Mantenimento dei figli: la contrazione di un mutuo fa presumere redditi in nero

Cassazione penale , sez. VI, sentenza 23.09.2010 n° 34336
Non può essere sollevato dall’obbligo del mantenimento il genitore non affidatario che contrae un mutuo per l’acquisto di una casa pur godendo di uno stipendio modesto, in quando ciò fa presumere redditi in nero.

Così i giudici della Suprema Corte hanno deciso con la pronuncia 23 settembre 2010, n. 34336 con cui la Corte ha, appunto, confermato la condanna penale nei confronti di un uomo accusato di non aver provveduto al mantenimento della ex e dei figli.
L’uomo aveva basato la propria difesa puntando sul fatto che l’acquisto di un immobile non indica necessariamente una fonte di reddito in nero, sottolineando, altresì, che pur non versando regolarmente l’assegno di mantenimento come stabilito nella separazione, aveva sempre versato alla moglie del denaro in contanti.

Le giustificazioni addotte dall’uomo non avevano, però, convinto i giudici, che, infatti l’avevano condannato sia in primo che in secondo grado.

La questione, quindi, si spostava dinanzi l’attenzione della Corte di Cassazione, dove, però, il risultato non cambiava; in quanto i giudici della sesta sezione penale, confermando le decisioni dei colleghi, sottolineavano, altresì, che “la capacità economica dell’obbligato che, all’epoca dei fatti, svolgeva regolare attività lavorativa retribuita ed aveva inoltre contratto un mutuo per l’acquisto di un immobile, circostanza questa sintomatica di tale capacità, poteva verosimilmente provenire anche da altre fonti di reddito in nero”.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI PENALE

Sentenza 9 aprile - 23 settembre 2010, n. 34336

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1 - Il Tribunale di Firenze, con sentenza 23/5/2007, dichiarava B.A. colpevole del reato di cui all'art. 570 c.p., comma 1 - 2, n. 2 - per essere venuto meno ai suoi obblighi di assistenza morale verso i figli minori F. e A. e per avere fatto mancare a costoro e alla moglie separata, S.A., i mezzi di sussistenza dal **** - e lo condannava alla pena di mesi nove di reclusione ed Euro 900,00 di multa, nonchè al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.

2 - A seguito di gravame dell'imputato, la Corte d'Appello di Firenze, con sentenza 23/6/2009, riformando in parte la decisione di primo grado, che confermava nel resto, concedeva all'imputato i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione.

Riteneva il Giudice distrettuale che la prova a carico dell'imputato era integrata dalle precise e attendibili testimonianze della S. e dei suoi parenti (S.E., S. P. e R.S.), non smentite da quelle a discarico:

nel lungo periodo oggetto di contestazione, il B. non aveva assicurato alla moglie separata e ai figli minori a questa affidati i mezzi economici necessari per fronteggiare le primarie esigenze di vita, essendosi limitato solo a sporadici versamenti di somme modeste di denaro, tanto che la moglie aveva dovuto fare ricorso all'aiuto dei propri genitori; non erano emersi elementi per dubitare della capacità reddituale dell'obbligato, che, pur godendo formalmente di uno stipendio mensile d'importo contenuto, certamente aveva potuto fare affidamento su altre fonti di reddito in nero, tanto da avere contratto un mutuo per l'acquisto di un immobile.

3 - Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, l'imputato, deducendo la violazione della legge penale, con riferimento all'art. 570 c.p., la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione sotto più aspetti: a) non erano state trattate le tematiche relative allo stato di bisogno degli aventi diritto e alla capacità di adempiere dell'obbligato; b) contraddittoriamente, per un verso, si era affermato che l'imputato certamente aveva versato periodicamente, in adempimento del proprio obbligo, denaro contante alla moglie e, per altro verso, si era allegata attendibilità al racconto di costei; c) si era ritenuto, in modo del tutto congetturale, che l'imputato disponeva, al di là del modesto stipendio, anche di altre fonti di reddito; d) in ogni caso, anche a volere ritenere il mancato versamento dell'assegno mensile nella misura fissata in sede di separazione dei coniugi, ciò non integrava automaticamente il reato di cui all'art. 570 c.p., ma un mero inadempimento civile.

