio” deve intendersi la superficie su cui insiste immediatamente la parte infima dello stabile, ossia l’area sulla quale poggia il pavimento del piano più basso, sia che questo emerga in tutto o in parte dal piano di campagna circostante, sia che si trovi più in profondità, in modo da risultare completamente interrato.
Ne deriva che la linea del pavimento rappresenta il limite della proprietà esclusiva del condomino dell’appartamento posto al piano più basso dell’edificio, mentre la porzione di suolo sottostante, ai sensi dell’art. 1117 c.c., è proprietà comune di tutti i condomini, con la conseguenza che il singolo condomino non può utilizzare in via esclusiva detta porzione di sottosuolo, né tantomeno eseguire lavori di escavazione a di abbassamento del pavimento, non trovando applicazione l’art. 840 c.c.
La tesi da ultimo illustrata sembra preferibile, in quanto maggiormente coerente con una lettura combinata degli artt. 840 e 1117 più volte citati: in quest’ultima disposizione, infatti, il legislatore, nell’elencare le parti comuni del condominio, indica il “suolo” e le “fondamenta” come precise e ben distinte parti dell’edificio, sicché appare del tutto arbitraria un’interpretazione diretta a far coincidere necessariamente il limite inferiore del primo con quello che raggiungono le seconde, come sembrano prospettare i sostenitori della prima impostazione sopra riferita.
Tale rilievo è confermato anche dalla giurisprudenza dominante:
Per il combinato disposto degli artt. 840 e 1117 c.c. lo spazio sottostante al suolo su cui sorge un edificio in condominio, in mancanza di titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini, deve considerarsi di proprietà comune, indipendentemente dalla sua destinazione. Ne deriva che il condomino non può, senza il consenso degli altri, procedere ad escavazioni in profondità del sottosuolo per ricavarne nuovi locali ad ingrandire quelli preesistenti, comportando tale attività l'assoggettamento di un bene comune a vantaggio del singolo
(Cass. civ., 9.3.2006 n. 5085)
L’orientamento da ultimo esposto trova ulteriore conferma nella norma di cui all’art. 1102 c.c. che disciplina l’uso delle cose in regime di comunione e, dunque, trova applicazione anche in materia di condominio: ai sensi di tale disposizione, infatti, il comunista può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne uso paritario secondo il loro diritto.
Nell’esempio fatto, allora, il condomino, abbassando il livello del pavimento, è intervenuto su parti comuni del condominio, così ricavando un volume che, come tale, appartiene anch’esso in comune a tutti i condomini; di questo spazio vuoto, dunque, il condomino, eseguendo i lavori sopra descritti, ha alterato la destinazione e impedito un uso paritario da parte degli altri condomini:
L’art. 1102 c.c. vieta al singolo partecipante di attrarre la cosa comune o una sua parte nell'orbita della propria disponibilità esclusiva e di sottrarlo in tal modo alla possibilità di godimento degli altri contitolari, estendendosi il diritto di ciascuno nei limiti della quota su tutta la cosa. L’utilizzazione della cosa comune o di una sua porzione da parte di uno o di alcuni dei partecipanti deve ritenersi legittima solo nel caso in cui sia attuata in esecuzione di uno specifico accordo concluso tra tutti i titolari del diritto.
(Cass. civ. n. 5085 cit.)
In definitiva, dunque, i lavori presi da esempio si risolvono nell’attrazione, in tutto o in parte, di beni comuni nella sfera di disponibilità esclusiva del singolo, in palese violazione dell’art. 1102 c.c. e, come tali, devono considerarsi illegittimi.
Il proprietario del suolo, dunque, fatti salvi i limiti imposti dalla legge, può godere e disporre pienamente del sottosuolo, realizzando escavazioni od opere, purché queste non rechino danno all’altrui proprietà.
Ci si chiede se, ed in che misura, questo principio generale valga anche riguardo al suolo su cui sorge l’edificio condominiale ed allo spazio ad esso sottostante, dal momento che l’art. 1117 c.c., nell’individuare le parti comuni del condominio, dispone, tra l’altro, che il suolo su cui sorge l’edificio è oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piano dell’edificio condominiale, salvo che non risulti diversamente dal titolo.
Problemi si sono posti, in particolare, circa la legittimità di eventuali lavori di ampliamento realizzati dal condomino proprietario del piano più basso (cantina, seminterrato, ecc.).
Si pensi, ad esempio, al condomino che decida di realizzare dei lavori di abbassamento della pavimentazione, al fine di ottenere un ampliamento del piano: tali lavori possono classificarsi come atti di utilizzo legittimo della cosa comune o, al contrario, devono considerarsi illegittimi perché eseguiti in violazione dell’art. 1102 c.c.?
Secondo un primo orientamento, al quesito potrebbe darsi risposta positiva, atteso che l’art. 840 c.c. va riferito non solo alle proprietà solitarie, ma anche alle proprietà in comunione, dunque anche a quella particolare forma di comunione che è il condominio.