4 - La difesa della parte civile ha depositato in data 7/4/2010 memoria con la quale ha sollecitato l'inammissibilità o il rigetto del ricorso.

5 – il ricorso non è fondato e deve essere rigettato.

La sentenza impugnata, che si integra con quella di primo grado, fa buon governo della legge penale, riposa su un apparato argomentativo che da conto, in maniera adeguata e logica, delle ragioni che giustificano la conclusione alla quale perviene e resiste alle censure mossele.

Preliminarmente, devesi rilevare che il ricorrente non censura la sentenza di merito nella parte in cui gli addebita la violazione degli obblighi di assistenza familiare anche sotto il profilo del totale disinteresse per la salute e per l'educazione dei figli, con i quali non aveva avuto alcun rapporto significativo per lunghi periodi di tempo, durante i quali si era reso irreperibile.

Le doglianze del ricorrente hanno ad oggetto soltanto l'addebito di avere fatto mancare alla moglie separata e ai figli minori i necessari mezzi di sussistenza.

Tale ipotesi di reato, prevista dall'art. 570 c.p., comma 2, n. 2 pacificamene si realizza solo nel caso in cui sussistano, da una parte, lo stato di bisogno degli aventi diritto a un adeguato contributo economico per soddisfare le primarie esigenze di vita e, dall'altra, la concreta capacità economica dell'obbligato a versare tale contributo. Quanto al primo presupposto, la Corte territoriale ne accerta implicitamente la sussistenza, evidenziando in punto di fatto, sulla base delle emergenze istruttorie acquisite, che S.A. era stata costretta a fare ricorso all'aiuto economico dei propri genitori, per fronteggiare le primarie esigenze di vita del nucleo familiare affidato alla sua responsabilità, al di là della considerazione che lo stato di bisogno dei figli minori, in quanto privi di capacità lavorativa o di una qualche rendita di posizione, non è oggettivamente contestabile. L'intervento surrogatorio di terzi non esclude lo stato di bisogno degli aventi diritto ai mezzi di sussistenza e, quindi, la configurabilità del reato in esame, a nulla rilevando l'eventuale convincimento contrario del soggetto inadempiente di non essere tenuto, in tale situazione, all'assolvimento del suo primario dovere, traducendosi lo stesso convincimento in errore sulla legge penale, non determinato da ignoranza scusabile (art. 5 c.p.) di una norma, che corrisponde - tra l'altro - ad un'esigenza morale universalmente avvertita.

Anche il secondo presupposto è ritenuto sussistente dalla Corte di merito, che, con motivazione immune da vizi logici, sottolinea la capacità economica dell'obbligato, che - all'epoca dei fatti - svolgeva regolare attività lavorativa retribuita ed aveva, inoltre, contratto un mutuo per l'acquisto di un immobile, circostanza quest'ultima sintomatica di tale capacita, riveniente verosimilmente anche da altre fonti di reddito in nero.

Il percorso argomentativo seguito dalla sentenza impugnata, nella sua lucida articolazione, non evidenzia, come si sostiene in ricorso, passaggi di manifesta illogicità: i giudici di merito sostanzialmente, pur dando atto che l'imputato aveva effettuato alcuni versamenti di denaro in favore della moglie, peraltro da costei mai contestati, ritengono tali versamenti assolutamente inidonei, per la loro sporadicità e per la loro modesta entità, ad assicurare agli aventi diritto i mezzi di sussistenza, conclusione questa che da ragione, altresì, della infondatezza della tesi, pure prospettata dal ricorrente, del mero inadempimento di natura civile.

6 - Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione in favore della parte civile, S.A., delle spese sostenute in questo grado e liquidate nella misura in dispositivo indicata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e a rifondere alla parte civile S.A. le spese del grado, che liquida in Euro 2.500,00 oltre spese generali, iva e cpa.