Parte della dottrina osserva, peraltro, che con l’espressione “suolo su cui sorge l’edificio” di cui all’art. 1117 c.c., il legislatore ha inteso riferirsi non al piano su cui poggia la pavimentazione del più basso dei piani condominiali, bensì alla base, posta nel sottosuolo, sulla quale poggiano le fondamenta dell’edificio.
Seguendo questa chiave di lettura, la porzione di suolo sottostante il condominio, delimitata, verso l’alto, dalla superficie pavimentata del piano più basso e, verso il basso, dal piano su cui insistono le strutture portanti del fabbricato, rientrerebbe nella proprietà esclusiva del titolare dell’appartamento più basso e, dunque, quest’ultimo può legittimamente disporne secondo le proprie esigenze ai sensi dell’art. 840 c.c; la parte comune di suolo ex art. 1117 c.c., invece, andrebbe individuata nella parte di sottosuolo che si proietta al di sotto delle fondamenta dell’edificio condominiale.
Secondo una diversa impostazione, invece, l’art. 840 c.c. non può trovare applicazione con riguardo al suolo condominiale, riferendosi tale norma alle sole proprietà esclusive, e non anche alle proprietà in comunione.
Si afferma, inoltre, che per “suolo su cui sorge l’edificio” deve intendersi la superficie su cui insiste immediatamente la parte infima dello stabile, ossia l’area sulla quale poggia il pavimento del piano più basso, sia che questo emerga in tutto o in parte dal piano di campagna circostante, sia che si trovi più in profondità, in modo da risultare completamente interrato.
Ne deriva che la linea del pavimento rappresenta il limite della proprietà esclusiva del condomino dell’appartamento posto al piano più basso dell’edificio, mentre la porzione di suolo sottostante, ai sensi dell’art. 1117 c.c., è proprietà comune di tutti i condomini, con la conseguenza che il singolo condomino non può utilizzare in via esclusiva detta porzione di sottosuolo, né tantomeno eseguire lavori di escavazione a di abbassamento del pavimento, non trovando applicazione l’art. 840 c.c.
La tesi da ultimo illustrata sembra preferibile, in quanto maggiormente coerente con una lettura combinata degli artt. 840 e 1117 più volte citati: in quest’ultima disposizione, infatti, il legislatore, nell’elencare le parti comuni del condominio, indica il “suolo” e le “fondamenta” come precise e ben distinte parti dell’edificio, sicché appare del tutto arbitraria un’interpretazione diretta a far coincidere necessariamente il limite inferiore del primo con quello che raggiungono le seconde, come sembrano prospettare i sostenitori della prima impostazione sopra riferita.
Tale rilievo è confermato anche dalla giurisprudenza dominante:
Per il combinato disposto degli artt. 840 e 1117 c.c. lo spazio sottostante al suolo su cui sorge un edificio in condominio, in mancanza di titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini, deve considerarsi di proprietà comune, indipendentemente dalla sua destinazione. Ne deriva che il condomino non può, senza il consenso degli altri, procedere ad escavazioni in profondità del sottosuolo per ricavarne nuovi locali ad ingrandire quelli preesistenti, comportando tale attività l'assoggettamento di un bene comune a vantaggio del singolo
(Cass. civ., 9.3.2006 n. 5085)
L’orientamento da ultimo esposto trova ulteriore conferma nella norma di cui all’art. 1102 c.c. che disciplina l’uso delle cose in regime di comunione e, dunque, trova applicazione anche in materia di condominio: ai sensi di tale disposizione, infatti, il comunista può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne uso paritario secondo il loro diritto.
Nell’esempio fatto, allora, il condomino, abbassando il livello del pavimento, è intervenuto su parti comuni del condominio, così ricavando un volume che, come tale, appartiene anch’esso in comune a tutti i condomini; di questo spazio vuoto, dunque, il condomino, eseguendo i lavori sopra descritti, ha alterato la destinazione e impedito un uso paritario da parte degli altri condomini:
L’art. 1102 c.c. vieta al singolo partecipante di attrarre la cosa comune o una sua parte nell'orbita della propria disponibilità esclusiva e di sottrarlo in tal modo alla possibilità di godimento degli altri contitolari, estendendosi il diritto di ciascuno nei limiti della quota su tutta la cosa. L’utilizzazione della cosa comune o di una sua porzione da parte di uno o di alcuni dei partecipanti deve ritenersi legittima solo nel caso in cui sia attuata in esecuzione di uno specifico accordo concluso tra tutti i titolari del diritto.
(Cass. civ. n. 5085 cit.)
In definitiva, dunque, i lavori presi da esempio si risolvono nell’attrazione, in tutto o in parte, di beni comuni nella sfera di disponibilità esclusiva del singolo, in palese violazione dell’art. 1102 c.c. e, come tali, devono considerarsi illegittimi.
fonte http://www.plentedamaggiulli.it/Articoli/Condominio_uso_sottosuolo_limiti_cassazione_Dott_Nuzzo.html